"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

martedì 7 dicembre 2010

UNA LETTERA A REPUBBLICA, GIORNALE A CUI VOGLIO BENE, ALLA FINE PUBBLICATA

Ho spedito questa lettera al bel blog di Laura Boldrini: non l'hanno pubblicata. Segue l'articolo della stessa Boldrini, Da Erba a Brembate. Non so se non l'hanno pubblicata perché diceva sciocchezze. La riporto di seguito, così chi si avventura sul mio blog può giudicare:
"Mi pare paradossale che quest’articolo venga pubblicato su La Repubblica, che ha inseguito il caso in un modo che per carità laica definisco almeno discutibile. Dalla Spagna, dove vivo, ho seguito la pubblicazione dei diversi articoli e, ben prima che Friki fosse dichiarato non colpevole, ero indignata per il modo in cui veniva trattato il caso. Mi pareva e mi pare la fotocopia di un’altra cronaca “sensazionale” che aveva per protagonista (incolpevole!) Racz (primavera del 2009): vi ricordate quando lo chiamavate anche voi “faccia di pugile” ecc.?
E poi le fotografie della bambina scomparsa, in apertura, una dopo l’altra: come qualche settimana prima avete fatto con il caso di Sara.
Ora vorrei chiedervi una cosa. Avete bravi, coraggiosi giornalisti de La Repubblica, che hanno condotto e conducono un lavoro di demistificazione della “cultura del berlusconismo”, con una profondità in certi casi eccezionali. Non si ribellano a un atteggiamento così scorretto, plebeo, anche cattivo, su fatti di cronaca? Non si rendono conto che questo modo di trattare certi delitti distrugge quello che loro costruiscono in ambito specificamente politico? Sappiamo bene che l’adesione al berlusconismo, in buona parte, non è direttamente politica, è qualcosa di vischioso, che entra nell’immaginario e lo devasta, qualcosa, come si direbbe in Spagna, di “enfermizo”. Su El País, quotidiano spagnolo per tanti versi fratello de La Repubblica, articoli come quelli che sono comparsi su La Repubblica a proposito di questo e di altri casi analoghi non uscirebbero.
Perché fate così? Per vendere qualche copia in più? Non ci posso credere.
Peraltro condivido l’apprezzamento, anzi la commozione, per l’atteggiamento della famiglia di Yara e pure per quello del sindaco leghista: si può ancora sperare.
Beh, buon lavoro, e spero che in futuro evitiate certi errori. Naturalmente la speranza più grande è che non ci siano più casi così tremendi."

Riporto anche il link di un mio articolo precedente in proposito, Tunisino? Marocchino? Colpevole. E se non lo fosse...



SONO LE 22,30: LA LETTERA È USCITA. SE POTESSI RINGRAZIARE, RINGRAZIEREI. RIPORTO DI NUOVO IL LINK DELL'ARTICOLO CON IL COMMENTO.

lunedì 6 dicembre 2010

COSE D'ITALIA - Tunisino? Marocchino? Colpevole. E se non lo fosse...

...beh, intanto possiamo dire che lo è e prendercela al tempo stesso con i nostri connazionali razzisti. Vedi a tal proposito gli articoli non di un giornalaccio, non di un giornale politicamente ambiguo come il Corriere della Sera, ma de La Repubblica. E pure qualcosa sull'Unità. Mi sembra la fotocopia di quello che accadde per Racz: lo ricordate il romeno accusato di aver violentato la ragazzina di Roma e che non c'entrava? Vi ricordate le denominazioni “faccia di pugile” e simili delizie?

E in capo a tutto, nell'edizione on-line, per due giorni, le foto della bambina, in tutte le versioni. Come precedentemente, le foto di Sara, l'altra ragazza uccisa. Allusioni ad avvenenze di bambine e morte. Che vergogna!

Dunque: si aspetta la confessione del marocchino, si aspetta che parli,si aspetta che dica dov'è il corpo della bambina, la storia di una cattura rocambolesca, il traghetto tornato indietro in acque nazionali... quindi è sicuramente colpevole. Se fosse figlio o nipote di un nostro svergognato premier, il ragazzo del Marocco sarebbe trattato così?
Ci sono persone da trattare con riguardo e persone-spazzatura, nel nostro paese. Poi, se la spazzatura è assolta, noi non ci sentiamo mica colpevoli... il dovere di cronaca.

Ho messo da parte tutti gli articoli, però non ho voglia questa volta di analizzarli e di commentarli. Ci vuole una rivolta morale sul come sono trattate queste tragedie dalla stampa amica, da quelli che ci sono amici e su cui contiamo, da noi stessi: se no non si esce neppure dallo schifo che è il berlusconismo.

La madre della bimba, di questa bambina che potrebbe essere nostra figlia e nostra nipote e che non merita neppure lei di essere trattata così, è cattolica, credente. Non vuole tutta questa violenza. Lo ha fatto sapere dall'abisso di dolore in cui si trova. Se tanti cattolici fossero come lei, penso che mi riconvertirei.

domenica 5 dicembre 2010

COSE D'ITALIA E DI SPAGNA - Puritanesimo e..., purtroppo, Vittorio Zucconi

Mi pare davvero deludente che Vittorio Zucconi – il grande giornalista che conosciamo – abbia scritto l'articolo L'ultima partita di Hillary costretta a scusarsi con il mondo: legando in una maniera assai discutibile i tentativi di Hillary Clinton di ricucire rapporti diplomatici messi in questione dalle rivelazioni di WikiLeaks all'ormai preistorica “scappatella” (dovrò usare molte virgolette in questo post!) del marito presidente.

La mia non è una delusione di donna e di femminista, ma di persona che difende i diritti umani: anche perché mi imbarazza, e non da ora, definirmi “femminista” di fronte a un'ondata di puritanesimo e di ipocrisia che invade i mass-media nostrani, facendo spesso appello alle ragioni di un movimento di donne che ora mi pare non esista più (e non so se avrebbe senso da noi oggi, nei termini in cui si propose all'inizio degli anni '70: è un problema che in questo post non intendo affrontare).

giovedì 18 novembre 2010

COSE DI STRANI STUDENTI UNIVERSITARI - Cavallini allo stato brado e un dottore spagnolo del 600, che poi diventa di vetro, in viaggio per l' Italia



Sto trascurando i miei Cavallini e li lascerò andare allo stato quasi brado ancor più nelle prossime settimane. Però mi impegno a terminare, pur se a passo di lumaca, il percorso sulla poesia araba.
Questo rallentamento è dovuto al fatto che alla mia bella età, per un amore dissennato e senza speranza per la lingua araba e per ciò che ci sta intorno (disperato perché non diventerò mai l'arabista che vorrei, mi mancherà il tempo di vita: però ancora una volta decido di spendermi per amore senza calcolare il tornaconto) mi sono iscritta al Grado (è il nuovo nome delle facoltà, dopo l'adeguamento ai piani di Bologna) di Estudios árabes e islámicos nell'Università di Cadice.
.
Miei compagni sono bambini molto più vicini ai miei nipotini che a me: i loro occhi sono contornati dalla punta sottile e scurissima di un lapis ben temperato, il loro viso è di porcellana. Sono strega tra tantissimi pollicini: non so se hanno paura che li mangi. Io faccio di tutto per rassicurarli. La bizzarria è aggravata dal fatto che qualcuno dei professori (potrebbero essermi in maggioranza figli) ha l'orribile idea di dare compiti di gruppo... e perciò anch'io devo entrare in gruppo con i diciottenni.

Con la riforma dei piani di studio legata agli accordi Bologna (i nuovi titoli saranno riconosciuti in tutta l'Unione Europea senza bisogno di omologazioni), pare che almeno in Spagna il rapporto studenti-insegnanti si sia fatto più stretto. Così mi hanno detto. Mi occuperò più in là di capire bene le differenze fra passato e presente, di Bologna, delle prospettive, delle resistenze (non so se giustificate o no) che buona parte del corpo docente e gruppi di studenti hanno opposto a questa riforma. Per ora assaporo fino in fondo la stranezza della mia situazione. Non potrei fare diversamente, d'altra parte: ci danno molti compiti a casa. Forse per me, visto che sono vecchia e in certe cose abbastanza saggia ed esperta, non sarebbero tanti, ma devo farli in castigliano e per iscritto. Sette esami su dieci di questo primo anno non riguardano infatti l'arabo, ma la linguistica, la lingua e la letteratura spagnole. Poi, se uscirò viva, dal prossimo anno piena immersione in ciò che più mi interessa. E anche gli esami, che si terranno fra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio, e poi fra giugno e settembre, saranno tutti scritti. Cerco di approfittarne per fare un salto in avanti con il mio castigliano. Mi servirà a essere meno straniera. Però ho paura di essere bocciata. Vedo già, con desolazione,  i miei figli e i miei nipoti che mi consolano e mi compatiscono. Dai, non è così grave, hai già fatto tante cose nella vita... E poi l'importante è provarci.

Beh, questa è la mia condizione attuale: certo, me la sono andata a cercare.

Un piccolo regalo per chi si avventura ancora a visitare i miei Cavallini: immagini dell'Italia di qualche secolo fa, che ci vengono da una delle Novelas exemplares (o ejemplares) di Miguel de Cervantes Saavedra: si tratta de El licenciado Vidriera.

domenica 14 novembre 2010

Vivaldi, Concerto in D Major - II mov. largo

ARABISTI E ARABESCHI 23 - POETI DI AL-ANDALUS 4 – Traduzioni, identità, e poi i versi di un principe ommayyade fuggiasco



Traduzioni, identità, pregiudizi e mancanza di pregiudizi

Anni fa, quando incominciavo ad interessarmi alla poesia araba, comprai in un negozio di libri usati di Siviglia un volumetto del 1932. Il nome che figurava nella parte alta della copertina era quello di Juan Valera. Ho scoperto poi che Valera non conosceva l’arabo e non era l’autore dell'antologia, ma il traduttore: aveva riportato in castigliano il libro, pubblicato nel 1867, di un tedesco, che si chiamava Adolf Friedrich von Shack. A questi due personaggi ho già fatto cenno all'inizio di questo percorso. Sia Friedrich von Schack, nato nel 1815 e morto nel 1894 (se vuoi vedere la sua fotografia, clicca qui) - sia Juan Valera erano signori baffuti.
Von Schack, molto più bello di Valera, ricoprí incarichi diplomatici, scrisse poesie, opere teatrali etc.; venne in Spagna per la prima volta a quasi quarant'anni e divenne un arabista famoso. Penso sia colui che nel mondo ha tradotto più di chiunque altro la grande poesia arabo-andalusa, estendendo il suo interesse anche a quella arabo-siciliana. Racconta nel suo libro, molto piacevole e divulgativo, anche delle avventure e disgrazie vissute dai poeti.
Juan Valera, nato in un pueblo vicino a Cordova nel 1824 e morto nel 1905 (per vedere le foto, clicca quiclicca qui; puoi poi trovare altre notizie su di lui in Wikipedia e anche nel Cervantes virtual) fu diplomatico, politico, critico letterario e scrittore di varie opere, fra cui romanzi tardo-romantici.
Von Schack fu catturato dal fascino dell'antica poesia arabo-andalusa (rileggi a tal proposito la parte finale del mio post Arabisti e arabeschi 2 - Sulla poesia araba del Medioevo ): bisogna rendergli merito perché non si lasciò contaminare dai pregiudizi del tempo a proposito della superiorità della cultura occidentale e indoeuropea su quelle “semitiche”. Per quanto riguarda tali pregiudizi in ambito italiano, basti pensare al marmoreo poemetto Le Grazie di Ugo Foscolo (“odio il verso che suona e che non crea”) o al divertentissimo e antisemita Inno a Satana del simpatico prof. Giosuè Carducci (gli costò, se ricordo bene, una sospensione dall'insegnamento universitario, non in quanto antisemita, ma in quanto anticlericale e anticristiano): entrambi, con accenti diversi, rivendicavano la classicità greca e anche, in subordine (almeno per Ugo), latina, come fondamento dell'identità propria e dell'Italia.
Anche Juan Varela disprezzava le “culture semitiche”, o comunque le considerava molto al di sotto di quelle classiche, che secondo la visione dominante del tempo erano sorte e si erano sviluppate nettamente separate dalle prime. Eppure tradusse in spagnolo la poderosa opera di von Schack. Contraddizioni umane!
Oggi quest'opera, tradotta in castigliano (non so se esista ancora in tedesco), è disponibile nel Cervantes Virtual; però in questo sito è stata messa male, ci sono continue sovrapposizioni fra i diversi capitoli ed è perció faticosa la consultazione. Viene in soccorso la solita bella Editorial Hiperión, che ha ripubblicato in una veste abbastanza elegante l'opera di von Schack tradotta da Valera.
È possibile saccheggiare questo libro quanto si vuole, perché fuori dai diritti d'autore. Riporterò diverse poesie traducendole in italiano, però non esagererò: chi vorrà approfondire, potrà cercare sul sito del Cervantes virtual o comprare il libro edito da Hiperión: vale proprio la pena avere a portata di mano un'opera come questa!

domenica 7 novembre 2010

COSE D'ITALIA - Ascoltando Fini: Alessandro Manzoni e l'Italia di oggi









Lo strano amore di me non credente - e spesso anticlericale più di quanto forse vorrebbe Vendola - per Alessando Manzoni mi fa ritornare in mente in questi giorni, continuamente e ossessivamente, il Coro del III atto dell'Adelchi. Mentre ascolto l'intervento di Fini i versi manzoniani mi percuotono il cervello.
Cedo alla loro forza e riporto la prima parte del Coro, e intanto il pensiero va anche al crollo della scuola dei gladiatori di Pompei.

Dagli atrj muscosi, dai fori cadenti
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce dai padri la fiera virtù;
Nei guardi, nei volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d’un tempo che fu
S’aduna voglioso, si sperde tremante;
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s’avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
Dei crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.
Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar:
E quivi, deposta l’usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d’ignoto contento,
Con l’agile speme precorre l’evento,
E sogna la fine del duro servir.

E ora qualche domanda.
I guerrieri franchi che arrivano sono i finiani? O chi altro? E i longobardi in fuga chi sono? E la plebe che spera in una liberazione che colore politico ha?
Chi vuole leggere tutto il Coro, con le note di spiegazione, clicchi qui.

sabato 6 novembre 2010

COSE D'ITALIA E UN POCO DI SPAGNA – Bersani, Vendola e qualche ricordo

Ho ascoltato con attenzione gli interventi di Nichi Vendola al Congresso di Sinistra Ecologia Libertà e di Bersani all'Assemblea Nazionale dei circoli Pd riuniti a Roma: da quest'angolo di Spagna, lontana da molto tempo da un impegno politico diretto di cui non mi sento più capace.
Anche per questo posso esprimere pensieri e riflessioni da una distanza piena di affetto e anche di passione, ma che resta distanza, da qualche anno anche fisica.

Comincio da Bersani, che ha parlato oggi (puoi cliccare qui, anche se non è stato ancora pubblicato il video intero). Per più di metà dell'intervento, ha insistito sui problemi interni del Pd, sulla sua forza, sul “rimbocchiamoci le maniche”, sulla necessità di convincere gli italiani della bontà del programma di cui il partito è portatore. Ha detto, a proposito dei recenti e più antichi scandali che hanno riguardato il premier, che per governare bisogna essere anche brave persone, corrette. Ha accennato alla Lega che dopo aver accusato Roma ladrona se l'è fatta con i corrotti e con i ladroni. Il paese è allo sbando, è tutto da ricostruire, ha detto Bersani: la scuola, il lavoro, bisogna riequilibrare il carico fiscale che ora grava sulle spalle dei più disagiati. Questa legge elettorale è una vergogna, ha detto, neppure io vorrei governare con condizioni del genere: se hai il 30% dei voti, puoi fare e disfare a tuo piacere. Il Pd è un grande partito, l'unica vera alternativa. E quindi ha proposto, ricevendo dalla platea molti applausi, una manifestazione per l'11 dicembre, una spallata al governo attuale, indegno e indebolito.
L'impressione che ho ricevuto dal suo discorso è che per lui sia chiaro da tempo ciò che si deve fare, se mai il programma andrà articolato meglio, ma ci sono certezze di fondo sulla direzione da prendere.
Molto diverso il tono dei discorsi di Nichi Vendola, che sicuramente sento assai più vicino a quello che penso e chiedo io, e chiederei ancor più insistentemente se fossi giovane. Per questa ragione mi avventuro a riprendere alcuni aspetti dei suo ragionamento e anche del suo modo di porsi, cerco di analizzarli anche alla luce di un'esperienza soggettiva passata e presente, e infine di manifestare il disagio per quelle che mi sembrano insufficienze della proposta.

giovedì 28 ottobre 2010

أعطني الناي - فيروز

INTERMEZZO – UN SALTO NEL XX SECOLO - Jalil Yibran

In attesa di riprendere il discorso sulla poesia di Al Andalus, propongo una lirica di Jalil Yibran (1883-1931), Portami il flauto e canta, interpretata dalla splendida cantante Fairuz.

Del poeta libanese cristiano Yibran (più spesso scritto nelle traduzioni italiane Gibran), quasi tutti hanno letto, soprattutto nell'adolescenza e nella giovinezza, qualche testo.
Chi non ricorda l'ispirata riflessione sui figli?

I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono.[...]

Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti

La puoi ritrovare cliccando su questo sito.

lunedì 18 ottobre 2010

COSE D'ITALIA, MENO DI SPAGNA – SCRIVERE E LEGGERE – L'esperienza e il giudizio di valore

Fa forse parte dell'involuzione sociale e culturale che abbiamo vissuto in questi anni nel nostro paese il fatto che non ci si interroghi più sul senso dello scrivere e del leggere. Ci sono “scrittori laureati”, quelli che vendono molto e/o partecipano a festival letterari, tanti li vanno ad ascoltare, senza porsi troppe domande sul senso del tutto. Gli adulti che non leggono - compresi molti insegnanti - dicono che i ragazzi devono leggere. E basta così. “Ya está”, direbbero in Spagna.


Sono convinta che l’arte e la letteratura siano diventate, con la nascita e la crescita della secolarizzazione e della miscredenza, il paradiso dei laici. Evidentemente è difficile per gli esseri umani fare a meno della fede in un’entità metafisica ed eterna. L’idea che l’arte (faccio riferimento a quella parte di “arte” che viene comunemente chiamata “letteratura”) sia qualcosa che, grazie ai suoi valori estetici, vola al di sopra del tempo e della storia, ha avuto origine forse un paio di secoli fa ed è stata poi ribadita in vari modi, fino ai nostri giorni. Ma questo paradiso, come tutti i paradisi, con il tempo si è degradato. E sono tanti quelli che cercano di entrarci. A degradarlo non è il fatto che siano in tanti a scrivere, ma che molti di questi lo facciano per la voglia di entrare in un brutto paradiso e che chi ha le chiavi di ampie zone di questo paradiso apra le porte soprattutto a persone come Bruno Vespa.

Un salto nel ragionamento che poi spero di giustificare.

VECCHI E GIOVANI D'ITALIA E DI SPAGNA 4 – Riflessioni


Passato e presente

E ora lascerò discendere sulla pagina elettronica riflessioni a ruota abbastanza libera sulle differenze che corrono fra la sensibilità politica mia e quella di persone dell'età dei miei figli e di ragazzi più giovani di loro, italiani e spagnoli, che ho conosciuto in questi anni. Anche se a volte il mio discorso potrà assumere toni di argomentazione razionale, oggettiva, vorrei che quanto segue fosse considerato non come pretesa di lettura politologica, ma come testimonianza di esperienze passate e di un cammino del mio pensiero che nasce dalla vita, dal ricordo e dall'osservazione. Dovrei accompagnare molte affermazioni che farò con un “mi pare”, “nel mio ricordo”, “secondo me”. Queste sottolineature della soggettività della mia lettura del passato e del presente le lascerò nella penna, o meglio nella tastiera, saranno fantasmi aleggianti sul mio discorso.

Comincio dal lavoro. Ai miei tempi il modo il cui si lavorava, gli obiettivi, i ritmi, il rapporto fra biologia umana e fatica quotidiana: tutto ciò era al centro della riflessione operaia, almeno di una parte importante e colta dei quadri di fabbrica, ma anche di molti tra coloro che lavoravano nella scuola, nella sanità, negli ospedali psichiatrici, nelle banche.
I miei primi anni di insegnamento li feci a Dalmine, un centro la cui vita da molti decenni ruotava intorno all'omonima grande fabbrica a partecipazione statale (riporto dati a memoria, potrei sbagliarmi: a quei tempi  c'erano circa 8000 lavoratori nella fabbrica, ora meno di 2000). Molti fra noi insegnanti ragionavamo insieme su come si dovesse insegnare, su quali contenuti, sul rapporto fra adulti e ragazzi … il cuore del nostro agire era il cuore del nostro lavoro. Molte sedute del consiglio di fabbrica furono dedicate alla scuola e fummo invitati a partecipare e lo facemmo dapprima con preoccupazione di non essere all'altezza, poi con la voglia di discutere. E così avvenne per molti degli stessi operai: il lavoro di fabbrica veniva scomposto, conosciuto, discusso nella sua qualità e nei suoi ritmi. E si incontravano con noi, forse all'inizio preoccupati anche loro, per costruire un progetto comune.
La parte del movimento a cui sentivo di partecipare aveva al centro della riflessione proprio il lavoro, la “politicità”, in senso lato, delle scelte di lavoro e professionali, la tendenziale estinzione o riduzione all'essenziale del politico di professione: non in nome di un'antipolitica simile a quella odierna, in gran parte responsabile dell'orribile populismo che ben conosciamo, purtroppo, ma del progressivo disvelamento della politicità dell'essere sociale, dell'operare nella società. Fu proprio questo il movimento de Il Manifesto e la storia del giornale omonimo, per una buona parte degli anni 70 (dopo le cose cambiarono); ebbe questo segno la grande conquista operaia delle Centocinquanta ore.

domenica 17 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 22 - AL-ANDALUS 3 – Il contesto, terza parte - Cantatrici raffinate, poeti e musici tra arabi e cristiani

Sotto il franchismo, gli studi di arabistica continuarono, ci furono grandi arabisti che in ambiti accademici e specialistici godevano di grande stima. D’altra parte il caudillo si era appoggiato a un generale del Marocco nella sollevazione contro la Repubblica spagnola, e il ricordo delle violenze commesse dalle truppe marocchine contro la popolazione civile, con il beneplacito della Chiesa, ha lasciato per lungo tempo tracce di diffidenza negli antifranchisti.

sabato 16 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 21 - AL-ANDALUS 2 – Il contesto, seconda parte – Fitna, riconquista cristiana, mutamenti continui dei confini, rapporti con l'Oriente e il Nord-Africa

Ritorno a Al-Andalus: molti pensano che questo fosse un paradiso della tolleranza religiosa e culturale, che poi le orde dei reconquistadores cristiani avrebbero distrutto. Di fatto, non sempre le minoranze religiose vissero come se fossero a casa propria, ma è pur vero che in molti periodi e situazioni godettero davvero di pace e relativa prosperità.
Invece furono accesi, sanguinosi e quasi senza sosta i conflitti all’interno del mondo musulmano. La
fitna, guerra civile che dà il titolo a uno dei bellissimi libri di Kepel, fu ricorrente nell’Islam: non diversamente, in fondo, da quanto era già avvenuto e sarebbe accaduto ancora negli stati cristiani, con le guerre per la questione dell'iconoclastia, con lotte per le investiture, le repressioni durissime e sanguinose di “eresie”, le guerre di religione, ecc.. Perciò anche l’immagine di un Islam tutto compatto e pronto a uccidere i non musulmani non è vera oggi e non era vera neppure al tempo di Ludovico Ariosto.
Per quasi cinquant'anni dopo lo sbarco degli arabi, la Spagna musulmana dipese dal califfato omayyade di Damasco.


venerdì 15 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 20 - AL-ANDALUS 1 – Il contesto, prima parte - Il mitico sbarco degli arabi nella Penisola Iberica.

Sulla poesia di Al-Andalus, la Spagna musulmana, mi soffermerò più che su altri segmenti della storia della poesia araba del Medioevo, e cercherò di descrivere in maniera relativamente più particolareggiata il contesto. Per due ragioni: in primo luogo, perché dispongo di un maggior numero di poesie tradotte, e la cui traduzione – mi riferisco soprattutto a quella di Friedrich von Schack, di cui ho già parlato, e su cui ritornerò – ha più di un secolo d'età ed è quindi del tutto fuori dai diritti d'autore; in secondo luogo, perché vivo in una parte di Spagna che si protende verso il Nord-Africa, e la riconquista cattolica, il dominio di re cattolici, lo stesso franchismo che, come sappiamo, si è appoggiato ed è stato aiutato dalle gerarchie cattoliche, non hanno cancellato il legame con il passato arabo, berbero e musulmano, che si sente aleggiare ancora nell'aria, anche in aspetti della vita quotidiana.

sabato 9 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 19 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 7 – Meditazione laica sulla morte


Abu-l-ala'al Ma'arri, poeta forse scettico in materia religiosa

Abu-l-ala'al Ma'arri (973-1057) nacque a Ma'arra an Numàn, in Siria. Benché, a quanto pare, a causa di una malattia abbia perso la vista nell'infanzia, fu iniziato alla conoscenza della tradizione poetica araba dal padre, che però morì quando il ragazzo aveva dieci anni. Pur cieco, viaggiò, soggiornó ad Aleppo e a Bagdad, dove conobbe importanti poeti e intellettuali.
Era solito dire che era recluso in una triplice prigione: del corpo, della cecità e della sua casa, da cui non riusciva ad allontanarsi.
Dopo un prolungato soggiorno a Bagdad, al Ma'arri ritornò nel suo villaggio, che non abbandonò più fino alla morte. Si chiuse al mondo, diventò vegetariano, scrisse raccolte poetiche, fra cui particolarmente importante è Siqt az Zand (La scintilla dell'acciarino), che comprende sette elegie, e la Risalat al gufran (Epistola del perdono), che racconta un viaggio immaginario nell'Aldilà: fu questo uno dei testi su cui Asín Palacios, un arabista spagnolo del XX secolo, di cui parlerò più avanti, si basò per ipotizzare una connessione fra la Divina Commedia e alcuni testi arabi; scrisse una raccolta di 10.000 poesie in cui dà prova di grande virtuosismo nell'uso e nella moltiplicazione delle forme metriche.
Tra i poeti arabi, al Ma'arri fu particolarmente amato da Francesco Gabrieli, in quanto poeta non prigioniero del conformismo religioso del suo tempo. Dice a proposito della poesia di al Ma'arri lo studioso italiano: “ L'Allàh musulmano non è del tutto assente, ma più spesso si dissolve sotto una critica corrosiva di tutte le religioni rivelate, che gli uomini si tramandano di generazione in generazione, supinamente...” (F. Gabrieli, La letteratura araba, Sansoni-Accademia 1967, pag. 143).
Jaime Sánchez Ratia, nei suo Treinta poemas árabes, traduce e riporta una di queste elegie, “un'elegia universale che si rivolge all'umanità intera, in versi che... sono diventati, tra gli arabi amanti della poesia, immortali e come incisi sulla pietra. La composizione, ampia e cadenzata, tesse una riflessione sul dolore e la morte...” (J.S.R., op,cit., pag. 147).
Riporto un passo breve dell'ampissima bellissima elegia. È un'intensa meditazione sulla morte, in cui certe affermazioni di fede (per esempio quella concernente l'inferno (casa di terrori) e il paradiso (dimora della felicità) appaiono quanto mai ambigue, la seconda forse sfuma nell'incredulità.

ARABISTI E ARABESCHI 18 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 6 – La tracotanza di un cavaliere quasi di ventura


Poeta, eretico, cavaliere

Al Mutanabbi (Kufa 915 –965 in cammino per Bagdad) fu personaggio leggendario e misterioso. Partecipò a un'insurrezione dei càrmati, una specie di “gnosticismo islamico”, spiega Sánchez Ratia. Il tentativo fu represso e al Mutanabbi restò per un bel po' di tempo ai margini della società “che contava”: fece per alcuni anni la vita del beduino o cavaliere errante e compose, per sfamarsi, panegirici e lodi in versi per piccoli burocrati di periferia. 
L'incontro con il principe di Aleppo gli concesse alcuni anni di relativa libertà, in cui scrisse le sue opere più belle. L'invidia dei cortigiani lo mise in cattiva luce con l'emiro e fu costretto a fuggire, prima a Damasco e poi in Egitto. Qui si mise a disposizione del sultano locale (l'Egitto si era staccato dal califfato abbaside), Kafur, per cui compose panegirici e versi di lode, con la speranza di avere in dono un'isola: proprio come sarebbe successo secoli dopo al Sancio, scudiero di don Chisciotte! Quando si accorse che le sue speranze erano infondate, congiurò con nemici del sultano, e scrisse pure un paio di satire velenosissime contro di lui, piene di scherno e di disprezzo: perché Kafur era di pelle nera. Sappiamo anche, ma non solo, dalle prime pagine delle Mille e una notte, che gli arabi avevano grande disprezzo nei confronti dei neri e nei secoli ne schiavizzarono molti e li vendettero pure agli europei. Sono cose che fanno nascere dei dubbi su quanto afferma Alberto Burgio , e cioè che il razzismo è frutto del capitalismo!

ARABISTI E ARABESCHI 17 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 5- Poesia e assassinî



Il poeta-califfo di un giorno, che fu assassinato nella notte successiva alla sua ascesa al trono

Ibn al Mu'tazz (Samarra 861- Bagdad 907) fu poeta e letterato raffinato; era stato educato e istruito quando era ragazzo da uno dei maggiori filologi e grammatici arabi di tutti i tempi. Raccolse una piccola antologia di poeti, il cui manoscritto unicum si conserva ora nell'Escorial. Per molto tempo si dedicò alla poesia, agli svaghi e ai piaceri della carne. Compose poesie amorose e bacchiche.
Circostanze fortuite gli permisero di entrare nella corte califfale di Bagdad, dove scrisse per il califfo Al Mu'tadid una famosa ode-panegirico. Alla morte di questi, ritornò alla vita privata.
Però successivamente partecipò a una congiura volta a detronizzare e a uccidere il nuovo califfo. La sollevazione ebbe un successo che durò pochissimo, e lo stesso poeta fu messo dai congiurati sul trono califfale. Ma i partigiani del califfo spodestato reagirono immediatamente, e Ibn al Mu'tazz, in fuga per la città, fu raggiunto e strangolato.

Ibn al Mu'tazz compose fra l'altro un trattato sul badi', Kitab al Badi', in cui difese la ricerca dell'insolito e del meraviglioso nella poesia, appoggiandosi persino al Corano.

La lirica che traduco in italiano dalla bellissima traduzione in castigliano di Jaime Sánchez Ratia, ha al centro la tematica bacchica e quella amorosa. Propone nell'ultima parte, in una chiave surreale e sognante, l'intreccio fra gesti di intensa sensualità e la presenza incombente di due figure di nemici degli amanti che torneranno tante volte nella poesia provenzale: i moralisti marparlieri, e gli spioni quasi gatti, i cui occhi brillano nel buio come le stelle.

COSE DI SPAGNA, D'ITALIA E D'EUROPA – Qualche dato recente sull'integrazione dei gitani in Spagna

È uscito oggi, 9 novembre, un articolo su El País che fa il punto sul cammino d'integrazione dei gitani in Spagna. L'autore è Jesús Caldera, vicepresidente della Fondazione Fondazione IDEAS; è stato nel passato anche Ministro del Lavoro nel Governo di Spagna.
Traduco i passi più significativi, invitando naturalmente chi conosce un po' di castigliano, a leggere tutto l'articolo di cui riporto il link..
Non mi stanco di ripetere che i gitani in Spagna sono, in numero assoluto, sei volte gli “zingari” che si trovano in Italia, in percentuale la differenza cresce; e che i gitani spagnoli non sono “speciali”: sono arrivati in Spagna con le stesse tre grandi migrazioni con cui sono arrivati in Italia.

Di seguito alcuni dei passi più importanti dell'articolo.

domenica 3 ottobre 2010

VECCHI E GIOVANI D'ITALIA E DI SPAGNA 3 - Inchieste sorelle


I giornalisti se ne sono accorti? Perché non lavorano insieme per mettere a confronto le due situazioni?

Continuano a uscire su El País puntate della grande inchiesta sui giovani spagnoli. Mi preme mettere in evidenza una cosa curiosa: avevo affermato nel mio precedente post che i due quotidiani, El País e La Repubblica, sono quasi fratelli, pur con differenze. E, a conferma di questa mia considerazione, ecco due inchieste parallele sui giovani: quella de El País, di cui ho già parlato e forse tornerò a parlare, e quella, partita qualche giorno fa, sui giovani italiani che se ne sono andati dal nostro paese. Questa seconda inchiesta prende le mosse dal libro di Claudia Cucchiarato, che ho recensito in un mio post precedente. La Repubblica, come anche il quotidiano spagnolo, ha richiesto la collaborazione diretta di coloro che sono oggetto dell'inchiesta: perciò gli italiani emigrati sono invitati a raccontare la loro storia.

Ora mi chiedo: perché, visto che i due quotidiani sono fratelli, che l'Italia e la Spagna, alla fin dei conti, sono state nel male e per qualche aspetto pure nel bene, per lungo tempo, nazioni sorelle, perché qualche giornalista dell'uno e dell'altro paese non si incarica di mettere a confronto i dati delle due mega-inchieste? Potrebbe scaturire un ragionamento molto interessante. È proprio dal confronto con altre, infatti, che una singola situazione acquisisce nuovi significati, nuovi colori, e parla davvero: specie se ha per oggetto l'analisi di vicende umane, che, non essendo mai compiute e per loro natura assai imperfette, necessitano, per essere ben valutate, di punti di riferimento esterni. E poi, se davvero si vuole fare questa benedetta Europa, non ci si può rinchiudere in analisi che riguardano i singoli paesi. Quale migliore occasione di queste due inchieste, per condurre un discorso di più ampio respiro?

sabato 25 settembre 2010

VECCHI E GIOVANI DI SPAGNA E D'ITALIA 2- Giovani disoccupati e precari nei due paesi + affanni e meriti di quotidiani quasi fratelli



Inchiesta su giovani e lavoro, El País, La Repubblica

Quello che dirò in questo post, come ho già preannunciato, sarà, almeno per molti aspetti, in contraddizione con quanto ho raccontato nel precedente, facendo riferimento al libro Vivo altrove - Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi, di Claudia Cucchiarato.
Parlando di giovani, disoccupazione e precariato, farò riferimento a due grandi quotidiani, El País e La Repubblica, affratellati in tante occasioni (pubblicano qualche gli stessi articoli, si scambiano “visite” di direttori e giornalisti, ecc. ecc.)

El País sta pubblicando un grande servizio a puntate sui giovani spagnoli: si tratta di quel giornalismo di inchiesta avvincente, che si avvale di una ricca messe di dati, ma anche di interviste, della narrazione di storie individuali: apre non solo finestre, anche porte grandi sul mondo, sensazione che difficilmente si prova leggendo la nostra stampa.
L'inchiesta de El País, nel suo complesso, ha come titolo Reportaje (pre)parados. Un sovra-titolo che gioca sul senso del participio “preparados”: i giovani disoccupati sono parados (“disoccupazione” in spagnolo si dice “paro”, e “disoccupato” “parado”); però, al tempo stesso sostiene che questa generazione di senza-lavoro, di parados, appunto, è pure formata in buona parte da giovani preparados, preparati come mai è avvenuto nella storia: giovani che parlano più lingue, cosa che la nostra generazione neppure si sognava, che hanno a volte più titoli accademici, che hanno fatto esperienza di master e di dottorato in paesi diversi e lontani, ecc. E questo riconoscimento ai ragazzi mi pare molto bello e giusto. Non sopporto la hybris di persone della mia generazione che parlano di questi giovani con tono di sufficienza, come se si trattasse di una massa di ignoranti.

Giornalisti de La Repubblica conducono una coraggiosa battaglia di civiltà e di smascheramento delle infinite malefatte di chi oggi ha il potere (non su tutti gli argomenti, in particolare negli articoli di cronaca “nera”, il livello resta alto; e il gossip di prima pagina dell'edizione on-line è certe volte quasi insopportabile): in molti casi, con le loro analisi puntuali e certamente faticose del quadro politico italiano, pacate ma lontane da ogni codardia e quasi sempre da ogni esasperazione e schematismo, danno l'impressione svolgere un ruolo vicario di un'opposizione quanto meno democratica che pare a volte incredibilmente paralizzata e balbettante.
Però si ha anche l'impressione che l'inevitabile affanno a denunciare la malattia italiana tolga spazio allo spirito di inchiesta, alla lettura approfondita e ampia di aspetti importanti della società, di un brutto sogno che giornalisti valorosi devono attraversare fino in fondo, per forza. Tra le mascalzonate di chi ci governa e di chi asseconda quest'atmosfera c'è anche una sorta di “riduzione in schiavitù” del buon giornalismo, costretto a inseguire squallide vicende pubbliche e private di potenti furbi e ignoranti.

martedì 21 settembre 2010

VECCHI E GIOVANI DI SPAGNA E D'ITALIA 1 – Quasi clerici vagantes dei nostri giorni



Un bel libro e qualche altra cosa


"Vecchi e giovani di Italia e Spagna": mi riprometto di ragionare su questo tema per qualche puntata. Dei vecchi faccio parte io, dei giovani parlano il bel libro di una giornalista di 31 anni, Claudia Cucchiarato, e una serie di servizi interessanti su storie di disoccupazione e di precarietà di giovani spagnoli, che hanno cominciato a essere pubblicate da El País a partire dalla scorsa domenica.
Questi i fili conduttori che seguirò con il mio ragionamento: due interpretazioni del mondo giovanile (sono incluse in questo mondo le persone fino a 35 anni, e fors'anche un poco oltre), che in parte, come vedremo, paiono e forse sono davvero in contraddizione. Una contraddizione avvincente.
Di tanto in tanto farò ricorso a qualche altro contributo interessante.
Solo alla fine, io, che appunto rientro nella categoria dei vecchi, lascerò che scendano dalla mia testa sul foglio elettronico alcuni pensieri che mi martellano da un bel po'.





domenica 19 settembre 2010

COSE DI SPAGNA E POCO D'ITALIA – La discussione in Spagna sull'espulsione dei gitani dalla Francia


Juan de Dios Ramírez Heredia  è un signore anziano, un poco più di me, ma ancora bello. L'ho visto e ammirato in un convegno su xenofobia e razzismo tenutosi nell'Università di Cadice lo scorso autunno.

Nato a Puerto Real (un paese a una ventina di chilometri da Conil), è laureato in Diritto e in Scienze dell'Informazione nell'Università Autonoma di Barcellona; qui ha fatto pure il dottorato.
È stato più volte deputato nel Parlamento spagnolo; successivamente è stato per molti anni membro del Parlamento europeo. Dal 1998 è membro del Consiglio di Amministrazione dell'Osservatorio Antirazzista dell'Unione Europea.
Gitano, ha firmato la Costituzione Spagnola del 1978, in rappresentanza dei gitani, e si è adoperato, con l'avvento della democrazia, per la scolarizzazione dei bambini gitani e per il miglioramento delle condizioni di vita di questa minoranza.

lunedì 13 settembre 2010

COSE DI SPAGNA E D'ITALIA - L'Inizio dell'anno scolastico in un paese normale, la Spagna.



Leggendo le cronache italiane di questi giorni – fra tappetini con simboli celtici, persone disperate costrette a occupare gli spazi più strani, un deputato che chiama la comunità nazionale a discutere sulla liceità della prostituzione ai fini della carriera... viene una grande tristezza e anche la voglia di ricordare che anche nel nostro paese, in tempi non troppo lontani, si discuteva di scuola, di formazione, di quello che si doveva o non si doveva fare per le nuove generazioni. Allora non si era contaminati da pruriti di vecchiaie oscene, che nulla hanno a che fare con una giusta ricerca di piacere e di contentezza.
Leggendo sul sito del Ministerio de Educación Español (denominazione che ovviamente corrisponde a quella del Ministero dell'Istruzione del nostro paese) mi assale una nostalgia di tempi per noi quasi felici: in cui io aspettavo l'autunno e l'inizio di un nuovo anno scolastico come si attende una scoperta. Davvero fortunata, la mia generazione!
Propongo di seguito, in traduzione fedele (riproduco anche la paragrafazione del testo originale), il resoconto dell'intervento del Ministro dell' Educazione spagnolo nel Consiglio dei Ministri: risale al 3 settembre ed è riportato nel sito del Ministero.
Di tanto in tanto inserisco qualche mia spiegazione o commento: sono segnalati con sottolineatura.
Se ne avrò la forza, cercherò di approfondire nel tempo il discorso sulla scuola in Spagna. Spero, ma non prometto, che questo sia il primo articolo sull'argomento,

Ricordo, perché sia più facile contestualizzare il discorso, due dati che si possono recuperare anche da miei post precedenti: la popolazione spagnola è di circa 47 milioni di persone, e al suo interno gli immigrati sono circa il 12%. Inoltre sono stati integrati finora – e il processo continua sia pure fra contraddizioni – circa un milione di gitani, con scolarizzazione generalizzata dei bambini.
Nel documento che propongo in traduzione in questo post si parla solo di scuola, non di università. Inoltre in Spagna tutti gli insegnanti, a partire dalla primaria, vengono chiamati “professori”.

ARABISTI E ARABESCHI 16 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 4 - Un poeta bizantino-persiano, di fede musulmana, “peccatore” e sfortunato, alla prese con i califfi di Baghdad

Ibn ar-Rūmī fu chiamato “figlio del Greco” perché figlio di un bizantino convertito all'Islam. Rūmī in arabo ha il significato di “romano” (venivano chiamati così i bizantini, sudditi dell'Impero romano d'Oriente). La madre era invece persiana. Ormai pienamente inserito nella società araba, visse in età Abbàside, nel IX secolo. Fu poeta di corte, ma anche partecipe delle lotte del tempo all'interno della società musulmana. Aderì al movimento mu'talizita e sciita (per informazioni su questi movimenti, puoi leggere un mio precedente post), si schierò spesso dalla “parte sbagliata”, nelle sanguinose contese per la successione califfale.
Ebbe una vita difficile, amareggiata dallo scarso riconoscimento delle sue qualità letterarie, funestata da lutti familiari. Il suo diwan (canzoniere), che comprende circa 17000 versi, contiene canti su temi assai vari: immagini e vicende della vita sociale e politica del suo tempo, descrizioni piene di virtuosismo di persone, animali, aspetti della natura, amore raffinato, satire contro poeti rivali.
Pare che questo poeta sia morto in seguito a un misterioso avvelenamento nell’896.
La sua posizione religiosa non gli impedì di condurre una vita “libera”, contraria alle norme della sua religione, di scrivere poesie bacchiche spregiudicate.

Propongo di Ibn ar-Rūmī tre poesie. La prima tratta da un bel libro, Hafez Haidar, La letteratura
araba dalle origini all’età degli Abbasidi, Rizzoli 1995, che purtroppo non si trova più nelle
librerie, solo nelle biblioteche. Mi chiedo perché le case editrici non ripubblichino opere importanti
e interessanti, di cui ci sarebbe ancora bisogno. Nel caso specifico, perché si pubblichino nuove
opere di Hafez Haidar e si lascino andare nel dimenticatoio un libro prezioso dello stesso autore.

sabato 11 settembre 2010

ARABISTI E ARABESCHI – INTERMEZZO – Sarebbe bello se...


Sarebbe bello se un arabista bravissimo pubblicasse un manuale di metrica dell'antica poesia araba. Ho cercato e non ho trovato nulla, né in Italia né in Spagna: nulla che si possa comprare e usare.

C'era un libretto di Paolo Minganti, Appunti di metrica araba, Istituto per l'Oriente, Roma, 1972: l'ho ordinato due volte a uno dei grandi negozi on-line italiani che lo ha tuttora in catalogo, il libretto però non è arrivato e io ho perso i soldi (pochi, in verità).

Mi è stato gentilmente regalata la riproduzione di un libro in castigliano pubblicato a Tetuán nel 1919, ed. La Papelera Africana: Tratado de la Poesía Árabe, por Emilio Alvarez Sanz y Tubau. Per me e, suppongo, per molti, pure tra quelli che studiano e si laureano in Filología Árabe in un'università spagnola, è troppo difficile.

giovedì 9 settembre 2010

"El collar de la paloma Ibn Hazm" Jaime Sánchez Ratia 5/5

"El collar de la paloma de Ibn Hazm" Jaime Sánchez Ratia 2/5

ARABISTI E ARABESCHI 15 – LA POESIA NELL'ETÀ DEGLI ABBASIDI 3 (e oltre) - Il Pazzo d'amore attraverso secoli e luoghi remoti (seconda parte)


Il sufismo e il poeta persiano Jami

Il sufismo è una corrente mistica ed esoterica che si è diffusa nell'Islam soprattutto sunnita, e in parte recupera spinte neoplatoniche e anche indù, e sostiene la possibilità di una conoscenza diretta di Dio attraverso lo slancio del cuore e della mente. Spesso tale slancio viaggia sulle ali della musica e della danza. Il musicista italiano Franco Battiato, riprendendo fili diversi che uniscono la Sicilia all'eredità araba, si dichiara seguace della corrente sufi. Vedi, a tal proposito, quest'intervista quest'intervista.
Il sufismo pone al centro sia le angosce e i dolori della vita, sia il loro superamento attraverso un impeto spirituale che tende all'assoluto.

Jami, poeta persiano e girovago del XV secolo – morì proprio nell'anno, il 1492, in cui l'ultimo regno arabo di Spagna cadeva nelle mani dei re cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona – riscrisse la storia di Majnum e Layla in chiave sufi. È uscita in traduzione spagnola presso una piccola, ma bella casa editrice di Madrid, l'Editorial Sufi, che pubblica testi provenienti dalle diverse tradizioni soprattutto orientali.
Jamí riunì le sue poesie in tre diwan (canzonieri, raccolte): Prima gioventù, La perla centrale della collana, La fine della vita. I suoi versi, quando egli era ancora in vita, venivano recitate in gran parte del mondo musulmano, dall'Asia centrale al Maghreb.






martedì 7 settembre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 14 – LA POESIA NELL'ETÀ DEGLI ABBASIDI 2 (e oltre) - Il Pazzo d'amore attraverso secoli e luoghi remoti (prima parte)



Qais, il Pazzo d'amore e Leyla (= notte)

Inizio la piccola antologia dell'epoca abbaside parlando di due personaggi davvero mitici: il poeta leggendario Qais, il Pazzo (in arabo Majnún) e la sua amata Leyla (questo nome significa in arabo “notte”; avverto che vocali e consonanti dei nomi trascritti dall'arabo possono variare, a seconda delle scelte di chi li trascrive. Citando da testi diversi, anch'io cambierò la trascrizione).
I due sfortunati amanti, nati nel deserto, fra le tribù beduine, nell'età ommayyade o addirittura nella jiahiliyya, l'epoca pre-islamica, attraversano secoli e lande lontane: l'Irak, la Turchia, la Persia, l'Azerbaijgian, la Spagna araba... Chissà se Ariosto sentì parlare di questo personaggio, è certamente azzardato ipotizzare legami.
Naturalmente la storia ha subito variazioni, nel suo lungo cammino.

Se vuoi avere un'idea dei viaggi nello spazio e nel tempo compiuti dal Pazzo per amore, su questo sito in inglese. Uno degli ultimi poeti che ha ricordato la storia di Qais è Mahmoud Darwish (1941-2008): per saperne di più, clicca qui.

domenica 5 settembre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 13 – LA POESIA NELL'ETÀ DEGLI ABBASIDI 1 – Guerre, fondazione di Baghdad, frantumazione del califfato, splendore culturale

Alla metà dell'VIII secolo si scatenò nel mondo islamico una fitna che travolse la dinastia omayyade. Ebbe inizio nel Khorasàn e fu capeggiata dal clan dei Banū 'Abbās, che vantavano la discendenza dallo zio del Profeta. Ebbero alleati gli Alidi, che rivendicavano anch'essi il potere in quanto parenti di Maometto. Al termine della sanguinosa contesa, gli Abbasidi, che avevano massacrato quasi tutti i membri della dinastia omayyade, ottennero il potere e gli Alidi, emarginati, dopo ulteriori scontri, avrebbero dato vita allo sciismo. Alle radici di questa ennesima e non ultima guerra interna al mondo islamico, c'era anche l'insofferenza per la predominanza degli arabi in posti di potere, in un impero che ormai si estendeva in tre continenti (Africa, Asia ed Europa) e in un mondo religioso in cui teoricamente i fedeli avrebbero dovuto trovarsi sullo stesso piano: c'era stata invece a lungo una discriminazione dei mawlā, musulmani non di origine araba.
Quindi la dinastia abbaside, una volta che si instaurò, fu portatrice anche di istanze universalistiche, coerenti con l'espansione dell'Islam.

sabato 4 settembre 2010

giovedì 2 settembre 2010

COSE DI SPAGNA, D'ITALIA, DELL'UNIVERSO - Mal di schiena, Desmond Morris e disegno intelligente



Quando l'impulso di toccare è bloccato, sia per una disgrazia personale sia per i tabù sociali, trova quasi sempre un modo di esprimersi, senza badare alle conseguenze.” Desmond Morris
Non so bene che c'entri questa citazione con il mio post: mi pare un pensiero bellissimo e molto profondo e perciò l'ho scelto, a prescindere dalla sua connessione con quanto segue. Aggiungo che il “toccare” qui non allude necessariamente alla sfera sessuale: Desmond Morris parla molto, ad esempio, dei colpetti che un umano dà sulla spalla di un altro per confortarlo di qualcosa, atteggiamento simile a quello degli scimpanzé.



Molte persone della mia età – soprattutto donne – soffrono di mal di schiena. Anch'io ne soffro. L'essere bipedi, il protendere per tutta la vita le mani in avanti stando in piedi – per pulire la casa, per lavare i piatti, per cucinare, per tenere in braccio i bambini, per dare da mangiare ai gatti ecc. ecc. - tutto ciò fa sì che la spina dorsale si scombini, che gli incastri fra le vertebre perdano la loro coesione.
Il bipedismo è stato vantato da più parti come uno stadio che ha consentito all'essere umano di staccarsi da tutti gli altri mammiferi, e, come si sa, tale scatto è attribuito da molti a un “disegno intelligente”, vale a dire a un intervento divino in un processo evolutivo che pochi ormai osano negare. Com'è noto al bipedismo umano si accompagnano molte altre trasformazioni positive: pollice opponibile, frontalità degli occhi e quindi profondità dello sguardo, ecc. ecc..

mercoledì 1 settembre 2010

VIAGGIO IN PALESTINA: ANNO 1995



A DISTANZA DI QUINDICI ANNI

Mi è venuto in mente che potrebbe forse essere di qualche utilità proporre il diario di un viaggio politico che feci in Palestina nel 1995, quando erano ancora vive le speranze di pace degli accordi di Oslo, prima che l'ebreo fanatico e fascista ammazzasse Rabin.
Si tratta di un diario molto lungo, non so se almeno un lettore riuscirà ad arrivare fino in fondo.
Rileggendolo, a distanza di anni, mi sono ritornati come vivi quei pezzi di società palestinese che conobbi: un fermento di idee, di tentativi, di speranze, di disperazione, una confusione molto vitale. Mi chiedo che ne sia oggi delle persone che conobbi in quei giorni.
Metto nei miei Cavallini questa testimonianza confusa augurando soprattutto a me stessa – non oserei rivolgere un augurio al mondo – che Obama, che pare riprendere i fili di quel difficile processo di pace, riesca, pur con tutti gli scossoni del caso, a portare a compimento il suo intento: e con lui, gli uomini e le donne di pace di Palestina e d'Israele.

Dall'uccisione di Rabin, in quel tormentato fazzoletto di terra, hanno preso corpo gli incubi peggiori che quindici anni fa uno poteva paventare, ma non prevedere. Si pensava che potesse succedere quel che dopo è successo allo stesso modo in cui io, che sto scrivendo al computer in casa mia, posso immaginare che entri uno strangolatore e mi ammazzi.
Certo, c'erano due fondamentalismi in agguato, mentre strangolatori nei paraggi della mia casa non dovrebbero essercene.
Nella campagna elettorale che si ebbe dopo la morte di Rabin, in un mese saltarono in aria tre pullman a Gerusalemme. Fu eletto per la prima volta Nethanyahu. Si chiudeva così un cerchio tremendo, che non si è riusciti più a spezzare. Fino a oggi.

Non propongo una cronologia delle tragedie degli ultimi quindici anni e precedenti – non è certo mia intenzione e presunzione rivisitare la storia di Israele e le memorie contrapposte e avvelenate di due popoli, vittime in larga parte – non completamente, le responsabilità del presente non derivano meccanicamente dal passato – del colonialismo, dei genocidi, delle guerre di cui l'Europa è stata artefice (comunque indico un sito in cui è possibile trovare la cronologia degli eventi fino al 2000. e un altro in cui si arriva al 2010).

Mi sono formata una convinzione peraltro abbastanza ovvia: l'antigiudaismo e poi l'antisemitismo, e non solo verso gli ebrei, anche anti-arabo e anti-islamico, sono stati invenzioni tutte europee, dell'Europa dei gentili; e, poiché il "vizio" non si è estinto, ogni schematizzazione, ogni semplificazione sui conflitti che travagliano la regione, lo fa riemergere prepotentemente.

Un corollario a questa convinzione è il seguente: è assurdo e anche un po' razzista pensare che chi è stato massacrato diventi “più buono”, “più morale”. In genere diventa più cattivo, a meno che una curvatura forzosamente e virtuosamente imposta al proprio pensiero e al proprio sentire, per ragioni etiche indipendenti dal massacro, capaci di resistere al massacro, non induca a moderazione, a generosità, ad apertura - che non è dimenticanza - persino verso quelli appartengono al popolo dei persecutori. Questo vale per gli ebrei, per i palestinesi, per tutti i perseguitati.

Infine, mi pare che in questa terra densa di passato, la memoria indurita abbia mostrato e mostri tuttora tutte le sue patologie. Ci siamo sentiti dire – anche io l'ho spesso detto e ripetuto, soprattutto quando ancora insegnavo – che trovare e valorizzare la memoria avrebbe aiutato a non commettere atrocità del passato. Ci siamo accorti in questi ultimi decenni che la memoria, necessaria, può anche irrigidirsi in cattiva retorica e diventare un'arma di offesa tremenda. La memoria deve servire al futuro, provocare uno scatto; è orribile la memoria che asservisce il futuro. Mandela ha insegnato molto in proposito.

Certo, Israele, soprattutto con la sua destra al potere, ha offeso diritti umani, dignità, distrutto vite. Hanno fatto cose tremende. Soprattutto perché Israele è più potente, più armato.

La diaspora italiana ebraica si è divisa in questi anni, da quando la destra italiana si è opportunisticamente riscoperta filo-ebraica (nonostante le barzellette offensive antisemite a cui il nostro incredibile premier non è riuscito a rinunciare, nonostante alleanze con forze nostalgiche di Mussolini e di Hitler): sono molti gli ebrei italiani che hanno pensato che con questa destra si può andare d'accordo, purché appoggi sempre e comunque Israele. Chi voglia conoscere l'articolazione e anche il conflitto di posizioni all'interno della comunità ebraica italiana, può andare al sito del Gruppo Martin Buber
.
Anche i palestinesi si sono spaccati, in terra di Palestina soprattutto, con lotte intestine sanguinose.
Mi dico che i due popoli sono dannati a essere perennemente uno lo specchio dell'altro, immagini tragiche, a meno che non si vada a una pace che, come tutte le paci che vengono dopo una storia così devastante e devastata, sarà un poco o troppo “sporca”, non fulgente come la vorrebbero in astratto quelli che o la palingenesi o niente.

Penso che coloro che ieri erano contrari a Oslo, che oggi guardano con sufficienza il tentativo di Obama, perché ritengono più giusta la suprema vendetta e una liberazione totale, dovrebbero anche dire che la Polonia, con la sua antisemita Radio Maria non deve stare in Europa prima di aver restituito case e averi ai 3.500.000 di ebrei sterminati o fuggiti. Retrocedendo retrocedento, si potrebbe dall'esterno chiedere che vengano riparate cacciate, esplulsioni, uccisioni, sofferenze con la stessa moneta: dopo anni, decenni, magari anche dopo secoli. Naturalmente sarebbe una follia.

Indico qui anche il sito dell'Oasi di Pace Nevé Shalom, di cui parlo nelle pagine che seguono.