"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

mercoledì 1 settembre 2010

VIAGGIO IN PALESTINA: ANNO 1995



A DISTANZA DI QUINDICI ANNI

Mi è venuto in mente che potrebbe forse essere di qualche utilità proporre il diario di un viaggio politico che feci in Palestina nel 1995, quando erano ancora vive le speranze di pace degli accordi di Oslo, prima che l'ebreo fanatico e fascista ammazzasse Rabin.
Si tratta di un diario molto lungo, non so se almeno un lettore riuscirà ad arrivare fino in fondo.
Rileggendolo, a distanza di anni, mi sono ritornati come vivi quei pezzi di società palestinese che conobbi: un fermento di idee, di tentativi, di speranze, di disperazione, una confusione molto vitale. Mi chiedo che ne sia oggi delle persone che conobbi in quei giorni.
Metto nei miei Cavallini questa testimonianza confusa augurando soprattutto a me stessa – non oserei rivolgere un augurio al mondo – che Obama, che pare riprendere i fili di quel difficile processo di pace, riesca, pur con tutti gli scossoni del caso, a portare a compimento il suo intento: e con lui, gli uomini e le donne di pace di Palestina e d'Israele.

Dall'uccisione di Rabin, in quel tormentato fazzoletto di terra, hanno preso corpo gli incubi peggiori che quindici anni fa uno poteva paventare, ma non prevedere. Si pensava che potesse succedere quel che dopo è successo allo stesso modo in cui io, che sto scrivendo al computer in casa mia, posso immaginare che entri uno strangolatore e mi ammazzi.
Certo, c'erano due fondamentalismi in agguato, mentre strangolatori nei paraggi della mia casa non dovrebbero essercene.
Nella campagna elettorale che si ebbe dopo la morte di Rabin, in un mese saltarono in aria tre pullman a Gerusalemme. Fu eletto per la prima volta Nethanyahu. Si chiudeva così un cerchio tremendo, che non si è riusciti più a spezzare. Fino a oggi.

Non propongo una cronologia delle tragedie degli ultimi quindici anni e precedenti – non è certo mia intenzione e presunzione rivisitare la storia di Israele e le memorie contrapposte e avvelenate di due popoli, vittime in larga parte – non completamente, le responsabilità del presente non derivano meccanicamente dal passato – del colonialismo, dei genocidi, delle guerre di cui l'Europa è stata artefice (comunque indico un sito in cui è possibile trovare la cronologia degli eventi fino al 2000. e un altro in cui si arriva al 2010).

Mi sono formata una convinzione peraltro abbastanza ovvia: l'antigiudaismo e poi l'antisemitismo, e non solo verso gli ebrei, anche anti-arabo e anti-islamico, sono stati invenzioni tutte europee, dell'Europa dei gentili; e, poiché il "vizio" non si è estinto, ogni schematizzazione, ogni semplificazione sui conflitti che travagliano la regione, lo fa riemergere prepotentemente.

Un corollario a questa convinzione è il seguente: è assurdo e anche un po' razzista pensare che chi è stato massacrato diventi “più buono”, “più morale”. In genere diventa più cattivo, a meno che una curvatura forzosamente e virtuosamente imposta al proprio pensiero e al proprio sentire, per ragioni etiche indipendenti dal massacro, capaci di resistere al massacro, non induca a moderazione, a generosità, ad apertura - che non è dimenticanza - persino verso quelli appartengono al popolo dei persecutori. Questo vale per gli ebrei, per i palestinesi, per tutti i perseguitati.

Infine, mi pare che in questa terra densa di passato, la memoria indurita abbia mostrato e mostri tuttora tutte le sue patologie. Ci siamo sentiti dire – anche io l'ho spesso detto e ripetuto, soprattutto quando ancora insegnavo – che trovare e valorizzare la memoria avrebbe aiutato a non commettere atrocità del passato. Ci siamo accorti in questi ultimi decenni che la memoria, necessaria, può anche irrigidirsi in cattiva retorica e diventare un'arma di offesa tremenda. La memoria deve servire al futuro, provocare uno scatto; è orribile la memoria che asservisce il futuro. Mandela ha insegnato molto in proposito.

Certo, Israele, soprattutto con la sua destra al potere, ha offeso diritti umani, dignità, distrutto vite. Hanno fatto cose tremende. Soprattutto perché Israele è più potente, più armato.

La diaspora italiana ebraica si è divisa in questi anni, da quando la destra italiana si è opportunisticamente riscoperta filo-ebraica (nonostante le barzellette offensive antisemite a cui il nostro incredibile premier non è riuscito a rinunciare, nonostante alleanze con forze nostalgiche di Mussolini e di Hitler): sono molti gli ebrei italiani che hanno pensato che con questa destra si può andare d'accordo, purché appoggi sempre e comunque Israele. Chi voglia conoscere l'articolazione e anche il conflitto di posizioni all'interno della comunità ebraica italiana, può andare al sito del Gruppo Martin Buber
.
Anche i palestinesi si sono spaccati, in terra di Palestina soprattutto, con lotte intestine sanguinose.
Mi dico che i due popoli sono dannati a essere perennemente uno lo specchio dell'altro, immagini tragiche, a meno che non si vada a una pace che, come tutte le paci che vengono dopo una storia così devastante e devastata, sarà un poco o troppo “sporca”, non fulgente come la vorrebbero in astratto quelli che o la palingenesi o niente.

Penso che coloro che ieri erano contrari a Oslo, che oggi guardano con sufficienza il tentativo di Obama, perché ritengono più giusta la suprema vendetta e una liberazione totale, dovrebbero anche dire che la Polonia, con la sua antisemita Radio Maria non deve stare in Europa prima di aver restituito case e averi ai 3.500.000 di ebrei sterminati o fuggiti. Retrocedendo retrocedento, si potrebbe dall'esterno chiedere che vengano riparate cacciate, esplulsioni, uccisioni, sofferenze con la stessa moneta: dopo anni, decenni, magari anche dopo secoli. Naturalmente sarebbe una follia.

Indico qui anche il sito dell'Oasi di Pace Nevé Shalom, di cui parlo nelle pagine che seguono.




DIARIO DI VIAGGIO IN CISGIORDANIA E A GAZA (CON FUGACI VISITE IN ISRAELE)

PREMESSA

Comincio a riordinare questi appunti di viaggio il 21 agosto 1995.
Insegno, in un Istituto magistrale sperimentale a indirizzo linguistico di Bergamo, italiano, latino e storia. Sono stata per molto tempo in organizzazioni di sinistra: il Pci, il Manifesto, poi Pdup, il Pds. Ne sono uscita qualche anno fa. Sono tuttora iscritta e attivista, per quel che ritengo possibile per me, nella CGIL scuola.
Nella mia vita ho viaggiato pochissimo, per ragioni di forza maggiore. Mi sono nel tempo appassionata alla cultura ebraica. Sono agnostica. Non conosco l'inglese

Mio padre era un ufficiale di carriera: frequentò l'Accademia proprio negli anni di ascesa del fascismo, fu volontario nella campagna etiopica, poi partecipò alla seconda guerra mondiale in Africa Orientale, dove, per fortuna, fu preso prigioniero dagli inglesi relativamente presto. Lo conobbi che avevo cinque anni. Era certamente antisemita, non so con quale intensità: ricordo qualche sua battuta cattiva sugli ebrei. Non riuscii mai a parlare con lui di queste cose. Morì sedici anni fa.
È stata questa pesante eredità, insieme ad altri motivi, a spingermi a occuparmi, sebbene troppo tardivamente, della componente ebraica della cultura europea: volevo capire non ciò che negli ebrei ha attirato tanti odi, ma la follia dei "gentili": come avessero potuto perdurare e svilupparsi in loro pensieri e progetti tanto orribili e al tempo stesso tanto miseri. Qualche risposta credo di averla trovata, non tutte, naturalmente. In questo mio percorso, non potevo non imbattermi in Israele. Ho letto abbastanza sul Vicino Oriente. Nell'agosto 1995, poi, ho fatto un viaggio nei Territori palestinesi.

PREPARAZIONE E PARTENZA

Ho deciso d'improvviso di partire, incoraggiata da una mia amica, Elisabetta, di diversi anni più anziana di me, sindacalista della Cisl.
Il volantino che propagandava il viaggio prometteva un percorso soprattutto nei Territori, ma anche, in subordine, in Israele: a Tel Aviv, ad Haifa e a Nazareth, con incontri con amministratori e politici. Arrivata a Roma qualche giorno prima della partenza per Gerusalemme, ho ricevuto una cartella contenente alcuni documenti. Ho provato subito una forte indignazione nel leggere una cronologia riportata su un numero si Umbria-Regione del novembre 1994, dedicato alla Palestina: non si parla della Shoah, di terrorismo arabo poco e solo a partire dal '94, è molto sfumato il discorso sulle persecuzioni dei palestinesi a opera degli stati arabi ecc.

Quella che stendo è una specie di verbalizzazione di ciò che si è detto, negli incontri con i palestinesi e con altri e tra italiani. Non ho condotto su questo materiale una vera rielaborazione, non ho tentato di sintetizzarlo, perché non me la sento di scegliere un "taglio" intorno a cui riorganizzare i veri segmenti dell'esperienza.
Non posso parlare proprio di tutti i momenti del viaggio, perché non su tutti ho preso appunti chiari ed esaurienti o ricordo precisamente quel ch'è avvenuto. Inoltre ho tagliato fuori i pochi momenti "turistici", il fascino di certi paesaggi ecc. Il fatto di non conoscere l'inglese mi ha svantaggiata e avvantaggiata: svantaggiata per ovvie ragioni, avvantaggiata perché ho avuto più tempo, seguendo la traduzione di quanto hanno detto i nostri interlocutori palestinesi, di prendere appunti.

Poco prima del viaggio, alla mia amica Elisabetta arriva un fax, in cui, fra l'altro, si dice come si può evitare, entrando in Israele, di farsi mettere il visto di questo Stato sul passaporto.
Partiamo il 5 agosto.
Nel resoconto che segue, le mie poche riflessioni che intercaleranno i dialoghi e le discussioni verranno scritte in corsivo. Metterò un (?) dove non capisco bene il senso di qualche affermazione altrui che riporto. Cercherò di segnalare, quando gli appunti che ho preso me lo permetteranno, chi degli italiani ha fatto domande oppure osservazioni o battute durante i dibattiti o in altri momenti. Non sempre ciò sarà possibile, perché ho spesso trascritto gli interventi senza annotare i nomi degli italiani che li avevano fatti: contrassegnerò questi interventi "senza nome" di italiani con "Domanda". Segnalerò quando gli interventi sono stati fatti da me: perché sia più facile legare il resoconto dei fatti con le posizioni di chi l'ha stesa. Ci potrà essere qualche errore marginale nel resoconto di fatti e di opinioni: non si tratterà in nessun caso di invenzioni o forzature. Gli errori, soprattutto in relazione a riunioni in cui ci siamo trovati di fronte a molti interlocutori che non conoscevamo (per esempio nel kibbutz di Megiddo), possono consistere nell'attribuire a uno qualcosa che ha detto un altro, che non era comunque su posizioni opposte rispetto al primo. Questo tipo di imprecisioni non riguarda però mai opinioni espresse da italiani del gruppo o dalle nostre guide.

Ha dunque inizio il mio diario di viaggio.

5 AGOSTO

Sull'aereo riceviamo il programma più dettagliato del viaggio. Tel Aviv è "saltata", ed anche Haifa e Nazareth: cioè quasi tutte le tappe in territorio israeliano.
Quando si arriva all'aeroporto di Tel Aviv, Elisabetta lascia di proposito che stampino sul suo passaporto il visto. Io vengo dopo due del gruppo che hanno detto di non volere il visto. La ragazza israeliana addetta a questo, leggendo sul modulo che ho compilato che la mia destinazione è la stessa delle due che mi hanno preceduto, non stampa il visto sul mio passaporto. Me ne accorgo solo dopo e vivo la cosa piuttosto male: come un mio rifiuto di riconoscere lo stato d'Israele. Cerco di porre riparo alla cosa, ma non c'è più nessuno allo sportello dove mettevano i visti.
Dopo mi spiegano che chi ha sul passaporto il timbro di Israele, potrebbe incontrare difficoltà a entrare in alcuni stati arabi.

Le organizzatrici e le guide del viaggio sono due: la principale, che chiamo A. e la sua "vice", che chiamo B..

Alla partenza c'è soltanto B.: A. arriverà dopo tre giorni.

Si va nell'albergo di Gerusalemme Est in pullman. Alla prima riunione nell'albergo, tenutasi la sera stessa dell'arrivo, Elisabetta e io insistiamo perché sia ripristinata almeno la tappa a Tel Aviv. B. ci risponde che non è possibile in alcun modo rintrodurla; poi dice che è la settima volta che viene in questi luoghi, ma di Tel Aviv ha visto soltanto l'aeroporto.
Quindi, prima che usciamo per Gerusalemme, B. ci raccomanda di non disperderci. Visto che gli ebrei (parlerà quasi sempre di "ebrei" e non di "israeliani" fino a quando arriverà A., come dirò in seguito) trascurano l'illuminazione delle strade di Gerusalemme Est, c'è pericolo per le donne di essere infastidite.

Si è fatta sera. Mi trovo con un gruppetto di persone in giro per Gerusalemme e mi metto a discutere con due signore di Milano: una è insegnante di italiano e storia di scuola media superiore tuttora in servizio e un'altra insegnante in pensione. Dico del mio disaccordo sulla documentazione e porto ad esempio la cronologia di UmbriaRegione, in cui manca persino un accenno all'Olocausto. L'insegnante mi risponde che è ora di smetterla di tirar fuori l'Olocausto: se nei campi di sterminio c'erano trenta capi-famiglia ebrei che mandavano a gasare tutti gli altri... L'altra la interrompe: no, non si possono giudicare così le cose, anche lei, se fosse stata nelle condizioni degli ebrei, forse avrebbe collaborato con i nazisti.

6 AGOSTO

Alla mattina, prima che si esca per Gerusalemme, ci viene a parlare un signore armeno, cattolico. Racconta la storia di Gerusalemme. Parla poi della situazione attuale di Gerusalemme, città di cristianesimo ed islamismo, contesa da Israele. Non una parola sull'ebraismo.
Gli chiedo cosa pensa del terrorismo, e se ritiene che Hamas abbia un'incidenza ampia sui palestinesi. Risponde che il terrorismo è un fenomeno internazionale ed evoca la Baader Meinhof in Germania, le BR in Italia. Dice che dal '70 è nato il fondamentalismo islamico. Quanto al seguito che Hamas ha fra i palestinesi, mi invita ad andare a chiederlo ad Arafat.
Gli domando ancora come interpreta il fatto che gli israeliani in Cisgiordania hanno cacciato via qualche giorno prima - lo si è letto su giornali italiani - delle persone che volevano diventare coloni. Risponde che Rabin l'ha fatto perché stare lì era pericoloso per loro (per gli aspiranti coloni). Ma i coloni poi vanno a sistemarsi altrove, in terra palestinese.
Commento di una signora italiana, insegnante di inglese in una scuola media superiore: "Sono come le cavallette!" (Si riferisce agli ebrei).

7 AGOSTO

Con Elisabetta saltiamo il programma previsto e andiamo per conto nostro a Tel Aviv: cosa molto complicata, poiché non sappiamo parlare in inglese e abbiamo poco tempo. Riusciamo a raggiungere la stazione dei pullman di Gerusalemme e a prenderne uno che va a Tel Aviv, ma vediamo molto poco della città. Arriviamo al mare e mi faccio il bagno, mentre Elisabetta resta sulla spiaggia.
Al ritorno chiedo ad alcune ragazze italiane del gruppo - le più disponibili - che cosa si è detto nell'incontro con il Centro palestinese per i diritti dei lavoratori. Mi riferiscono questi dati: sono sette i sindacati ufficiali riconosciuti dal governo israeliano, per ogni categoria. I partiti politici d'Israele nominano i sindacati e i loro dirigenti.
Gli israeliani danno agli uomini palestinesi che vanno a lavorare da loro 70 shekel al giorno, ai bambini 10. I padroni israeliani fanno però comparire in "busta-paga" meno giorni rispetto a quelli effettivamente impiegati dal lavoratore e così rubano sulle paghe.
Ci sono, sulla "busta-paga", dieci ritenute assicurative per israeliani e palestinesi. I lavoratori israeliani, però, fruiscono di tutti i vantaggi che tali ritenute assicurano, i palestinesi solo di una parte (mi pare, di sette su dieci).

8 AGOSTO

Di mattina c'è un incontro in albergo sulla questione della violazione dei diritti umani ad opera degli israeliani. Partecipano un membro del Mandela Institut e due avvocati palestinesi che lavorano per la tutela dei diritti umani nei Territori occupati. Non ho preso nota con chiarezza di chi parlava di volta in volta. Perciò riporto quel che è stato detto con le indicazioni generiche "primo esponente", ecc.

Primo esponente: "Nella difesa dei diritti umani sono impegnate attualmente 35 persone. La raccolta dei dati avviene sul territorio. Quando è possibile, gli avvocati intentano azioni legali contro gli occupanti: sono 18 le unità che intervengono nei confronti dell'Autorità, prima solo israeliana, ora israeliana e palestinese, ma i risultati sono per lo più negativi, perché in regime di occupazione militare non si rispetta la legge. La situazione è peggiorata dopo l'inizio delle trattative di pace: anche se ci sono meno soldati israeliani e la gente è meno motivata a fare scontri. Comunque nel mese di giugno ci sono stati 3 morti e 4 feriti, nel corso di una manifestazione per la liberazione dei prigionieri politici.
A Hebron la situazione è molto grave per la presenza dei coloni. Gaza è una grande prigione. Il passaggio da e per Gerusalemme è molto difficile e anche per andare da Nablus a Hebron ci vogliono permessi speciali. Le persone che abitano a Gaza, per andare a Gerusalemme, devono avere due permessi, uno per entrare in Israele e l'altro per entrare in Gerusalemme. Gli israeliani stanno mettendo pedine per rendere possibile al loro stato l'assorbimento completo di Gerusalemme. La comunità internazionale considera Gerusalemme Est come facente parte dei Territori occupati, Israele no. Gli israeliani hanno portato molti ebrei a Gerusalemme Est, anche perché la vita in città per i palestinesi è difficile e loro sono costretti ad andarsene. Dopo l'accordo di Oslo, è aumentata la confisca delle terre: il 70% delle terre in Cisgiordania sono state confiscate."
Secondo esponente: "Ci sono molti prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. L'accordo di Oslo non prevedeva nulla sui prigionieri politici. Prima del Cairo c'erano 5000 prigionieri politici, di cui sono stati rilasciati 4550 e 450 deportati a Gerico. Attualmente sono 5300 i prigionieri politici, di cui 30 donne e 150 minorenni. 40 libanesi hanno già scontato la pena, ma restano in carcere, come ostaggi. I palestinesi hanno fatto lo sciopero della fame per il rilascio di questi detenuti. Con l'inizio del processo di pace, le condizioni dei detenuti politici sono peggiorate. Un prigioniero malato in detenzione amministrativa è morto per non aver ottenuto trattamenti adeguati. C'è stato uno sciopero della fame nell''82. Il presidente del Mandela Institut ha negoziato con il capo della polizia, che ha concesso le visite dei medici ai detenuti. Tuttavia casi urgenti sono stati visitati anche dopo due settimane. Ci sono voluti 3 anni per ottenere il trasferimento in ospedale (?) di una persona che aveva un proiettile nel corpo. Il Ministro della polizia israeliano ha spiegato che c'era una lista d'attesa dei palestinesi che volevano essere trasferiti in ospedale. È stato loro vietato venire curati in ospedali palestinesi.
Gli interrogatori dopo l'avvio del processo di pace sono molto duri, perché i palestinesi sono contro il processo di pace. È stata istituita una commissione d'inchiesta israeliana sulla modalità con cui venivano condotti gli interrogatori. Ed è scaturita la raccomandazione di non usare la tortura, ma metodi di pressione moderati. Ne risulta che Israele è il primo paese al mondo che ha legittimato la tortura: non specifica infatti in che cosa deve consistere la "moderazione" (tutto questo passo non è chiarissimo, anche se nel complesso si capisce). Tre mesi fa una persona è morta dopo 4 giorni dall'arresto. Si è formata una commissione d'inchiesta su questa morte. La polizia ha dichiarato: 'Abbiamo esercitato una moderata pressione fisica'. Anche per i palestinesi si pone il problema del rispetto dei diritti umani. Sono stati infatti arrestati terroristi di Hamas e sono stati subito torturati. La Corte di sicurezza di Gaza (?) viola i diritti umani. Si stanno tenendo corsi sui diritti umani per i poliziotti palestinesi."
Mia domanda: "Ci sono stati molti collaborazionisti uccisi dai palestinesi. Come vi ponete rispetto a questo problema?"
Risposta: "(Non comprendo bene sugli appunti la prima parte della risposta. Perciò trascrivo solo la seconda parte) Durante l'Intifada si è parlato di collaborazionisti, visti come nemici, agenti della potenza occupante. Bisogna guardare le cose da ogni prospettiva....."
Domanda: "Come vengono confiscate le terre?"
Risposta: "Ci sono molti modi di confiscare le terre. Uno è quello di circondare una terra e poi dichiararla zona militare chiusa. Oppure dichiararla terra dello stato (?) perché le persone non hanno documenti che comprovino la proprietà. Sotto il dominio giordano hanno registrato molte proprietà terriere. A Nablus c'è un insediamento militare chiuso all'accesso dei palestinesi. Poi gli israeliani requisiscono terre per fare strade per i coloni. Non c'è un codice di leggi, ma 1400 ordinanze militari per la Cisgiordania, 1200 per Gaza. La terra viene dichiarata abbandonata se non viene coltivata. Inoltre i palestinesi non possono arrestare gli israeliani che commettono illeciti in Palestina.
Domanda: "Quale Costituzione stanno preparando i palestinesi?"
Risposta: "L'accordo di Oslo impedisce ai palestinesi di legiferare. Secondo gli accordi del Cairo, i palestinesi possono occuparsi di leggi di secondo grado, di scarso rilievo, quasi solo regolamenti. C'è un progetto di Costituzione, ma non si sa come farlo approvare e da chi, perché non ci sono state le elezioni. Gli israeliani vogliono dare ai palestinesi poteri solo amministrativi, non politici.
Terzo rappresentante: "Nell''88 Arafat ha avuto il compito di stendere una specie di Costituzione. Ma non si può affidare la stesura di una Costituzione ad illuminati. Una Costituzione deve essere fatta da un'Assemblea costituente eletta dal popolo..."

È pomeriggio e si è viaggio con il pullman verso Ramallah.
B., mostrando gli insediamenti dei coloni: "Lì c'erano case dei palestinesi. La strada è stata divisa in due corsie con spartitraffico dopo il '91-'92, per impedire che le auto dei palestinesi incontrassero quelle dei coloni. Nella zona verso Gerico sono stati espropriati moltissimi ettari di terra ai palestinesi e gli insediamenti sono sorti da cinque anni fa in poi."
Ci accolgono in un locale diverse persone, fra cui un responsabile del Ministero dello sport palestinese, ex-campione di karaté.
Primo palestinese: "I palestinesi non possono andare a Gerusalemme senza avere un permesso e questa linea divisoria nella strada esiste dal '93. Gli israeliani non consentono di superarla neppure per particolari ragioni umanitarie. Queste sono le tipiche barriere che Israele aveva promesso di rimuovere con l'accordo di Oslo: invece sono restate lì. All'interno dei campi profughi sono le Nazioni Unite che si occupano dei palestinesi e organizzano anche le scuole. Voi non potete entrare nei campi profughi se non siete identificati come amici. Questo in cui siamo riuniti è il centro giovanile del campo di Kalandia"
Secondo palestinese: "Con gli italiani c'è un feeling speciale, ricordiamo l'appoggio dato dall'Italia alla causa palestinese. Il centro giovanile in cui ci troviamo è sotto l'UNRWA e al suo interno si svolgono attività sportive, sociali, culturali e artistiche. Meno di ventiquattr'ore fa i soldati israeliani sparavano per ostacolare la nostra attività. Il centro è stato chiuso per 13 anni dall'esercito israeliano. Tutti gli abitanti di questo campo vengono da 12 villaggi che erano dov'è ora Gerusalemme Ovest, scappati nel '48. Per lottare contro le cattive condizioni in cui sono costretti a vivere, si sono battuti nell'Intifada, perdendo 12 ragazzi. 8000 persone abitavano questo campo prima del '67, poi, dopo la guerra dei sei giorni, ne arrivarono altre 4000. Aspettano ora l'autorità palestinese per fare qualche cambiamento. Le istituzioni educative e i servizi organizzati dall'UNRWA fanno poco. Ci sono nel campo scuole elementari e medie. Tra Gaza e la West Bank ci sono 9 università palestinesi. I palestinesi sono orgogliosi del loro livello culturale. Le università e le scuole sono state tutte chiuse durante l'Intifada. 100 persone del campo sono state condannate a lunghi periodi di detenzione. Il 50% dei giovani sono stati in carcere per periodi più o meno lunghi. I giovani sono costretti a fare gli operai anche se hanno studiato: vanno a lavorare nei dintorni. I palestinesi di questo campo non hanno il permesso di andare alla moschea di Gerusalemme e, se cattolici, neppure al Santo Sepolcro. Gerusalemme è chiusa solo da questa parte."

Arrivano dei ragazzi e ballano per noi la dabka (non so se si scrive così!)

Non si sa perché, non ci è consentito visitare il campo. Saliamo in pullman e sale con noi un signore palestinese con le stampelle.
B.: "È stato storpiato dalle torture inflittegli dagli ebrei. Era incapace di muoversi, ora per fortuna cammina. Ogni giorno ci sono espropriazioni e continuano gli insediamenti. Le cose peggiori le ha fatte il governo laburista. Rabin ha dato ordine di spaccare le ossa ai palestinesi."
Ci fermiamo davanti al secondo campo, quello di Jalazon. Dapprima non ci permettono di entrare.

B.: "Potete vedere le reti di recinzione e, sopra, le tende dei soldati. Nei prossimi giorni vedrete altri campi a Nablus e a Gaza".

Poi, invece, ci permettono di entrare. Le abitazioni sono in muratura, molto brutte e degradate, le strade strette. Ci fanno notare rigagnoli di acque di fogna che scorrono a cielo aperto. Tanti bellissimi bambini e bambine: queste ultime sono molto affettuose. Due bambine mi prendono per mano, mi danno e mi chiedono baci, sporgendo in avanti il viso. I nostri accompagnatori ci mostrano una casa abbattuta dagli israeliani perché un ragazzo che l'abitava tirava sassi e un'altra il cui primo piano è stato sigillato per la stessa ragione. Ci portano in una stanza di un centro sociale del campo.

Palestinese: "Questo campo fu costruito nel 1950, con gli aiuti dell'UNRWA. Ci sono 10.000 persone, palestinesi di 60 villaggi il cui territorio è ora all'interno di Israele. 11 persone sono state uccise dai soldati durante l'Intifada. Ci sono stati anche centinaia di feriti; 1500 sono stati imprigionati, di cui solo il 50% è stato liberato. 14 case sono state murate, 11 sono state distrutte. Ci sono due scuole medie, una per i maschi, l'altra per le femmine. I ragazzi vanno poi in città per frequentare le superiori. Abbiamo in questo campo 150 laureati e 13 con il dottorato. C'è un solo ambulatorio medico pubblico, per tutti, messo su dalle Nazioni Unite; ci sono poi 2 ambulatori medici privati.
Sopra il campo potete vedere un insediamento e un posto di blocco. I coloni, durante la notte, tirano le pietre sul campo e sulle macchine. C'è un terribile sovraffollamento. Manca un sistema fognario. L'ONU ha ridotto gli stanziamenti da quando c'è la questione della Bosnia a cui ha dovuto provvedere. Non c'è quasi più assistenza sanitaria e pian piano stanno togliendo anche le scuole. I lavoratori guadagnano 70 shekel al giorno, e un ricovero in ospedale costa 270 shekel al giorno. Nelle cliniche private, poi, il costo è ancora più alto. C'è molta disoccupazione. Le persone che lavorano in questi centri sociali lo fanno come volontari. Il centro sociale è restato chiuso per cinque anni. Ora stiamo facendo lavori per renderlo agibile."
Domanda di un italiano: "Come sono i rapporti fra gli abitanti dei campi-profughi e gli altri palestinesi?"
Palestinese: "Sul piano umano non ci sono problemi."
Domanda: "È possibile non essere più profughi, uscire dai campi?"
Palestinese: "No! Uscire dai campi si potrebbe solo tornando nei luoghi che ora ha Israele."
Domanda: "Se una famiglia ha soldi e vuole comprarsi una casa, è possibile?"
Palestinese: "Non è possibile, perché qui nessuno ha soldi."

Ritornando a Gerusalemme, troviamo un blocco stradale di coloni, che hanno portato pietre sulla strada. Passiamo lo stesso.

Un italiano del gruppo: "Se fossimo stati palestinesi, ci avrebbero ammazzati tutti quanti."
B.: "Chi prima mostrava la bandiera palestinese, era condannato a cinque anni di carcere. I palestinesi non hanno terra e non hanno acqua: se le prendono i coloni. I palestinesi non possono costruire a Gerusalemme".
Alla sera, a Gerusalemme, arriva A.

9 AGOSTO

Mentre stiamo per salire sul pullman per andare a Nablus, a un'italiana vengono rubati da una persona del luogo 250 dollari. Saliamo sul pullman e partiamo.

A.: "Queste cose non avvenivano durante l'Intifada. State attenti a non prendere fumo da chi ve lo offre. Tante volte lo fanno anche gli israeliani, che ti danno il fumo e poi ti buttano fuori. Il consumo della droga ora sta crescendo. Il check-point indicherà il confine dell'area che gli israeliani vogliono per loro. Con l'occupazione militare non è stato più possibile ai palestinesi coltivare la terra. Ci sono due tipi di insediamenti israeliani: quelli degli estremisti e quelli della gente, per lo più sefarditi, che non hanno soldi. Da molti israeliani i coloni non sono ben visti per atteggiamenti razzistici verso di loro: sono i più poveri.
Nel '48 ci sono stati circa un milione di rifugiati palestinesi, a cui si sono poi aggiunti quelli del '67. Gli insediamenti sono sorti intorno alle case dei palestinesi, per soffocarle. Gli insediamenti hanno acqua e gli israeliani hanno confiscato la terra ai palestinesi. Negli insediamenti il lavoro manuale è fatto dai palestinesi. Dopo il '48 i palestinesi che da Gaza andavano a lavorare in Israele erano visti dagli altri come traditori. Poi tutti si sono rassegnati."
(Non comprendo bene la storia delle confische qui, in alcune zone della Cisgiordania: non capisco se A. intenda dire che gli israeliani hanno confiscato terre coltivate e abitate, oppure semplicemente appartenenti ai territori palestinesi. Mi pare che gli insediamenti, almeno quelli che si vedono dalla strada, sorgano in massima parte sulla cima di colline non coltivate e che quindi, pur creando una marea di problemi, non si siano sovrapposti ad abitazioni o a colture precedenti. Non pongo però alcuna domanda su questo e mi resta il dubbio).

A. mi si avvicina, nel pullman. Ha certamente saputo da B. che io non sono d'accordo con molte delle loro scelte, che pongo continuamente obiezioni.
Mi chiede come va. Io le rispondo che, per rendere credibile tutto quanto dicono, avrebbero dovuto evitare di usare e favorire linguaggio e atteggiamenti che evocano l'antisemitismo: ad esempio dire "ebrei" anziché "israeliani", lasciare che gli ebrei venissero definiti "cavallette" ecc.. A. riconosce che ho ragione (da questo momento in poi anche B. parlerà sempre di "israeliani"). Le dico poi della faziosità della documentazione che ci è stata data, e le domando perché, quando accennano alla storia del conflitto fra Israele e palestinesi, lei e B. non parlino mai al ruolo che hanno avuto i paesi arabi in tutta la faccenda Mi risponde che persino dalla storiografia più illuminata di parte ebraica concorda con le tesi da loro sostenute. Le chiedo qualche indicazione bibliografica. Mi cita, senza enunciarne il titolo, l'ultimo libro di Stefano Levi Della Torre (!). Io ho letto tutti i libri di questo saggista, ma non dico nulla. Chiedo ancora a A. se non sarebbe possibile avere anche un incontro con qualche rappresentante del governo israeliano; mi risponde che si vedrà, molti incontri sono ancora da definire.
Nei dintorni di Nablus ci sono molte case vecchie, nuove ed in costruzione, di palestinesi.
A Nablus ci viene presentata da A. una palestinese di mezza età, R. e con lei andiamo all'incontro con il sindaco che ha un viso aperto e luminoso. Riporto il discorso del sindaco come fosse unitario, mentre in parte constava di risposte a domande di italiani. L'ho un po' riordinato raggruppando le considerazioni in base ai diversi argomenti che ha trattato.

Sindaco: "Noi palestinesi abbiamo deciso di restare in questa terra e di avere come vicino lo Stato di Israele e di vivere nella reciproca sicurezza. Il governo israeliano non dimostra però ancora di aver accettato il patto. Secondo l'accordo di Oslo, noi palestinesi avremmo dovuto tenere le elezioni l'anno scorso e ciò non è avvenuto. I coloni stanno continuando gli insediamenti e vogliono occupare anche la moschea (una delle due di Gerusalemme?). Le donne, per recarsi a Gerusalemme, devono avere trent'anni ed essere sposate. I palestinesi non sono convinti che gli israeliani desiderino davvero la pace e ciò potrebbe costituire un ostacolo sul suo cammino. Noi vogliamo la pace e uno stato palestinese e stiamo lavorando per questo. L'Europa deve svolgere un proprio ruolo, sinora Israele ha avuto come interlocutore privilegiato gli USA. Chiedo a voi di fare pressione sul vostro governo perché a sua volta faccia pressione sul governo israeliano. Che voi possiate essere i nostri ambasciatori in Italia e nel mondo.
Avete visto come si vive nei campi-profughi. Noi palestinesi abbiamo diritto di vivere con dignità. Israele controlla la nostra economia, l'acqua, l'elettricità. Di quest'ultima ci danno la quantità che stabiliscono loro e ciò ci impedisce di sviluppare le nostre città. Fino al 1982 avevamo una centrale elettrica, poi distrutta dagli israeliani per loro scopi. Ora stiamo ricostruendola. Quanto all'acqua, abbiamo risorse idriche che intendiamo sfruttare, anche lottando. Altro problema è quello dell'immondizia. Abbiamo camions del '72 per il ritiro dei rifiuti. Abbiamo bisogno di un progetto per lo smaltimento dei rifiuti. Siamo convenzionati con partners stranieri perché non abbiamo sufficienti competenze tecniche, ad esempio per ricostruire e gestire la centrale.
Prima non si aveva alcuna autonomia. Ha governato un sindaco israeliano per quattro anni. Ora il Consiglio comunale è stato scelto dall'autorità palestinese. Dal '76 non si tengono elezioni in Cisgiordania e a Gaza. Un'industria di gelati israeliana ha pagato gli attentatori che hanno ferito i sindaci arabi. Sono però ottimista: credo che alla fine gli israeliani si ritireranno.
Ogni municipalità ha ora una polizia municipale. Israele però non ha permesso a Nablus di avere la polizia municipale e noi abbiamo formato un'organizzazione parallela di 300 persone. Mancano nelle strade i semafori, perché le soste sono pericolose per i coloni che passano di qui. Il bilancio del comune è di 30 milioni di dollari raccolti con tasse. Chi chiede il permesso di costruire, deve pagare una quota al comune. Israele riceve dai palestinesi 300 milioni di dollari in tasse, di cui restituisce in finanziamenti ai comuni solo 50 milioni: a Nablus, di questi soldi, toccano solo un milione di dollari. Inoltre Israele ci dà energia ad altissimo prezzo. Solo il 10% degli aiuti promessi dagli stranieri ci sono arrivati. Abbiamo il 30% di disoccupati.
L'istruzione da cinque mesi è in mano ai palestinesi. Prima era controllata dagli israeliani. Non ci sono scuole miste, ma le scuole sono più numerose per le ragazze che per i ragazzi. Per tre anni l'università è stata chiusa e abbiamo dovuto organizzare corsi paralleli. Non c'è stato alcun contributo israeliano per l'università, che è interamente finanziata dai palestinesi. Quanto alle future elezioni, non si sa ancora con precisione quanti gruppi presenteranno delle liste. All'università ha vinto Hamas, perché è ancora debole l'organizzazione dell'OLP. 500 studenti però non hanno votato. Noi stiamo lavorando molto per la pace e, se alle elezioni dovesse vincere Hamas, mi dimetterei. I negoziati sono stati avviati dal Partito laburista, ma credo che sia difficile a chiunque fermare il processo di pace. La stessa pace con l'Egitto è stata conclusa quando in Israele c'era il Likud al potere.
Riusciamo a far pressione sul governo israeliano in vari modi. Per esempio, ho visitato una prima volta la prigione di Nablus sottoponendomi ad una perquisizione totale. Allora ho minacciato di non far più raccogliere i rifiuti davanti alla prigione. Dopo un mese in cui i rifiuti erano lasciati lì, ho ottenuto il permesso di entrare nella prigione senza essere perquisito. Nel 1967, dopo che gli israeliani sono entrati a Nablus, hanno speso 7 milioni di dollari per trasformare quest'edificio (non ho scritto che cos'era prima e non me lo ricordo con sicurezza: mi pare fosse un ospedale) in prigione: dentro sono detenuti 800 palestinesi. A Nablus ci sono tre ospedali e due prigioni:le prigioni sono sotto la giurisdizione israeliana. Due ospedali sono sotto l'amministrazione palestinese, il terzo è privato.
La disoccupazione è più grave per le donne, ma nel mio staff il 60% è costituito da donne."

R., ci spiega A., è originaria di Gerusalemme ed è stata in prigione per otto anni solo perché iscritta al Partito democratico palestinese. Rilasciata nell''85, è rientrata in prigione per due volte ed è stata anche ferita. Durante l'Intifada era nella lista dei ricercati. Suo marito è stato in prigione per 17 anni perché era un fedayin. Hanno adottato un bambino piccolo. R. ha studiato in una scuola di fisioterapia (o qualcosa di simile) in Italia ed ora lavora con i bambini. Dice che al pomeriggio ci sarà un incontro specifico sulla condizione della donna. R., mentre andiamo in giro in pullman, su cui è salita pure lei, ci dà ancora alcune informazioni.

R.: "Nablus è città dei martiri dell'Intifada. I soldati israeliani hanno sparato sui dimostranti uccidendo tre ragazzi. Le case vecchie di Nablus appartenevano all'antica feudalità e in alcune si trovano ancora fontane e giardini.
Quella è la nuova sede dell'università, che è stata costruita a partire dal '70. Il primo ministro del Marocco ha studiato qui. Quella è la casa del sindaco palestinese che ha perso le gambe nell'attentato dei coloni."

Chiedo per due volte se le università della Cisgiordania funzionavano al tempo dell'occupazione giordana. Infine A. traduce e R. risponde.

R.:"No, l'università non funzionava al tempo dei giordani. I palestinesi allora andavano a quella di Amman.
In Israele gli ebrei sono favoriti nell'iscrizione all'università rispetto agli arabi perché fanno il servizio militare."

Nella tarda mattina andiamo a un centro sociale. R. ed un ragazzo palestinese tengono una riunione con noi.
R.: "Nel comitato amministrativo di questo centro, ci sono 13 donne. Il centro ha centinaia di membri. Abbiamo fatto dei progetti: uno riguarda l'asilo nido in cui i bambini possano essere accuditi per tutto il giorno, dalla prima mattina alla sera. Un'altra attività è per i bambini con problemi di linguaggio, traumatizzati al tempo dell'Intifada. Questo centro esiste da due anni. Quando i bambini arrivano qui, sono terrorizzati. Prima di iniziare il lavoro sul linguaggio, occorrono due settimane di terapia Raiky (credo si scriva così. Una maestra d'asilo italiana dice di conoscere questo metodo di cura). Dopo la terapia, i bambini dormono regolarmente, prima non ci riuscivano. Non si trattano solo i bambini, ma anche le madri, che poi continuano la cura a casa. Ci sono 100 persone adulte istruite su questa terapia. Teniamo due corsi, uno per le donne della città, l'altro per quelle dei villaggi. Siamo aiutate dal Centro per la pace di Milano. L'addestramento procede a catena.
Teniamo anche corsi per ragazze sui diritti delle donne e sulle violazioni del diritto di famiglia. Ad esempio, se uno sposava una palestinese della Giordania o viceversa, i due non si potevano incontrare. In una notte gli israeliani hanno separato 250 famiglie. Una vecchia di 94 anni è restata sola. Gli israeliani concedono solo 180 permessi (non ho annotato né che cosa riguardino questi permessi né ogni quanto tempo ne viene concesso questo numero). Conduciamo una campagna per la riunificazione della Palestina. Una storia particolare è quella del ragazzo qui presente. Sua madre è nata a Jaffa e dopo il '48 è stata profuga in Siria. Lo zio ha avuto il permesso di portare qui i figli di lei, la madre non ha avuto il permesso di venire qui. Durante l'Intifada è tornata in Palestina, ma è stata ricacciata in Siria, dove è morta in solitudine di cancro.
Un'attività importante è quella di andare ad informare le donne sui propri diritti: anche perché le leggi israeliane cambiano continuamente. Abbiamo fatto seminari (uno recente per 40 donne) di informazione e di raccolta dati che servano per le leggi future. Lo scopo principale è quello di dare alle donne forza e consapevolezza dei diritti. I diritti che vengono negati alle donne palestinesi vengono negati anche agli uomini (?)".
Ragazzo palestinese: "Qui sono molti i problemi dei giovani. I ragazzi studiano su libri giordani e non conoscono la storia della Palestina. C'è bisogno di infrastrutture sportive, di luoghi d'incontro ecc.. Finora l'attività politica è stata sotto il controllo dell'Autorità israeliana. Nella scuola superiore i ragazzi non studiano quel che vorrebbero. Nelle università palestinesi non c'è una facoltà di legge. Ci sono farmacia, letteratura, agraria, economia e commercio.... I ragazzi devono studiare e contemporaneamente lavorare perché hanno difficoltà economiche. Gli israeliani frappongono ostacoli allo studio dei ragazzi palestinesi: arrestano, chiudono le università ecc.. Per questa ragione, si impiegano anche 12 anni a terminare il corso di studi universitari. È impossibile per i giovani viaggiare perché gli israeliani non danno il permesso. La negazione dei loro diritti ha portato i giovani a dedicarsi alla politica, impegnandosi soprattutto nel partito palestinese (non ho un quadro chiaro delle diverse formazioni politiche dei palestinesi e perciò non so bene che cosa sia). Qui non è importante essere di destra o di sinistra, ma essere palestinesi. Il pericolo maggiore è che ci tolgano la nostra identità. Opporsi agli israeliani non è facile. Bisogna avere coscienza dei propri diritti. Ogni giovane ha una dura storia alle spalle, situazioni di tensione e di impegno politico, che impediscono di studiare in modo intenso. Io sono stato per quattro volte in carcere."
Il ragazzo palestinese va via.

R.: "Tra il '93 e il '95 ci sono state molte esecuzioni sommarie, documentate dal Betz Selem (non so che cosa sia e neppure se ho scritto correttamente: forse la Mezzaluna rossa?). Il ragazzo ch'era qui ha 4 o 5 fratelli, tutti in galera durante l'Intifada. L'unico restato a casa era il padre, paralitico ed epilettico. Questo ragazzo è stato per molto tempo in clandestinità. La polizia israeliana, entrata di notte dalle finestre della loro casa, li ha arrestati tutti e li ha portati via così com'erano."

Restiamo a pranzo nel centro. Ci danno da mangiare grandi sformati di riso e carne e una grandissima e buonissima torta, di cui non ho annotato il nome, fatta con una base di formaggio di capra e coperta da una barba rossa di caramello.

Nel pomeriggio c'è l'incontro con le donne palestinesi, guidate e presentate da R..
La prima è direttrice di una scuola per ragazze. Durante la guerra dei sei giorni è stata deportata. È attiva nel movimento degli insegnanti. I suoi figli sono stati in prigione durante l'Intifada.
La seconda è attivista nel movimento femminista e fa parte di associazioni di assistenza. Suo figlio, durante l'Intifada, è stato ferito in una sparatoria mentre andava a pregare.
La terza signora è stata ferita durante l'occupazione giordana. Sua figlia è stata in prigione tra il '79 e l''81. Lei è al trentesimo anno di insegnamento e vuole smettere questo lavoro per occuparsi del movimento delle donne. È profuga da Haifa.
C'è poi una ragazza palestinese.

Prima palestinese: "Sono pacifista, attiva politicamente nelle forze che appoggiano il partito di pace. Nonostante le mie riserve sugli accordi di Oslo (questione dei coloni, del rilascio dei prigionieri, di Gerusalemme), li sostengo. Al di là delle mie riserve su questioni che non sono state chiarite all'inizio, c'è il fatto che Israele non rispetta i patti: non ferma gli insediamenti dei coloni, non ha ritirato la sua polizia dai nostri territori."
R.: "Da quando sono iniziate le trattative, Israele sta cercando di guadagnare il più possibile. A Madrid gli israeliani erano stati costretti a fare degli accordi. La presenza dei palestinesi al negoziato ha impedito agli israeliani di dire che noi non volevamo la pace. Tuttavia gli israeliani cercano di frapporre mille difficoltà al processo di pace."
Seconda palestinese: "Gli israeliani non ce la faranno a metterci nell'angolo. Noi siamo riusciti a mantenere la nostra cultura e la nostra identità."
Terza palestinese: "Dopo la guerra dei sei giorni sono iniziate le confische di terre e gli insediamenti israeliani soprattutto sulle alture. Dopo Oslo c'è stata un'accelerazione di questi insediamenti. Da un anno i coloni sabotano gli accordi di Oslo, ieri hanno bloccato le strade. È stato confiscato da Israele più del 70% dei territori dei palestinesi. I palestinesi chiedono che i coloni accettino di vivere in uno stato palestinese, i coloni invece vogliono restare in uno stato ebraico. I coloni costituiscono un rischio per il processo di pace e per la stessa democrazia israeliana."
Mia domanda: "Rabin non è stato minacciato proprio in questi giorni di morte dai coloni? Che ne pensate?"
R.: "C'è un contrasto fra Rabin e i coloni, ma è stato il governo laburista che nel passato ha dato il via agli insediamenti. Nelle trattative, le posizioni dei coloni e quelle del governo israeliano finiscono per sommarsi. Mubarak ha avuto indietro le terre e anche re Hussein di Giordania. Ai palestinesi gli israeliani accettano di concedere un po' di potere, ma non le terre. Il Likud vuole annettere Gerusalemme (questo concetto viene ripetuto da R. per cinque volte). Il sindaco di Gerusalemme è un esponente del Likud e su di lui il governo israeliano scarica tutte le responsabilità. A Gerusalemme ci sono tre religioni. Le autorità israeliane hanno cercato di dividere le tre comunità e non si comportano in modo laico. Ci sono state profanazioni di tempi cristiani e due tentativi di dare alle fiamme la moschea. Il governo israeliano non è in grado di garantire neppure l'integrità del Muro del Pianto. Le autorità cercano di buttar fuori da Gerusalemme i palestinesi, non rinnovando la carta di identità con la residenza nella città a chi ha sposato un palestinese di altre zone. Noi siamo andati a Madrid puntando sulla risoluzione 242 dell'ONU. Gerusalemme Est deve essere capitale dello stato palestinese. La città può restare anche capitale di Israele. Ma il governo israeliano sta lavorando perché la popolazione di Gerusalemme Est diventi il più possibile ebraica. Lei (indicando la ragazza palestinese presente) è stata tre anni in carcere. È femminista e attivista politica. Ha studiato all'università siriana, poi le è stato tolto il permesso di ritornare in Siria. Ora studia alla libera università di Nablus.
Il movimento femminista fece i primi passi all'inizio del '900. Allora si aveva paura della promessa che gli inglesi avevano fatto, di dare terra al popolo ebraico. Il movimento femminista era interno al movimento nazionalista palestinese. Fino al '48 furono fondati comitati in varie città per la lotta politica. Il movimento combatté a fianco degli agricoltori per difendere le terre. Negli anni '30 si occupava dei feriti e appoggiava i fedayin. I palestinesi si rivoltarono contro gli inglesi, che contrapponevano i palestinesi agli ebrei, promettendo uno stato agli uni e agli altri. Nel '47 il numero degli ebrei e quello dei palestinesi erano pari. I palestinesi dicevano che la Palestina doveva essere unita. Gli Stati arabi passarono la patata bollente ai palestinesi (non capisco bene che cosa voglia dire con quest'ultima frase!). Dopo la risoluzione del '48 dell'ONU 500.000 palestinesi furono espulsi dalle forze dell'Haganà, che non era un esercito regolare. Gli uomini dell'Haganà hanno ucciso persone, stuprato donne. Un esempio è stato il massacro di Deir Yassin, quello di.... (non ho capito il nome). Dopo questi massacri, le donne hanno creato centri per curare altre donne ferite e per assistere i profughi. Nel 1964 è stata fondata l'OLP. A proposito del massacro di...... c'è da dire che chi l'ha ordinato è stato condannato dagli israeliani a pagare meno di una piastra di multa.
C'è stata quindi la guerra dei sei giorni. Il movimento delle donne ha partecipato alla resistenza contro Israele. Nel 1978 è stata fondata l'organizzazione di cui siamo ospiti oggi, la Palestinian Federation for Wohmens e ora ci si propone di diffondere il messaggio nei campi profughi. Chiedere le opinioni delle donne è già rivoluzionario. Cerchiamo di dare risposte ai bisogni delle donne: asili nido, corsi di sartoria, di igiene, di pronto soccorso. Altro obiettivo è stato quello di combinare la lotta nazionale con quella di liberazione. Durante l'Intifada le donne erano attive.
Al termine dell'Intifada, ci siamo rese conto che c'era bisogno di prendere iniziative sui diritti della donna, quali il diritto all'eredità. Le donne hanno diritto all'eredità e possono tenere con sé i bambini in caso di divorzio. I bambini spettano alla mamma, al secondo posto c'è la mamma della mamma e al terzo la mamma del papà. Ora ci sono cinque movimenti, nati in seguito a spaccature del primo. Ora bisogna lavorare per le elezioni che si terranno qui e anche per fare le leggi dello stato palestinese."

Andiamo in molti, dopo le riunioni, a casa di R.. È una bella casa, grande e ha una terrazza con un pergolato di uva, che dà sulla vallata sottostante. C'è una festa di compleanno di una bambina, mi pare una nipotina di R., che compie dieci anni ed è straordinariamente bella. Ci sono per casa molti altri bambini e adulti palestinesi. Nessuna donna di questa famiglia porta il velo.
Alla sera andiamo a dormire in case dei palestinesi. Le organizzatrici dicono che è necessario che in ogni casa ci sia un italiano capace di parlare l'inglese, in modo da fare l'interprete per gli altri. Io e la mia amica ci siamo unite a una giovane coppia, con cui abbiamo fatto amicizia. B. riforma i gruppi e ci manda con tre altre donne, fra cui una ragazza ebrea di Milano, a cui hanno fatto togliere la stella di Davide. La ragazza ebrea è scossa da quello che ha visto e sentito. Ha frequentato il liceo ebraico e dice un po' scherzando che è quello il miglior modo per diventare antisemita. Comunque prende appunti fitti fitti e lo farà durante tutto il viaggio; è l'unica delle tre che ci tradurrà qualcosa di ciò che diranno i nostri ospiti palestinesi. Le altre due, soprattutto un'avvocatessa di Roma, parlerà con loro per tutta la sera, tagliandoci fuori dalla conversazione.

10 AGOSTO

Andiamo alle otto e mezza al centro delle donne dove abbiamo appuntamento con A. e con gli altri. Aspettiamo che arrivino A. e i gruppi che mancano. Intanto discuto con la ragazza ebrea. La signora insegnante di inglese che in una delle prime riunioni ha definito gli ebrei "cavallette", ci sta un po' a sentire. Chiede che cosa sia il Talmud. La ragazza ebrea glielo spiega e lei dice ridendo: "Sono (si riferisce agli ebrei) uguali ai testimoni di Geova!". Dopo due ore di attesa, i gruppi che sono arrivati, compreso il nostro, decidono di uscire per Nablus, anche se A. non si vede ancora. Ci accompagna una delle palestinesi presenti il giorno prima al dibattito, quella che insegna da trent'anni all'università e sta per andare in pensione per dedicarsi al movimento delle donne.
La Nablus vecchia, case di pietra e archi, è molto bella, ma degradata, sporca. La nostra guida ci porta in una casa vecchia dove abitava prima e che ha lasciato per andare a vivere in una nuova alla periferia di Nablus. Ora nella casa vecchia abita una famiglia povera; la padrona di casa bussa più volte perché evidentemente gli inquilini non vogliono aprire. Infine aprono. La padrona conduce il gruppo attraverso le stanze della casa, tra gli inquilini - donne e bambini - che non ci vengono neppure presentati e ci guardano sgomenti.

Nelle strade centrali c'è un estesissimo mercato, con cibi, soprattutto dolci, del luogo e tutto il resto - vestiti ecc.- di "stile" occidentale. Entriamo in un bagno turco, usato a giorni alterni - ci dicono - da uomini e donne. Poi andiamo, sempre condotti dalla nostra guida, in una fabbrica di sapone all'olio di oliva: l'olio viene importato dall'Italia, ci mostrano le latte con le scritte in italiano. Al piano terra ci sono i diversi strumenti di lavoro vecchi. Per mezzo di una scala si sale a locali superiori, in cui c'è la fabbrica attuale. Rinunzio a salire perché la scala è ripida e incrostata di resti di sapone ed io mi sono fratturata da poco una caviglia e non mi sento pienamente sicura. Quando gli altri tornano giù, chiedo che cosa hanno visto. Mi dicono che hanno visto impacchettare le saponette, senza ausilio di macchine. Un lavoratore ne impacchetta 700 in un'ora.
Nessuno degli italiani pone problemi di paga e di diritti sindacali. (Mi dico che forse è inevitabile che sia così, visto che si tratta di un sistema economico che deve mettersi in moto).
La signora palestinese, salutandoci, dice: "Ci sono i palestinesi della diaspora che sono più di quattro milioni. Noi dal nulla abbiamo fatto tutto."
Durante il ritorno in pullman, B. ci fa notare che vicino a un segnale di senso vietato c'è la scritta solo in ebraico. La ragazza ebrea spiega che il divieto riguarda solo gli israeliani.
Sempre durante il ritorno, ci fermiamo su una collina, accanto a resti romani. Mentre camminiamo, durante la sosta, mi si avvicina A. e mi dice che mi capisce: è duro vedere cosa fa un popolo in cui credevo e in cui lei stessa credeva, quando era giovane. Le rispondo che mi dà fastidio il suo atteggiamento doppio: con me parla di ebraismo, cita anche a sproposito libri di studiosi di cultura ebraica. In rapporti con altri, forse un po' meno informati, induce una fanatizzazione che ha delle forti venature non soltanto antisraeliane, ma anche antisemite.

Alla sera, ritornata in albergo, ho uno scontro molto forte con Elisabetta, che è arrabbiata con me perché ho rotto le scatole a tutti e in pullman apparivo scossa e quasi piangevo. Mi dice che a questo punto lei non ci sta più a venire con me e con il gruppo. Io penso per un istante di ripartire per l'Italia. Poi entrambe restiamo. Elisabetta ora ce l'ha con gli ebrei, che vede come oppressori e basta. Il giorno dopo e in quelli successivi riusciremo a ristabilire un rapporto, inframmezzato da litigi e da successivi ripensamenti.
Partecipo a un incontro in albergo con una donna israeliana che fa parte del Centro di donne ebree e arabe di Israele e con due palestinesi, il direttore della cooperazione governativa per...(non ho capito tutte le parole), e il coordinatore della cooperazione non governativa. C'è anche un israeliano che lavora per un centro di riservisti di cui dirò tra poco.
Qualcuno (non ho annotato chi fosse) spiega che in passato palestinesi ed israeliani pacifisti si incontravano in Europa.
L'israeliana ci dice che alcune donne del Centro fanno ora parte del Governo del suo paese. Lei ha scritto una tesi sul Sudafrica. Ha anche organizzato un centro in Palestina sui diritti umani. C'è in Israele anche un centro di riservisti che si rifiutano di andare nei territori occupati. Poi parla l'israeliano.

Israeliano: (rileggendo gli appunti, il discorso di alcuni non mi pare molto chiaro. Forse c'era anche qualche difetto nella traduzione.) "C'è un paradosso dopo Oslo. Voi avete visto i segni dell'occupazione nella West Bank. Fuori ci si trova in una situazione completamente diversa. La parte progressista ha la sensazione di vivere in un vero processo di pace. Nella società israeliana si discute su tutti gli aspetti di tale processo. Si crede di poter appendere l'uniforme al chiodo e di poter godere i frutti del lavoro svolto. Un altro risultato del processo di pace sta nel fatto che uomini e donne di Israele hanno scoperto la realtà palestinese. La parte più progressista è favorevole alla soluzione dei problemi proposta dai palestinesi. Il paradosso sta nel fatto che nel giorno dell'accordo, ciascuna delle due parti si è dovuta misurare non con l'avversario tradizionale, ma con la propria società. Un esempio di ciò sta nella questione degli insediamenti: sono stati rifiutati da buona parte della società israeliana, dai progressisti. Eppure ora gli insediamenti vengono maggiormente legittimati: secondo l'attuale ministro dell'ambiente, progressista, il 10% del territorio palestinese dovrebbe essere assorbito da Israele. Si è quindi ritornati indietro. Altro esempio: la questione della tortura. Il ricorso alla tortura viene giustificato nell'attuale governo di centro-sinistra come aiuto per il processo di pace. La stessa cosa vale per la confisca di terre su cui vengono fatte strade che congiungono gli insediamenti dei coloni ad Israele. Ci sono posizioni diverse ed anche opposte fra i negoziatori della pace. Dopo Oslo si era pensato a una cooperazione ampia fra israeliani e palestinesi. Ciò si è realizzato a livello di polizia e di affari, non a livello politico. Un esempio di lotta per la pace è il movimento dei riservisti che rifiutano di andare nei territori occupati."
Israeliana: "Io sono più ottimista, anche se la situazione è sicuramente complessa. Dopo l'accordo di Oslo avevo proposto di danzare, perché dopo non lo avremmo più potuto fare (?). Comunque non bisogna dimenticare che la stretta di mano fra Rabin e Arafat ha avuto un grande valore simbolico per il cambiamento di mentalità. Non voglio andare troppo avanti con l'ottimismo. Il paradosso più grande sta nel fatto che non c'è l'entusiasmo che c'era nell'Intifada. I periodi intermedi sono i più difficili. Le donne israeliane e palestinesi cooperano insieme, ma ciascuna deve mantenere un'autonomia culturale. Il processo di pace è iniziato prima di Oslo, ma sta andando avanti dopo Oslo. Ci sono buoni e cattivi da entrambe le parti. Un'altra complicazione sta nel fatto che il governo è laburista, di sinistra. C'è chi vuole spingere il governo sempre più a sinistra, chi a destra. I palestinesi, da parte loro, sono impegnati a costruire uno stato. Le donne israeliane hanno combattuto per le palestinesi, ma non per sé (?).
La maggioranza degli israeliani non ama i coloni. Le dimostrazioni dei coloni sono una zappa sui piedi per gli israeliani. Gli estremi di entrambi gli schieramenti sono disperati. Arafat può controllare il terrorismo solo se il processo di pace viene accelerato."
Domanda di un italiano: "Lo smantellamento degli insediamenti può portare a destabilizzare lo stato d'Israele? Il terrorismo può essere manovrato dal Mossad?"
Risposta (non ho annotato chi l'ha data, mi pare l'israeliano che ha parlato per primo): "La maggior parte dei coloni è lì per ragioni non ideologiche. Meno del 10% vuole a tutti i costi mantenere gli insediamenti, il 75% degli israeliani è a sinistra. Il 20-25% dei coloni sarebbero già disposti ad andare via dagli insediamenti, se ci fossero compensazioni economiche. Su un punto sono chiarissimo: il problema maggiore non è costituito dai coloni, ma dal governo. Al suo interno ci sono posizioni confuse. Esita a porsi il problema dei coloni con determinazione. 28 anni di occupazione hanno creato in molti l'abitudine a dominare. Sulla questione del terrorismo, si è fatta l'ipotesi che una parte dei servizi di sicurezza abbia interesse a manipolare le forze palestinesi che lo praticano, ma non ci sono prove."
Domanda di un altro italiano: "Si capisce che Israele abbia avuto problemi di sicurezza fino alla guerra del Golfo. Ma ora la sicurezza è cresciuta. Quali sono le posizioni attuali del governo israeliano di fronte alla questione della sicurezza?"
Israeliana: "La risposta dal punto di vista delle donne è che è difficile uscire dalla logica delle armi. La sinistra israeliana è troppo codarda."
Domanda di un terzo italiano: "Qual è il grado di consapevolezza dei giovani in Israele e come si configura il movimento pacifista?"
Israeliano: "Ci sono stati diversi movimenti pacifisti. Peace New non è un movimento univoco. Comunque supporta l'azione del governo. Più a sinistra c'è una varietà di organizzazioni, più radicali. Nel passato, questa miriade di movimenti ha avuto un ruolo complesso. Due sono le organizzazioni più stimolanti... Non esiste un'organizzazione di soli giovani per la pace. I giovani israeliani sono apolitici e non ideologizzati. Ciò può costituire una buona base per il futuro. Per due generazioni i giovani erano stati educati ai valori dello stato nazionale. Negli ultimi dieci anni hanno avuto la meglio modelli consumistici. Questo può essere interpretato come un momento di passaggio."

All'una c'è la manifestazione delle donne in nero. Decido di non andarci. 32 donne italiane vi partecipano. Quando ritornano, mi dicono che fra israeliane e palestinesi c'erano sette donne. Un'italiana mi fa vedere la gonna sporca di sputo. Due israeliane le hanno contrastate e hanno loro sputato addosso.

11 AGOSTO

Di mattina, in albergo, c'è l'incontro con G.S., un ebreo israeliano che fa parte di un piccolo movimento contro il nucleare.
Mentre passo per andare nella sala, A. mi ferma e me lo presenta: mi dice che G.S. è un eroe della guerra dei sei giorni, ora convertitosi all'antimilitarismo.

G.S.: "Sono qui per parlare dei problemi legati al nucleare. Sono pochi gli antinuclearisti in Israele. Era risaputo che Israele aveva armi nucleari: Mordechai Vanunnu è stato il primo a denunciarlo. Le rivelazioni che Vanunnu ha fatto alla comunità internazionale hanno permesso di capire a che punto era l'arsenale militare israeliano. Gli israeliani hanno detto: 'Non saremo i primi ad introdurre armi nucleari, ma non saremo neppure i secondi'. La questione nucleare è di una segretezza assoluta e noi cittadini israeliani non sappiamo che succede nella centrale nucleare. Eppure siamo seduti su un vulcano nucleare. Sia la destra che la sinistra hanno dato un tacito consenso alla formazione di questo potere nucleare. La decisione è stata presa negli anni '50, quando gli stati arabi uniti attaccavano Israele. Noi avremmo dovuto rispondere con un attacco finale. Siamo diventati il più forte potere militare e abbiamo dato una prova di questo: quindi ora non avremmo più bisogno del nucleare. Non solo ci siamo saputi difendere con le armi tradizionali, ma abbiamo dato prova di essere una potenza militare.
Gli stati arabi ora non sono più uniti contro Israele. Siamo in pace con Egitto, Tunisia, Giordania, Marocco, stiamo facendo la pace con la Siria. Consideriamo una follia che Israele possieda tanti armamenti nucleari da poter distruggere il mondo. Chiamiamo questo potenziale nucleare 'un'altra Auschwitz'.
La maggior parte della popolazione israeliana considera Mordechai Vanunnu una spia; noi lo consideriamo un eroe. Quando i problemi toccano la sicurezza, i confini fra stato democratico e dittatoriale scompaiono. Ci siamo comportati come Saddam Hussein. La parola 'sicurezza' è come fosse la nostra mucca sacra. Sfortunatamente l'Italia ha favorito il Mossad. Mordechai Vanunnu è stato rapito a Londra, portato in Italia e poi imprigionato su una nave israeliana. L'azione degli israeliani è andata contro le leggi italiane.
Vanunnu, in Israele, è stato in cella di isolamento, in una condizione brutale ed inumana, con la luce perennemente accesa. Noi abbiamo collegato la battaglia contro il nucleare a quella per la liberazione di Vanunnu, che dovrebbe essere riportato in Italia. Israele dovrebbe poi chiedere l'estradizione al vostro paese.
Non è saggio per Israele sviluppare in questo modo le armi nucleari. È follia pensare che il possesso del nucleare possa costituire un deterrente.
Gli USA stanno spingendo tutti i paesi a firmare trattati di non proliferazione, ma non Israele. Un luogo comune è che se Israele ha armi nucleari, non le utilizzerà. C'è una destra fondamentalista che è simile a quella islamica. Nella guerra del Kippur Israele stava per usare le armi nucleari.
Oltre tutto, la popolazione israeliana non saprebbe come difendersi da eventuali incidenti nucleari. Una Chernobil sarebbe per noi la fine."
Due mie domande: " Bisogna opporsi alla violazione dei diritti umani. Ma lei ha parlato di Auschwitz e ci sono molti che affermano che Israele si sta comportando con i palestinesi come i nazisti con gli ebrei. Che cosa pensa di questi paragoni? Lei è libero di fare questa campagna all'interno di Israele?"
G.S.: "Le comparazioni fra Israele e i nazisti in genere non vanno fatte. O meglio, si possono fare, ma considerando approfonditamente i fatti storici. I tedeschi non hanno cominciato con Auschwitz. Considerando il periodo compreso fra il 1933 al 1939, si trovano molte analogie fra la politica del nazismo e quella israeliana nei territori. Dire poi che gli israeliani vogliono uccidere nelle camere a gas i palestinesi è una sciocchezza. Nei 28 anni di occupazione gli israeliani hanno violato tutti i diritti umani. C'è un modo sbagliato di parlare dell'Olocausto da parte di alcuni. Ma Israele utilizza l'Olocausto con cinismo. Israele ha avuto rapporti stretti con regimi razzisti come quello del Sudafrica. È vero, ciò accade anche ad altri paesi, ma almeno questi non predicano la moralità.
Per quanto riguarda la nostra azione politica, siccome siamo pochi, Israele non ci considera pericolosi e non ci perseguita. Però non possiamo avere lavori nel settore pubblico. Io sono stato licenziato dal Ministero dell'educazione. Sto però meglio dei palestinesi. Essere ebreo e cittadino israeliano mi dà privilegi rispetto ai palestinesi. Lo stato d'Israele è una democrazia per gli ebrei, una semidemocrazia per i palestinesi israeliani, una dittatura per i territori occupati."
Domanda di un italiano: "Israele ha centrali nucleari?"
G.S.: "No, Israele non ha centrali nucleari. Però quel che non si sa all'esterno è che ha un grandissimo centro di ricerca per armi batteriologiche. Se succedesse un incidente, tutti gli israeliani potrebbero morire."
Domanda: "Israele ha sperimentato le sue armi?"
G.S.: "Negli anni '70 ha fatto dei test nucleari assieme al Sudafrica. Israele non può firmare trattati di non-proliferazione, perché nega di avere armi. Nell'ultimo trattato di non-proliferazione, gli USA hanno imposto all'Egitto di firmare, ricattandolo, e ad Israele hanno imposto di non farlo. Durante la guerra del Golfo hanno imposto a Israele di non combattere, perché se avesse risposto agli attacchi, sarebbe saltata l'alleanza incipiente con gli stati arabi.
La pressione per liberare Vanunnu è debole all'interno di Israele. Vanunnu, inoltre, si è convertito al cristianesimo e questo lo fa apparire al suo popolo come un traditore.
Fate pressioni sul governo italiano perché ne faccia sul governo israeliano. Il mese scorso la Corte, in seguito ad un appello, ha rimosso la grata attraverso cui comunicava durante le visite dei familiari, ma non l'ha fatto uscire dall'isolamento. Ora Vanunnu può usare anche un computer. Amnesty International l'ha assunto come caso da sostenere, ma non fa molto per lui".

Alla sera c'è un incontro con un giornalista de Il Manifesto, cui io non partecipo. Ci va invece Elisabetta, che mi riporta le informazioni che seguono.
Il giornalista ha detto che si è andati indietro rispetto all'accordo di Oslo, che prevedeva che Israele avrebbe ritirato i militari dai Territori prima delle elezioni in Palestina. Invece nell'ultimo incontro fra Rabin ed Arafat (quello avvenuto il lunedì dopo che siamo arrivati a Gerusalemme), Arafat e Rabin hanno concordato che ciò avverrà solo in qualche città. Del governo israeliano fanno parte anche estremisti di destra che ne condizionano pesantemente la linea (appena a casa, andrò a cercare sui miei libri: fanno parte del governo israeliano anche il Meretz e lo Shas, quest'ultimo religioso e sefardita: è di estrema destra?).

12 AGOSTO

Andiamo al kibbutz di Megiddo. Nel pullman A. parla di varie cose.

A.:"Israele ha importato tecnologie e ha avuto forti aiuti dagli USA. C'è stato uno scandalo nel sindacato per il ruolo che questo ha avuto negli investimenti nel Sudafrica.
Il kibbutz è del Mapam, ed è stato costruito dopo la guerra sopra un villaggio palestinese che si chiamava "La legione". Tutti i kibbutzim sono stati costruiti sulle rovine di villaggi arabi (su questo A. insiste più volte nel corso di tutto il viaggio).
Verranno a parlare con noi donne in nero da Tel Aviv. Ogni tanto, nella zona, si vedono resti di case di arabi, di arabi cacciati da Israele nel '48. Il kibbutz è aperto agli esterni, offre ospitalità e si mantiene con una specie di agriturismo. Ci sono nei dintorni resti di villaggi arabi. C'è una moschea di un palestinese che ora vive in Italia.
Anch'io in passato sono stata pro-Israele, dalla parte degli ebrei, come allora (sono nata nel '40) era tutta la sinistra. Non esiste una cultura ebraica unitaria. Ora faccio una distinzione fra lo stato d'Israele e gli ebrei. Nel '60 avevo il mito di Israele. Ho persino fatto domanda per andare a vivere in un kibbutz. Nel '67 ho avuto la prima crisi, per la guerra dei sei giorni. Vivevo in Inghilterra, dove l'informazione era meno provinciale che in Italia e ho capito che la guerra di Israele non era stata di difesa, ma preventiva. Ho incominciato a fare la sindacalista nel '68. Nell''82, dopo il massacro di Sabra e Chatila, nel volantino che ho scritto, ho detto che la terra va ... (non capisco gli appunti). Nell'84 sono andata al Consiglio nazionale palestinese, dove ho conosciuto una ragazza israeliana fantastica. Sono andata in Libano, poi nei Territori, prima dell'Intifada, tramite un gruppo di israeliane. Gli incontri erano segreti."

(Ieri sera un avvocato cattolico del gruppo mi ha prestato un numero di Le monde diplomatique in cui c'è un articolo sulla crisi dei kibbutzim. L'ho riassunto nei miei appunti, ma non ne riporto qui i contenuti.)

Nell'andare a Megiddo, passiamo più volte tra Israele e i territori. Una volta le guardie di confine israeliane ci fermano per il controllo dei passaporti. Si sentono nel pullman varie battute: "Questo è imperialismo!" "Sorridete, idioti (rivolto ai soldati israeliani), ché vi fotografo!" L'avvocato di Varese dice che non vede motivo di scandalo nel controllo. B. dice: "Certo, (gli israeliani) conoscono i nostri nomi! È tante volte che veniamo qui!"

Arriviamo a Megiddo. Parla A..

A.: "Qui vedrete che c'è un confronto fra i due popoli, fra due stati (immagino Israele e lo stato palestinese che sta formandosi).
Quando noi invitavamo le donne in Italia, facevamo venire un'israeliana e una palestinese. Quelle presenti oggi sono tutte donne in nero."

Ci sediamo in circolo in una grande sala del kibbutz e A. presenta le donne in nero (forse, rispetto alla provenienza delle donne che ci vengono presentate, farò qualche confusione, perché mi sono accorta che gli appunti su questo non sono del tutto chiari).

A.: "Questa è A., ebrea ashkenazita. Abita in un kibbutz vicino a questo. Lavora molto con le donne in nero. È contenta che siate qui, perché può farvi conoscere le cose come sono davvero. Aiuta il popolo palestinese e ciò la porta ad aiutare anche il popolo ebreo.
Questa è I., ebrea. Abita a Cesarea, lavora come guida turistica. Lavora nell'Associazione per la pace e fra le donne in nero.
Questa è F., palestinese d'Israele. Lavora in associazioni pacifiste. Ha saputo che i soldati israeliani hanno fermato il nostro bus. Crede che sia un bene che voi abbiate visto che cosa succede ad un palestinese che va a lavorare e viene fermato ai posti di blocco. Come palestinese israeliana, si sente tagliata a metà.
Questa è S., palestinese israeliana. Viene dal Sud del paese, è mamma di due figli soldati e anche per questo è pacifista: i suoi ragazzi rischiano di essere chiamati in guerra."
S.:"Noi non sappiamo molte cose. Sappiamo che il governo ha preso le nostre terre per fare una città. Le terre sono nostre da generazioni. Ho pensato di organizzare un viaggio per far conoscere questa realtà agli stranieri. Non si sapeva neppure se quelli che avrebbero portato qui fossero russi, ebrei o cosa..."
A.: "Questa è D.. Fa parte delle donne in nero e delle donne per la pace. Spera che tra il gruppo di italiane e loro nasca un rapporto di aiuto reciproco.
Questa è LB., di prigine tedesca, andata a vivere in Cile, e poi fuggita di lì dopo il colpo di stato. Abita qui da vent'anni. Fa parte delle donne in nero. Prima le donne in nero facevano una manifestazione ogni venerdì. Secondo lei queste iniziative sono superate e bisogna trovare altri modi per incidere sulla società palestinese e su quella israeliana. Noi italiane, nel fare le manifestazioni delle donne in nero, abbiamo preso esempio da quelle palestinesi ed israeliane."

( Le domande a LB. riportate di seguito sono formulate da persone diverse, ovviamente tutte italiane)

LB.: " Vivo nel kibbutz. Sono responsabile nel parlamento (?) sulla questione della donna. In ottobre vogliamo aprire un laboratorio nuovo, per insegnare alle donne la leadership. Gli ebrei e i palestinesi non si conoscono. Ci sono oggi tre tipi di kibbutz: religioso, laburista e....(?). Questo kibbutz fu fondato all'inizio del secolo da dodici persone che venivano dalla Polonia. Nella lista c'erano scritti solo i nomi degli uomini. Nulla era privato. I salari erano tutti uguali. I bimbi erano cresciuti nella casa dei bambini. Le donne nel kibbutz lavoravano molto più delle donne di città, all'inizio facevano tutto loro. Erano addette, ad esempio, a lavare. Lavavo la roba, che era in comune.
Ora i kibbutzim sono in forte crisi economica ed ideologica. Si sono cominciati a dare nei kibbutzim salari differenziati e al loro interno è nata una stratificazione economica. Con le differenziazioni salariali, quelle che ci hanno più rimesso sono le donne, che fanno i lavori più dequalificati e "casalinghi". Due kibbutzim hanno applicato queste differenziazioni salariali: in uno le paghe sono a tre livelli: 2000, 4000, 6000 shekel, e si versa una tassa per persona, cosicché le famiglie più numerose pagano di più. Il costo della scuola nel kibbutz è alto. Una donna vedova con tre figli non sa come mandarli a scuola. In un altro kibbutz gli stipendi vanno da 2500 shekel a 15.000. Questo kibbutz ha più difficoltà economiche degli altri. I kibbutzim sono in difficoltà economiche e sono schiavi delle banche. Devono cercare di risanare l'economia dando indietro terre. Ora è possibile costruire sulla terra dei kibbutziA. Così quello vicino a Tel Aviv, dando la terra, guadagnerà più di quello lontano.
Vicino a questo kibbutz c'era il villaggio palestinese La Legione. Il Kibbutz è stato fondato da polacchi, scampati all'Olocausto, a cui si sono aggiunti latino- americani ed altri. Qui si lavora l'argento."
I.( ebrea di Cesarea): "Non sta cambiando solo la vita dei kibbutzim, ma anche lo stato d'Israele: come una donna in menopausa."
S. (palestinese israeliana, farmacista): "Ho studiato in Italia, ma il governo israeliano non ha accettato il mio titolo di studio e mi ha richiesto ulteriori esami. I palestinesi in Israele non passano gli esami, i russi li passano tutti. È difficile rifare gli esami parlando in ebraico. I russi li fanno in russo e passano tutti. Faccio parte di un'associazione femminile di beneficenza."
Domanda: "Com'è la struttura del 'governo' del kibbutz?"
LB.:" Il segretario generale viene eletto da tutti e resta in carica per qualche anno. Il segretario economico resta in carica per circa sei anni.
Prima c'erano assemblee in cui tutti potevano parlare, ma non tutti votare. Ora tutti eleggono i rappresentanti e sulle questioni fondamentali tutti votano"(questa risposta è ub po' confusa negli appunti).
Domanda: "Qualcuno viene buttato fuori dal kibbutz?"
LB.: "Esiste uno statuto ed è l''opinione pubblica' che spinge a seguirlo, più che misure costrittive. D'altra parte stare nel kibbutz è una scelta. Il consumo di droga, ad esempio, è proibito nel kibbutz. Pochissimi vengono espulsi dal kibbutz. Quando una persona non si attiene alle regole, si fa una riunione e se ne parla. Se la persona continua a violare le regole, il suo nome viene pubblicato sul giornale del kibbutz. In venti anni, da quando sono qui, solo due o tre persone sono state buttate fuori."
Domanda: " Gli arabi sono ammessi a vivere nei kibbutzim?"
LB.: "Gli arabi non vivono nei k.. C'è una sola famiglia cristiana che vive in un kibbutz, anche se ciò non è formalmente vietato."
Domanda: "Come fanno i ragazzi che crescono nei kibbutzim ad adattarsi alla società esterna, se da grandi vogliono uscirne?"
LB.: " Quella dei kibbutzim non è una società chiusa. Molti genitori non vogliono che i figli vivano qui perché non sanno se i kibbutzim resisteranno. I ragazzi che lasciano il kibbutzim hanno ricevuto o un addestramento al lavoro o un titolo di studio e si inseriscono bene nella società esterna. La gente che vive nel kibbutz fa parte di un'aristocrazia culturale."
Domanda: "La scuola è aperta solo per gli abitanti del kibbutz?"
LB.: "Sì, solo per loro. Da quando hanno dodici o tredici anni, i ragazzi, oltre che studiare, fanno anche dei lavori."
Domanda: " Quante persone vivono in questo kibbutz? Qual è l'organizzazione della vita pratica?"
LB.: "In questo kibbutz vivono 400 persone, di cui 190 adulti. Vengono dati pasti per tre volte al giorno. L'educazione e la sanità qui sono gratuite. Anche i ragazzi che vanno all'università sono finanziati dal kibbutz."
Domanda: "Ci sono molte nascite?"
LB.: "L'incremento demografico in passato era alto, aveva un indice 4. Ora si è scesi al 3 o al 2."
Domanda: "Nel kibbutz c'è vita politica?"
Ll: "Il kibbutz è abbastanza omogeneo politicamente, anche se chi ne fa parte può oscillare più a destra o più a sinistra. Ora il kibbutz è spento politicamente. È difficile la vita al suo interno se non si hanno opinioni abbastanza omogenee. Io per esempio ho fatto fatica a dichiararmi donna in nero. All'inizio non mangiavo neppure nella sala comune. Israele è ufficialmente considerato stato degli ebrei. Un ragazzo di estrema destra fu espulso dal kibbutz"
Un'italiana osserva: "Non abbiamo capito qual è la differenza fra destra e sinistra, in Israele."
LB.: "La differenza ora passa sul discorso dei Territori. Sulla altre questioni, destra e sinistra sono molto simili. Neppure in politica economica c'è differenza fra i laburisti e gli altri."

Ci avviamo verso il locale in cui si mangia. Nell'andare, un italiano fa: "Gli ebrei non hanno una costituzione, perché la Torah è la loro costituzione."

Dopo il pranzo, si va in piscina. Si pagano al k. alcuni shekel per mangiare e andare in piscina: non mi ricordo quanti, è certamente una cifra bassa.
Le nostre interlocutrici non ci seguono in piscina. Il gruppo degli italiani è chiuso in sé. Ci sono famiglie del kibbutz, ma a nessuno salta in mente di presentarci qualcuno. Qualche italiano, sul bordo della piscina, continua con le battute: "Occupiamo il kibbutz! Occupiamo la piscina!"
Un abitante del kibbutz, mentre stiamo andando via, mi sorride. Ci avviciniamo e ci stringiamo la mano. Lui mi parla in inglese e io gli faccio capire che non conosco questa lingua. Mi chiede, aiutandosi con i gesti, se mi è piaciuto Israele. Gli rispondo di sì, non mi è possibile dire altro.
Mentre dalla piscina andiamo verso il pullman, vedo un grande fiore di ibiscus nelle mani di una signora italiana. Le chiedo perché lo ha preso. Mi risponde che non l'ha preso lei, l'ha staccato il marito da una pianta del kibbutz per offrirglielo.
Si sale sul pullman. C'è anche una delle signore palestinesi a cui A. ha offerto l'accompagnamento a casa. Dopo un tratto di strada, l'autista, palestinese, deve scegliere tra due strade, una piena di traffico (è sabato) e l'altra libera. L'autista vuole prendere quest'ultima, ma A. insiste con durezza perché vada per quella piena di traffico, per accompagnare la palestinese. L'autista si dispera, supplica: prendendo quella strada, si arriverà dopo ore a Gerusalemme e lui non ne può più. Qualcuno propone di fare una colletta per l'autista. La risposta è un'insurrezione generale. Si resta fermi per circa mezz'ora. Poi A. acconsente a riaccompagnare la signora palestinese al kibbutz e a prendere poi la strada con poco traffico: dopo che l'autista si è messo a piangere.

13 AGOSTO

Alle 9 ci si riunisce in albergo perché A. deve parlarci. Non verrà con noi a Bethlemme e ad Hebron perché ha da fare.

A.: "Oggi ho deciso di annullare gli incontri, che sarebbero troppo pesanti. D'altra parte la situazione di Bethlemme e di Hebron è immediatamente percepibile. Il centro storico è occupato dai soldati israeliani ed è in forte deterioramento. In questo viaggio ci sono stati momenti di disorganizzazione ed è mancata una discussione preliminare con i partecipanti. Ci siamo poste l'obiettivo di generare interesse e mettere in atto progetti. Faremo un incontro tra un po' di tempo. Il 24 settembre ci sarà la marcia per la pace Perugia-Assisi. Sarebbe bello che un settore della marcia fosse sulla Palestina.
Domani visiteremo Gaza con H. (una donna palestinese), che sta costruendo un movimento per la democrazia. Poi incontreremo la vedova di un palestinese ucciso dal Mossad a Tunisi. Ed anche una palestinese che è stata arrestata, condannata e liberata in seguito a uno scambio e poi deportata ai confini con il Libano. Il suo fidanzato intanto era condannato agli arresti domiciliari. Così i due sono stati separati e lui l'ha lasciata."

L'avvocato cattolico propone che al ritorno si passi dalla comunità di Nevé Shalom (mi ha dato da leggere un libretto su questa comunità di ebrei e palestinesi d'Israele) Aggiungo ora l'indirizzo del sito di questa comunità http://nswas.org/rubrique109.html .

A.: "Certo, ci si può andare. Ma entrare costa cinque dollari. Nevé Shalom è certamente un esperimento interessante, ma è anche troppo pubblicizzata. È diventata un'attrazione turistica."
Dopo una discussione animata, ci fanno dare per iscritto l'adesione alla visita a Nevé Shalom e la maggioranza firma.

Al pomeriggio partiamo con il pullman per Bethlemme ed Hebron. A guidare il gruppo è B.. Sale un palestinese, K., che sa parlare in italiano: non so se perché espulso o ricercato dagli israeliani, in anni passati è stato a lungo in Italia a lavorare nei sindacati italiani.
Dal pullman si vedono su una collina containers e un movimento di nuovi aspiranti coloni.

B.:"Questi (si riferisce ai coloni ebrei) hanno chiuso metà strada, qui c'è un luogo dove vanno a pregare. Mi pare sia la tomba di Rachele....Ora c'è la chiesa della Natività. Di fronte c'è la moschea. Gli israeliani hanno messo proprio sulla piazza il posto di polizia. Nella zona di Bethlemme ci sono tre campi profughi. Questo campo è Dehesha. È del '48. Nel '67 molti sono scappati in Giordania. Ora ci sono 6000 abitanti dei precedenti 14.000".
K. dice che quel campo profughi è come Auschwitz; poi mostra in alto un punto in cui nuovi coloni stanno piantando tende; ci sono insediamenti di coloni tra Bethlemme ed Hebron e dice che sono stati tutti fatti dopo Madrid.
B.: "È vero: questi insediamenti non li ho visti le altre volte che sono venuta. Ad Hebron c'è stato fino al mese scorso il coprifuoco dalle 17 alle 5. Hebron è famosa per la frutta e la verdura e per il vetro soffiato. Vedete qui i soldati vestiti in modo diverso da quelli di altri luoghi. Nella moschea ci sono le telecamere e i posti di blocco dei soldati. Dall'insediamento che ora vedremo è partito l'attentato alla moschea. Ci sono dovunque check point."
K.: "Se sono arrivati sin qui (i coloni), significa che si prenderanno tutto. Hanno accerchiato Hebron. Questa roba (gli insediamenti) non c'era nel '93, ve lo garantisco. Prima i soldati qui erano 6000, ora ce ne sono 600. Potrete vedere a Hebron le antiche case cadenti, distrutte."

Ci fermiamo alla moschea. Per entrare dobbiamo sottoporci a due controlli da parte dei soldati israeliani: tutte e due le volte fanno passare le borse sotto metaldetector ecc.. K. lamenta il fatto che gli è stato fatto depositare in una cassetta posta all'ingresso un coltello a serramanico. Entriamo nella moschea e una persona che è lì ci dice che potremo visitarla appena finirà la preghiera. Intanto ci racconta la storia di quell'edificio, che contiene le tombe dei Patriarchi. Giunge all'epoca contemporanea. Ci dice che nel '67 gli israeliani hanno trasformato una parte della moschea in sinagoga. Però le due parti erano in comunicazione, aperte, e chiunque poteva visitare tutto l'edificio.

K.: "Durante il Ramadam del '94 un colono ebreo ha sparato nella moschea e ha fatto molte vittime. Gli israeliani hanno allora chiuso la moschea per nove mesi. Quando l'hanno riaperta era divisa: il 60% dello spazio era per gli ebrei. Gli ebrei, anche i civili, possono entrare dovunque, nei luoghi sacri, con le armi. Ai palestinesi tolgono anche un piccolo coltello."

Chiedo a K. se ricorda qualcosa dell'occupazione giordana e di Settembre nero, se crede nel processo di pace, nella politica di Arafat..

K.: "Sotto la Giordania si stava molto peggio. Bastava un nulla per andare in prigione. Ma il re di Giordania e Israele erano segretamente d'accordo già dal '49 per fregare i palestinesi. Settembre nero è stato terribile: 30.000 palestinesi uccisi. Ora gli insediamenti israeliani continuano e continuano. Arafat è il capo dell'OLP e certamente non può essere considerato un traditore, ma è ora che se ne vada. Tutti i laburisti israeliani hanno fatto tutto solo per il popolo israeliano. Ora Rabin frega i palestinesi in un modo diverso rispetto a come faceva la destra."

Usciti dalla moschea, molti decidono di andare a visitare la sinagoga che è dall'altra parte. B., K. e altri non vengono. Mentre ci avviciniamo alla sinagoga, vediamo un ebreo che sta pregando, dondolando di fronte ad un muro. Un'italiana dice: "Che bello se qualcuno di loro si spaccasse la testa."
Dopo il duplice controllo, si entra nella sinagoga, che è quasi un corridoio. Diversi italiani, anche la signora che aveva all'inizio del viaggio definito gli ebrei "cavallette" chiedono a uno di loro spiegazioni sulle diverse parti della sinagoga.
Un'italiana cattolica, impegnata nel movimento scout e più aperta di altri al confronto, nell'uscire mi dice che non avrebbe immaginato, prima di entrarci, che la sinagoga fosse tanto più piccola della moschea: dov'era il 60% che si sarebbero presi gli ebrei?
Arriviamo a Hebron.

B. (sempre dal pullman): "Gli insediamenti sono cresciuti dopo il '93, la situazione è peggiorata dopo il '93. Vedete la casa di un occupante ebraico. (Si tratta di uno strano edificio, pare un'autorimessa o un magazzino e sopra sventola la bandiera israeliana.) C'è il coprifuoco per i negozi: dopo l'una e mezza non possono tenere aperto."
C'è chi obietta che ce ne sono molti aperti.

B.: "Qualcuno può restare aperto."
B. continua a parlare di insediamenti, soldati, check point. E continua: " Per passare in Gerusalemme un palestinese o paga 100 dollari o sta sette-otto giorni ad aspettare. Qui ci sono soldati sui tetti delle case. I soldati israeliani gridavano di notte, pisciavano dall'alto... La gente non riusciva a dormire di notte."
Sui tetti delle case i soldati non ci sono più: non se ne vede neppure uno.
Era in programma di andare al suq, ma non si può. B. dice che è pericoloso: potrebbero prenderci per coloni.
Intorno a Hebron la campagna è coltivata. Ci sono anche ville di palestinesi. Ci sono molti terrazzamenti.
Presso Bethlemme, B. fa deviare il pullman per una stradina. Scende e parla con qualcuno. Quindi risale e dice che avrebbe voluto portarci a vedere i nuovi insediamenti dei coloni, quelli che stavano impiantando stamattina, ma le tende sono state tirate giù dalla polizia israeliana. Glielo ha detto un ragazzino che abita lì vicino.

14 AGOSTO

Oggi è in programma la visita a Gaza, dove ci si fermerà fino a domani, ospiti di palestinesi. Si viene a sapere che Gaza è chiusa perché un colono ha sparato a un palestinese. Proviamo ugualmente ad andare.
Intanto un italiano dice che la sera prima, a Gerusalemme, c'è stata una carica della polizia a cavallo e con idranti. Non precisa contro chi. Glielo chiedo e dice che è stata contro i coloni.
In pullman A. riprende la parola.

A.:"Gaza è chiusa da tre giorni. Sono quattro giorni che nessuno può uscire da Gaza ed entrarvi. Il motivo portato dagli israeliani è che c'è sentore di attentati da parte di Hamas o della Jihad. Ciò è assurdo perché, se un terrorista vuole fare l'attentato, o passa lo stesso o è già a Tel Aviv. Questa è la dimostrazione dell'autonomia che è concessa dagli israeliani ai palestinesi. Nell'ultimo accordo fra Rabin e Arafat è previsto che i soldati d'Israele si ritirino dall'interno degli abitati, non dall'esterno. I palestinesi hanno il 25% della polizia "civile", la sicurezza resta nelle mani degli israeliani. Non c'è nessun accordo sui prigionieri. Israele ne ha liberati 4000, buona parte dei quali aveva finito di scontare la pena. Per legge gli israeliani possono arrestare con detenzione amministrativa, senza neppure comunicare di che cosa il prigioniero è imputato. Prima dell'Intifada, la detenzione amministrativa poteva giungere a sei mesi, dopo ad un anno. Alcuni, però, in detenzione amministrativa hanno fatto sette anni. Tutto è illegale. La convenzione di Ginevra prevede che in territorio occupato non possa essere trasferita popolazione degli occupanti: all'ONU, ogni volta che qualcuno proponeva la questione della Palestina, gli USA ponevano il veto. Questi comportamenti di Israele mettono in pericolo il processo di pace e fanno diffondere il fondamentalismo islamico.
Il benessere di Israele non è basato sulla propria produzione, ma sui fondi ricevuti dalla Diaspora e dagli USA. Quella dei falascià è stata una vera e propria deportazione. Gli ebrei russi volevano andare negli USA, ma il governo israeliano li ha costretti a venire in Israele e ha ritirato loro per cinque anni i passaporti. L'agenzia ebraica li ha obbligati a venire in Israele. Infatti gli israeliani volevano usare i russi come manodopera a basso costo, al posto dei palestinesi. Ma i russi erano qualificati. Il problema di Israele è quello di sostituire i palestinesi. Per questo gli israeliani hanno fatto immigrare 65.000 tra rumeni e gente asiatica, non ebrei. Queste cose sono state tutte scritte da israeliani."

Si passa il confine di Gaza e si cambia pullman senza problemi: c'è solo il controllo dei passaporti, fatto da due soldati che sono saliti sul pullman.

A.: "Incontreremo E.R., una palestinese che ha quattro figli e lavora in un'associazione collegata alla Francia.
Sulla destra c'è il campo profughi di Jabalia. C'è qualche miglioramento perché il Pekdar(?), amministrazione palestinese, ha fatto una campagna per la pulizia della strade. Questo è il centro della città che è un po' cambiato, hanno riaperto molte strade, il mercato... Prima, con l'amministrazione israeliana, era tutto bloccato. Dopo la pace, la gente ha incominciato a costruire. Ecco il primo semaforo di Gaza (applausi. A. si guarda intorno mentre il pullman procede.) Non riconosco più Gaza."

Sale sul pullman
E.R., molto bella e decisa, ha i capelli racchiusi nel velo. Abita fuori Gaza, a più di metà della striscia, verso l'Egitto. Saremo ospiti suoi per la cena e molti di noi dormiranno nella sua casa. Andiamo in un centro sociale, dove c'è anche una struttura sanitaria.
A., presentandoci un signore palestinese: "Questo è H.A.S., un medico che sta organizzando questo centro. È presidente della Mezzaluna Rossa. Lavora per costruire un movimento politico. È al terzo posto nelle preferenze dei palestinesi, dopo Arafat, che ha l'80% e Hamas."
H.A.S.: "Ringrazio gli italiani per la loro solidarietà verso i palestinesi e per la loro sensibilità per la difesa dei diritti umani. Siamo in una fase molto delicata. Israele ha deciso di non abbandonare i territori occupati e ciò ha bloccato il processo di pace. Quella israeliana sui territori occupati è una presenza militare e illegale. Le dichiarazioni dell'ONU non sono mai state rese esecutive. L'accordo di Oslo prevedeva due fasi: una prima fase che dovrebbe esaurirsi tra breve e una seconda fase che dovrebbe iniziare nel terzo anno dell'accordo. Nella prima fase - diceva l'accordo - non doveva essere fatto nulla per cambiare le cose sul territorio. Di fatto, invece, Israele continua gli insediamenti dei coloni, soprattutto le infrastrutture, e tutto ciò è contrario ad Oslo. Gli accordi di Oslo hanno perso il loro valore perché Israele sta dettando le sue condizioni attraverso l'occupazione militare. Avevamo sperato che tutto il mondo ci appoggiasse. Gli USA invece sono stati comprensivi verso Israele e l'hanno appoggiato. I paesi europei hanno preso posizione, ma solo in linea teorica, senza alcuna iniziativa concreta. Così noi siamo soli a confrontarci contro una grande potenza militare. Il processo sarà lungo e difficile. Dall'accordo di Oslo i governi del mondo fanno finta di credere che qui sia stata raggiunta la pace: questi atteggiamenti sono di autoinganno. Noi abbiamo bisogno di una leadership unificata. Per ottenere questo, abbiamo bisogno di democrazia. Al movimento 'La promozione della democrazia' stiamo lavorando io ed altri. Noi apprezziamo l'amicizia con il popolo italiano e, nonostante tutto, resto ottimista."
Domanda: "Nell'accordo di Parigi per quale somma si è impegnato il governo italiano e quanto ha versato ai palestinesi?"
H.A.S.: "Israele è forte militarmente e noi non riusciamo a fermarlo. Il mondo non fa nulla per contrastare la sua politica. Gli USA supportano Israele sul piano economico. Gli stati europei continuano a mantenere relazioni culturali, economiche ecc. con gli israeliani e in questo modo favoriscono la loro politica. Gli USA potrebbero forzare Israele a cambiare politica facendo pressione sul piano economico. Gli europei avrebbero dovuto rompere le relazioni soprattutto con la comunità scientifica israeliana. La posizione di Israele costituisce una minaccia non solo per quest'area, ma per tutto il mondo.
So che gli europei si sentono colpevoli verso il popolo ebraico, ma ciò non deve portarli ad astenersi dal difendere i diritti del popolo palestinese. Ci sono state promesse di aiuti finanziari ai palestinesi e ora stanno arrivando. Ma la leadership (Arafat? non capisco) non li amministra bene."
Mia domanda: "Gli interventi dell'esercito israeliano contro i nuovi aspiranti coloni aprono qualche speranza? Qual è il programma del vostro movimento 'La promozione della democrazia'?"
H.A.S.: " Per quanto riguarda gli insediamenti, l'intervento israeliano non è sufficiente. Rabin ha oggi dichiarato che nella West Bank gli insediamenti continueranno. Il contrasto interno ad Israele è una messa in scena. Deve esercitare una pressione la comunità internazionale. Per quanto riguarda il programma del movimento, posso dare la dichiarazione che lo impronta." (fa portare due o tre copie della dichiarazione, in inglese, che vengono consegnate a A. e a qualche altro).
Domanda di altro italiano: "Chi ha aderito a questo movimento?"
H.A.S.: "Questo è un movimento, non un partito. È aperto a tutti coloro che si riconoscono nella dichiarazione programmatica."
Domanda di un liceale italiano, che ha partecipato al viaggio con i genitori. (L'orientamento politico di tutti e tre pare essere verso Rifondazione comunista): "Non rischiate di fare come il CLN in Italia, che ha dato luogo a decenni di dominio democristiano?"
H.A.S.: "Uno degli scopi della costruzione del movimento per la democrazia è evitare che una fazione prevalga sulle altre. Vogliamo una leadership unificata."
Mia domanda: "Che significa 'leadership unificata'? Noi della democrazia abbiamo il concetto della maggioranza che guida la politica del paese, nel rispetto delle minoranze. Come vi può essere una dialettica fra le diverse forze politiche con una leadership unificata? Inoltre, non sarebbe possibile, visto che non possiamo leggere ora il documento che ha consegnato, conoscere le linee generali del vostro programma?"
H.A.S.: "Il concetto di democrazia non è in contrasto con l'accettazione della costituzione di leadership unificata. L'unità è proprio nell'accettazione della democrazia. Siamo aperti anche ad Hamas, se accetta il metodo democratico, cosa che oggi non pare accettare."
Domanda di altro italiano: "Hamas potrebbe fingere di accettare i principi della democrazia e poi, una volta liberati i Territori, rinnegare questi principi?"
H.A.S.: "Può succedere di tutto, ma il nostro movimento non può essere portato fuori dai binari democratici."
Domanda: "Che cosa è cambiato in Gaza negli ultimi tempi?"
H.A.S.: "Si è allentata la pressione militare israeliana su Gaza."
Domanda: "Crede nella possibilità di un'evoluzione della situazione?"
H.A.S.: "Non so come evolverà la situazione in futuro. Ci sono 4000 soldati israeliani nella striscia di Gaza, non però nei centri abitati. Qualche volta intervengono anche nei centri abitati. A Gaza e nella West Bank sta succedendo come in Sudafrica: si stanno creando ghetti, zone delimitate e controllate dall'esterno. Sta mutando il tipo di occupazione. La maggioranza degli abitanti di Gaza resterà povera."
Domanda di: "Uno stato palestinese formato da Gaza e dalla West Bank, diviso in due, non sarà molto instabile?
H.A.S.: "È possibile uno stato così fatto, purché abbia per capitale Gerusalemme. Uno stato così potrebbe reggersi anche dal punto di vista economico. E a proposito della sanità e del settore istruzione, c'è da dire che le cose stanno andando avanti. Gli ospedali hanno ora un livello accettabile."

Al termine dell'incontro, usciamo per Gaza. La città è sulla sabbia, ha molte strade di sabbia. Le costruzioni sono molto disordinate. Buona parte della città ricorda qualche borgo abusivo dell'Italia meridionale. Le case hanno forme casuali. Ce ne sono di più grandi con il giardino, delle ville. Passiamo anche di fronte alla villa di Arafat. Qualcuno (non ricordo chi) ci spiega che non è sua, ma dello stato palestinese. Nel centro ci sono giardini pubblici con aiuole curatissime. Al loro interno un'infinità di bellissimi giochi per bambini: faccione dalle cui bocche escono scivoli ecc.. Credo che la quantità di giochi per bambini di questi piccoli giardini superi di gran lunga tutti quelli dei giardini di Bergamo e forse anche di città italiane più grandi. Si scorge anche qualche grattacielo. In alcune strade, come si è visto anche in Cisgiordania, sono incollati al muro piccoli manifesti con i ritratti dei ragazzi uccisi durante l'Intifada -alcuni quasi dei bambini- e di Arafat.

Andiamo al Ministero degli affari sociali, che rappresenta un pezzo del governo autonomo palestinese. A. ci presenta le persone che parleranno con noi.

A.: Questa è Ay., di cui vi ho già parlato (si tratta della donna che è stata separata dal fidanzato per via dei vari arresti e deportazioni, e di cui A. ci ha parlato mentre venivamo a Gaza). È responsabile nell'attuale governo del settore donne ed è stata rilasciata da Israele nell''85, nel corso di uno scambio di prigionieri. Vi ho già detto come è stata separata dal fidanzato. Ora non è libera di muoversi. Dal suo villaggio è venuta a Gaza per lavorare, ma non può tornare al villaggio. La sua è la condizione di moltissimi palestinesi. Poi c'è un rappresentante del Ministero degli affari sociali. (lo designerò con Rappr.) Il ministro non ha potuto partecipare di persona a quest'incontro."

Rappr.: "Questa zona è libera. Aspettiamo ora la seconda fase di quest'accordo che liberi la Cisgiordania e Gerusalemme, per avere un nostro stato. Il nostro, pur essendo un ministero governativo, lavora anche con organizzazioni non governative. Operiamo per uno sviluppo sociale ed economico del nostro paese. Il paese, che viene via via disoccupato dagli israeliani, è da loro lasciato nello sfascio. In due anni abbiamo dovuto lavorare molto perché tutte le attività in precedenza erano bloccate dall'occupazione militare. Abbiamo cominciato dal nulla e abbiamo fatto ricerche per capire i bisogni della popolazione. Uno dei primi piani dell'aiuto sociale è stato per i prigionieri politici: per 24.000 famiglie. Per ciascuna di queste famiglie abbiamo stanziato 300 shekel al mese, e abbiamo dato assistenza e scuola gratuite.
C'è spesso la chiusura dei confini fra Gaza ed Israele e ciò danneggia soprattutto coloro che devono andare a lavorare in Israele. La frequente chiusura dei confini ha fatto sì che molti lavoratori non vadano più in Israele: perciò la disoccupazione è molto alta. A Oslo i paesi europei hanno promesso molti aiuti, che hanno dato solo in piccola parte. È per questo che abbiamo costituito il Ministero degli affari sociali. Durante l'Intifada, la chiusura delle scuole ha danneggiato i nostri ragazzi. Ora ci sono scuole professionali per ragazzi e ragazze da 17 anni in su: sono cinque. Abbiamo programmi di aiuto per bambini con problemi psicologici e fisici. Abbiamo 120 giardini d'infanzia con 650 camere, frequentati da 3000 bambini. Sono 60 le organizzazioni non governative con cui stiamo lavorando. Infatti un ruolo importante di questo Ministero sta nella collaborazione con organizzazioni non governative, nazionali e internazionali. C'è anche un programma per seguire i figli dei prigionieri politici e quelli dei martiri dell'Intifada. Questi programmi non riguardano solo Gaza e la Cisgiordania. Ci sono formazioni di ex-prigionieri: quelli che fruiscono di tali aiuti sono 3000 in Cisgiordania, 2000 a Gaza. I corsi per loro sono sostenuti dall'Italia. Agli ex-prigionieri si offre una formazione diversificata, che va dall'alfabetizzazione all'addestramento professionale. Si assiste la famiglia finché l'ex-prigioniero trova lavoro. Il programma è stato varato per 10.000 prigionieri, ma i fondi sono stati pochi e abbiamo dovuto ridurre il numero degli assistiti a 5000. Altro nostro obiettivo è lo sviluppo della condizione femminile, in quanto le donne sono state sacrificate durante l'occupazione."
Domanda: "Quali sono gli altri ministeri?"
Rappr.: "Ci sono 17 ministri. Il principale con cui cooperiamo è quello della salute. Ci sono 17 ministri e 22 ministeri.
Il ministro degli affari sociali è dovuto andare a Tunisi e non ha potuto incontrarvi."
Ay.(la donna palestinese, che ci ha presentato A. all'inizio dell'incontro): "Il dipartimento delle donne è un nuovo Ministero. Abbiamo fatto inchieste sui bisogni. Durante l'occupazione militare avevamo comitati delle donne. Questi gruppi hanno lavorato molto sulle questioni sociali. Le donne palestinesi hanno pagato prezzi alti durante l'occupazione militare. È ora che si cerchi di lavorare per il loro benessere, insieme con i comitati che si sono formati sul territorio. Bisogna intervenire dove mancano i comitati. Abbiamo molti problemi di carattere sociale da affrontare. Ad esempio, quello dei matrimoni troppo precoci, quello del divorzio, quello delle relazioni fra le famiglie... Le donne sono oblative, ma non conoscono i loro diritti. Cerchiamo di dare loro una formazione perché trovino lavoro. Le donne dei villaggi vanno aiutate più di quelle della città. Prima dell'Intifada, c'erano sette organizzazioni di donne, che sono state chiuse dagli occupanti e che ora abbiamo ricostituito. Abbiamo pochi fondi."
Domanda: "Il ruolo che le donne assumono nel nuovo governo palestinese è sempre relativo ai compiti tipicamente femminili?"
Ay.: "No, si lotta anche contro l'oppressione della donna."
Domanda: "Nella società palestinese esistono classi? Il Ministero degli affari sociali porta avanti una linea egualitaria?"
Ay.:"Ci sono indubbiamente differenze sociali che noi cerchiamo di ridurre."
Domanda: "E che cosa fate a proposito dell'aborto, del divorzio?"
Ay.: "Abbiamo ora problemi drammatici da risolvere. Un primo lavoro va fatto per una campagna demografica. Le relazioni prematrimoniali ed extramatrimoniale della donna qui non sono ammesse."
Domanda: "Come si formano i ministeri?"
Rappr.: "Non c'è ancora una legislazione precisa. La situazione è confusa dal punto di vista organizzativo. Vanno definiti gli organismi dello stato. Ora una legge è ratificata da tutti i ministeri. Prima la legislazione era egiziana, poi ci sono stati più di 1000 decreti israeliani che hanno creato una grande confusione. Ora è tutto da rivedere, da rifare la nostra legislazione. Se applicassimo la legislazione egiziana, le donne non avrebbero diritti elettorali.
Nel Ministero c'è un settore specifico che si occupa di handicap, anche di quelli provocati dall'Intifada. Durante l'Intifada, molti palestinesi hanno anche riportato lesioni cerebrali per i gas che usava l'esercito israeliano."
Domanda: "Avete anche problemi con la droga?"
Rappr.: "Sì, due organizzazioni si occupano del problema, una è in Cisgiordania, un'altra a Gaza."
Domanda: "Che tipo di aiuto vi aspettate da noi italiani?"
Rappr.: "Abbiamo bisogno di fondi per formare maestre e materiali per giardini d'infanzia. Dovete fare pressione perché il vostro governo ci aiuti."
Domanda: "Cosa fate per la campagna demografica e per l'assistenza agli anziani?"
Rappr.: "A Gaza ci sono 900.000 abitanti circa. Non se ne sa precisamente il numero, ora stiamo avviando il censimento." (Non ho annotato e non ricordo il resto della risposta: mi pare che la riunione si sia dovuta interrompere a questo punto per ragioni di forza maggiore, ma non ne sono del tutto sicura.: c'è un "buco" nei miei appunti)

Andiamo a mangiare in un bar che si trova al di sopra della spiaggia. Manca A., che è andata a pranzo con donne palestinesi. C'è invece B.. Arriviamo al bar che è su uno spiazzo coperto da stuoie, alto sul mare. Alcuni ne approfittano per scendere vicino al mare e fanno anche amicizia con famiglie di palestinesi che hanno sulla
spiaggia delle capanne. Nessuno degli italiani si fa il bagno nel mare, perché, soprattutto per le donne, sarebbe d'obbligo entrare nell'acqua vestite.
Al bar ci viene presentato un ragazzino palestinese di 16 anni, che frequenta una specie di liceo scientifico e dice di aver fondato un'associazione apolitica di giovani per la pace.

Ragazzino: "Ho viaggiato molto con mio padre. Durante l'Intifada mio padre mi ha portato via. Sono stato in Tunisia e anche in Giordania, dove ho conosciuto re Hussein. Sono stato anche in Europa, a Londra. Poi sono tornato a Gaza e ho fondato un'associazione per la pace, che ha ottenuto il riconoscimento ufficiale del governo palestinese. Mi è stato anche concesso di prendere la patente di guida due anni prima dei miei coetanei."
B. invita il ragazzo a venire in Italia con altri tre coetanei.

Risaliti sul pullman, costeggiamo il mare. B. ci mostra un insediamento israeliano sulle dune: allucinante. Come si fa ad andare a vivere in quel modo, fra persone che giustamente non ti sopportano? B. ci dice che quell'insediamento costituisce una prima occupazione della costa, dove gli israeliani vogliono costruire un villaggio turistico.

Nel pomeriggio andiamo nella sede della FEDA (o FIDA? non ricordo se siano due i raggruppamenti politici o uno solo. Questo, comunque, è molto legato all'OLP). Ci sono due dirigenti, uno che parla arabo e inglese, l'altro solo arabo. (Chiamerò quello che parla con noi Dir.. Con il sindaco di Nablus, queste sono le persone che mi hanno maggiormente affascinato: non solo per la loro linea politica chiaramente dichiarata, ma anche per un modo gentile, sorridente e magnanimo con cui mi pare si pongano di fronte ai problemi. È chiaro che non voglio trarre conclusioni certe, "verità", da questi incontri: registro solo delle mie impressioni.)
Naturalmente parlerà solo il dirigente che sa anche l'inglese, ma, prima di rispondere alle domande, si consulterà sempre con il suo compagno. Durante la prima parte del confronto esiterà un po' a rispondere, non so se perché non padroneggi perfettamente la lingua oppure perché voglia formulare tra sé e con il suo compagno risposte ben meditate. A. si inserisce in queste esitazioni e risponde lei al posto dell'uomo politico, ripetendo cose che ci ha già detto. È la prima volta, negli incontri con palestinesi, che A. interviene tanto e a lungo. Infine porrò io una domanda e preciserò che desidero una risposta da lui, che siamo lì per sentire parlare lui. Da allora in poi A. starà più zitta, ma non del tutto.

Dir.: "Nella Feda ciascuno è del tutto libero di esprimere la propria idea. Quest'organizzazione politica è stata fondata nel 1992 ed è nata da una divisione del Fronte democratico. Il leader fa parte dell'autorità palestinese, con Arafat: è il Ministro della cultura e dell'informazione del governo palestinese. Ha fatto parte di tutte le delegazioni che trattano con Israele.
Prima della nascita del Feda c'erano diversi problemi nel Fronte democratico, che riguardavano scelte e comportamenti dei suoi aderenti. Erano sul fronte opposto quelli che erano a favore delle trattative e quelli che erano contro. Noi del Feda siamo per il processo di pace con Israele. Altri rifiutano la pace e vogliono la guerra e lo scontro. Noi vogliamo fermamente la pace ed esigiamo che anche Israele abbia un atteggiamento di pace. Troviamo certamente molti ostacoli: ad esempio, da una settimana la striscia di Gaza è chiusa. Israele ha paura di attacchi militari da parte dei palestinesi che sono contrari al processo di pace. Ciò crea problemi seri per coloro che vanno a lavorare in Israele."
A.: "Bisogna avere almeno 40 anni per ottenere il permesso di andarci. Israele autorizza 15.000 lavoratori a recarsi nel suo territorio. Se la frontiera viene chiusa per un giorno, il lavoratore perde solo il giorno di lavoro. Durante l'Intifada la frontiera di Gaza restò chiusa per molto tempo e gli israeliani assunsero lavoratori russi, asiatici, rumeni...ecc."
Dir.:"Gli altri paesi arabi vogliono liberarsi dei palestinesi. Tra l'Egitto e la Libia ce ne sono 40.000 che il governo libico non vuole."
Domanda: "Ma se la pace ha peggiorato la situazione, che pace è?"
Dir.: "Quando è iniziato il processo di pace, si pensava che il cambiamento fosse a portata di mano. Gli israeliani sono però andati avanti con i piedi di piombo e pongono ostacoli sulla via della pace."
A. fa un intervento abbastanza lungo, ribadendo posizioni già espresse in altre occasioni. Dice che questi ritardi alimentano il partito armato.
Domanda del liceale italiano: "Se gli israeliani continuano così, può cambiare la vostra linea politica?"
Dir.: "No! Noi siamo per il processo di pace. Un problema importante è quello del rilascio dei prigionieri politici. Israele rinvia sempre. Ci sono molti studenti che vorrebbero continuare i loro studi all'estero, ma non possono. Ora gli israeliani, dopo il trattato, hanno chiuso le università (forse non ho capito: tutte? E perché'), all'infuori di quella di Gaza. Nell'Intifada sono morti 1800 palestinesi."
A. interviene a lungo. Dice che ai palestinesi è ormai impossibile fare la lotta armata, perché sono stati sconfitti militarmente dagli israeliani, non c'è speranza di vincere con la lotta armata. Che il Partito comunista palestinese fu il primo a riconoscere Israele. Che inoltre i palestinesi sono diventati democratici e anche per questo pensano a una soluzione negoziale. Che Arafat non parla di giustizia in assoluto, ma relativa alla situazione. Che la gente in Palestina è stanca e depressa. Che anche i passi avanti non hanno portato la libertà. Che oggi sul Jerusalem Post compare un articolo di Peres che si dichiara contento delle condizioni imposte ai palestinesi, poiché gli israeliani hanno il 75% dei territori, l'80% dell'acqua ecc.: è lui stesso a dichiararlo.
Poi A. riprende discorsi già fatti sulle condizioni dei palestinesi che vanno a lavorare in Israele, sulle paghe decurtate (v. incontro con il Centro per i diritti dei lavoratori palestinesi, tenutosi in uno dei primi giorni ecc.).
Osservazione di un'italiana: "Siamo allibiti del fatto che accettiate una pace così, ma ammiriamo la vostra forza morale!"
Dir.: "Certo, ci sentiamo come in una riserva. Siamo sfiduciati perché Israele non rispetta gli accordi."
Domanda mia: "C'è secondo lei uno scontro reale in Israele sul processo di pace, fra forze diverse? Vorrei per favore sentire la risposta del dirigente palestinese e non di altri." (da questo momento A. non interverrà più per un po'.)
Dir.:"Sì. lo scontro è reale, com'è reale lo scontro fra noi palestinesi."
Domanda mia: "Se in Israele l'anno prossimo vincesse la destra, il processo di pace sarebbe ostacolato?"
Dir.: "No, no si interromperebbe. Diverrebbe più difficile."
Domanda di un'italiana giovane, cattolica, impegnata nello scoutismo: "Come mai, con la nuova autorità palestinese, non si tira la gente fuori dai campi profughi, visto che dappertutto ci sono cantieri per la costruzione di case? C'è una ragione politica?"
Dir.: "La soluzione del problema dei campi è difficile. Ci vogliono molti soldi per risolverlo. Nei negoziati c'è anche il discorso sui campi-profughi. La risoluzione n. 194 dell'ONU dice che i profughi hanno diritto di tornare alle loro terre o di avere una terra che li compensi di quella perduta.
A. fa un altro lungo intervento. La cosa principale che dice è che non c'è più possibilità per i palestinesi di tornare alle terre che avevano prima del '48.
Mia domanda: "Come i palestinesi vedono la soluzione dei campi profughi, in prospettiva?"
Dir.: " C'è un forte incremento demografico nei campi profughi. A Gaza sono sovraffollati. I palestinesi però non vogliono andare da Gaza a Nablus. Gli Israeliani devono lasciare i territori. Una parte di palestinesi dovrebbe accettare di andar via da Gaza. Una soluzione sarebbe quella di risistemare, bonificare i campi-profughi."
Domanda: "Non c'è il rischio che, una volta raggiunta l'indipendenza, i palestinesi, per soddisfare i loro bisogni, cadano sotto il potere economico di paesi più ricchi?"
Dir.: "La soluzione per i campi-profughi deve essere un problema internazionale, come a suo tempo è stata la costituzione dello stato d'Israele. Poiché nella striscia di Gaza ci sono stati cambiamenti positivi, è ora di porsi anche il problema dei campi-profughi."
A. interviene ancora, dicendo che l'Intifada l'ha fatta soprattutto la gente dei campi.
Dir.: "La striscia di Gaza è sovrappopolata. Negli anni '60 c'erano circa 600.000 persone, oggi circa 1.000.000. È un problema da affrontare."
Mia domanda: "Quale seguito hanno Hamas e le forze che sono contrarie a questo processo di pace? Le forze di pace sono in grado di tenere sotto controllo il terrorismo?"
Dir.: "La maggioranza del popolo palestinese è certamente per il processo di pace, appoggia Arafat, anche se non disponiamo di percentuali precise. Le forze di pace palestinesi sono in grado di tenere sotto controllo il terrorismo. Negli ultimi due mesi sono cessate le azioni militari contro Israele." (Penso al pullman fatto saltare circa un mese fa a Tel Aviv, in cui sono morti sei anziani, ma non dico nulla.)
Ci salutiamo in modo molto caloroso.

Risaliamo in pullman per andare a casa della palestinese che ci è stata compagna di viaggio e abita in campagna, a poco più di metà della striscia. Si passa da un check-point israeliano. Un anziano professore in pensione italiano, che tossisce molto ed è solo, si alza in piedi e si mette a gridare: "Israele merda! Israele merda!".

A.: "Un governo israeliano precedente (non sono riuscita a scriverne bene il nome) aveva proposto ai coloni una compensazione: ti pago e te ne vai. Molti coloni avrebbero accettato. Poi Rabin è tornato indietro, per poter utilizzare i coloni come strumento di pressione."

Sulla sinistra, a un bel tratto da Gaza, c'è un piccolo insediamento di israeliani. C'è una strada divisa in due corsie: una è riservata agli israeliani. A. ripete che un ministro precedente voleva dare una compensazione a quei coloni ecc.
Trascorriamo la sera tra la casa della nostra ospite palestinese e una vicina, dove c'è la festa per un prossimo matrimonio. Assisto alla festa – quella della sposa, con sole donne – con un mal di testa da suicidio. Nonostante il mio stato, guardo rapita le danze delle bambine, tutte già capaci di danzare da quando sono piccole.

15 AGOSTO

Siamo di nuovo a Gaza, in un posto che non ricordo e non ho segnato sul mio quaderno. Deve essere uno dei centri sociali. Arriva A. e dice che non si può andare a Nevé Shalom. Proteste: la maggioranza, prima di partire da Gerusalemme, ha firmato per andarci. A. allora dice che è possibile andarci, ma chi lo decide dovrà pagare, oltre i 5 dollari di ingresso, anche il taxi che li porterà a Gerusalemme: non è giusto, dice, chiedere alla minoranza di fermarsi per un'ora fuori da Nevé Shalom. Un finanziamento supplementare per il ritorno della maggioranza a Gerusalemme significherebbe togliere soldi ai fondi per i palestinesi. Ci sono discussioni. Io dico che questo è un tentativo di censura. Arrabbiatura delle nostre guide. Comunque la maggioranza decide di andare a Nevé Shalom anche pagando il taxi per il ritorno. A. telefona a Nevé Shalom per fissare l'appuntamento e prenota un altro pullman che ci venga a prendere di lì. Saliamo sul pullman.
Siamo diretti alla casa delle donne del villaggio di Khan Yunis.

A.: "Questo è un villaggio particolarmente arretrato e povero. Molte donne qui vanno pesantemente velate. Prima dell'Intifada erano meno le donne che mettevano il velo. Con l'Intifada velarsi è stato anche un segno di solidarietà nazionale. C'è stata una forte repressione e in un giorno gli israeliani hanno tirato giù 20 case."

Arriviamo. Ci sono alcune palestinesi che ci spiegano l'organizzazione del centro. Non ho caratterizzato negli appunti le diverse palestinesi che parlano durante quest'incontro. Perciò riporterò tutto ciò che ci è stato detto con la sigla Pal. (palestinese), riunendo in un unico discorso tutto ciò che è stato detto.

Pal.: "Quest'associazione di donne è stata formata da donne che facevano capo a quattro organizzazioni politiche (non ho fatto a tempo a scriverne le sigle). Abbiamo poi messo in piedi un centro che si occupa di ragazzi che hanno subito danni durante l'Intifada. In questo centro vengono 200 bambini, a turni alterni. Ci sono ragazzi dai sei ai dodici anni. Poi però i bambini che uscivano dal centro non avevano sbocchi. Dall'aprile, su sollecitazioni delle famiglie, abbiamo organizzato un centro per ragazzi più grandi. Le attività che vengono proposte ai bambini e agli adolescenti sono simili, ma i metodi e i livelli sono diversi. Si fa danza, pittura, teatro ecc.. Poi si è giunti a formare centri per ragazzi e per donne: è nato così il centro Il Mulino della Nonna.
C'è anche un progetto con la collaborazione dell'italiana AIDOS (?) per organizzare un consultorio per i bisogni delle donne. Tutte queste organizzazioni sono non governative. Le attività che si tengono al loro interno sono rese possibili dai fondi che provengono da ambasciate, da enti di solidarietà araba, da organizzazioni per la pace. Teniamo festival di arte varia, anche di musica per beduini. Un festival musicale si è tenuto per la prima volta a Gaza. Abbiamo anche programmi di scambi con persone di stati esteri (Italia, Canada ecc.), gemellaggi, corrispondenze epistolari. Un esempio del supporto finanziario dato dalle ambasciate, sono i fondi che sono serviti all'associazione per l'acquisto di un pullmino per il trasporto dei ragazzi; dal Governo palestinese invece è stato dato il terreno per costruirci una centro."

All'uscita dal centro B. ci dice che ci sono disordini perché è stata uccisa una persona; la polizia palestinese è intervenuta. Ci affrettiamo a raggiungere il pullman e a risalirvi sopra. Poi A. parla con la signora palestinese e ci dice che l'omicidio è avvenuto nel corso di un regolamento di conti fra due famiglie.
Anche qui, sui muri, ci sono foto di ragazzi uccisi nel corso dell'Intifada e di Arafat.
La città è nel massimo degrado. Andiamo ad un campo-profughi senza recinzione e in certi punti non si capisce se si tratti del campo o di quartieri "normali".

A.:" Qui ci sono i profughi del '48. A Rafah l'abitato è stato spaccato dalla linea di frontiera (ho pensato al villaggio di Barta'a di cui parla Grossman ne "Il vento giallo".). Quest'area è abitata da profughi che hanno comprato il terreno e hanno incominciato a costruirsi la casa."

Andiamo al centro per gli adolescenti e ce ne parla una signora palestinese (Sign.p.) che se ne occupa.

Sign. p.: "Qui teniamo tre giorni di attività per i maschi e tre per le femmine. L'opinione pubblica non accetta che ragazzi e ragazze siano educati insieme. Una parte dell'attività del centro è dedicata al supporto scolastico, una specie di doposcuola. Ci sono poi cinque filoni di attività: computer, biblioteca, ludoteca, musica, sport. Poi organizziamo gite, festival, mostre, laboratori di pittura e di sviluppo della fotografia.
Per quanto riguarda l'attività con il computer, se ne insegna l'uso ai ragazzi e alle ragazze.
La biblioteca prima era formata da libri di scuola, poi abbiamo acquistato testi non scolastici. Pubblichiamo una rivista gestita dai ragazzi. (Ne ho una copia, scritta ovviamente in arabo. È molto gradevole, nella grafica.) Abbiamo fatto delle tessere per la biblioteca a forma di passaporti di sette colori. Ogni quindici libri presi a prestito, il ragazzo riceve un passaporto di altro colore. Dopo che ha esaurito i sette passaporti, il ragazzo ha diritto a un premio, che può consistere nella pubblicazione di un suo testo -un racconto o qualcos'altro- sulla rivista. Quest'ultima ha lo scopo di comunicare anche con l'esterno, di far conoscere alla gente quello che facciamo.
La ludoteca ha giochi più adatti ai ragazzi che alle ragazze. Comperiamo questi giochi da Israele.
Per venire qui, i ragazzi pagano 5 shekel (mi pare, al mese). È una cifra simbolica, ma serve a impegnare loro e le famiglie. Non diamo il pranzo. Non c'è neanche il servizio di trasporto, eppure alcuni ragazzi vengono qui da lontano. Stiamo pensando di procurare un pulmino.
Questa è la shaharang (si scrive così?): una specie di dama- scacchi di cui si organizzano tornei. I ragazzi hanno fatto anche ricerche sui vecchi giochi dei genitori, dei nonni. Hanno fatto anche una ricerca sui vecchi contenitori. Le ragazze lavorano a maglia e fanno cappellini e vestitini per i bambini.
Ci sono qui sette educatori e ogni mese fanno formazione per una settimana. Abbiamo pochissimo materiale. (Faccio l'inventario nel laboratorio di pittura: ci sono 4 tavolozze di acquerelli, di cartone, le più piccole e brutte che si possano trovare nei nostri supermercati, con i colori in gran parte consumati; qualche tubetto di tempera, alcuni secchi; qualche barattolo di vernice; un paio di boccette con il solvente; una manciata di pennelli semiseccati e qualche pezzetto di polistirolo. Alle pareti ci sono due quadri dipinti dai ragazzi: una natura morta e una donna che porta un cesto di frutta sul capo. In un armadio ci sono 4 palloni, 4 racchette da ping-pong belle e molte altre di compensato o di plastica. L'armadio in cui ci sono i lavori delle ragazze oggi è chiuso a chiave e non si può aprire.)
Arrivano tre o quattro ragazzini e con delle semplici tesserine di legno non colorate, tutte uguali, costruiscono velocemente una bellissima moschea con la cupola a cipolla e un altro edificio molto decorativo. Le educatrici del centro li seguono con grande trepidazione: vogliono che i loro ragazzi facciano una bella figura e forse temono che ce ne andiamo prima di aver atteso che finiscano la loro opera.

Sul pullman, alla palestinese che ci accompagna, qualcuno pone ancora domande e lei risponde: "I bambini si sentono minacciati e perciò si comportano con violenza. Per aiutarli si punta molto sulle attività espressive: drammaturgia, musica, pittura. Si fanno riunioni con i ragazzi e le famiglie e si è collegati ad un centro per le malattie mentali di Gaza. Quando i bambini arrivano al centro e cominciano a dipingere, utilizzano solo il rosso e il nero e fanno figure di soldati. Dopo un anno di permanenza al centro, i colori si moltiplicano e i loro disegni riprendono soggetti non più di guerra. Un processo analogo avviene nell'esperienza teatrale."

Siamo ora in zona israeliana. C'è una brutta fabbrica a forma di stella di Davide (chi può avere progettato una cosa simile?) e un insediamento militare israeliano.
Qualcuno, forse la palestinese che è sul pullman (non l'ho segnato chiaramente), dice: " Le automobili palestinesi possono superare il check-point solo se ci sono due persone, perché gli israeliani hanno paura che uno solo possa essere un kamikaze. Due mesi fa è esploso qui un palestinese imbottito di esplosivo. Per i palestinesi in questa zona non ci sono acqua ed elettricità, che invece hanno i coloni. Solo tre palestinesi hanno avuto il permesso di costruire qui.
In quella fabbrica israeliana - era prima una sinagoga- lavoravano 300 palestinesi, ora ce ne sono soltanto una ventina. Le costruzioni a cubo sulla spiaggia sono installazioni militari egiziane, ora prese in fitto da palestinesi, che non hanno però il permesso di restaurarle. Gli israeliani infatti vorrebbero costruire in riva al mare un villaggio turistico e ci sono per questo tensioni con le autorità palestinesi. Le capanne sulla spiaggia (di frasche, rami, paglia) costano 10 shekel al giorno. Questa è terra palestinese, ma non ha il potere su questa zona il governo palestinese. Ci sono insediamenti ed esercito israeliani.
Fino a poco tempo fa era possibile ai palestinesi acquistare vetture a basso prezzo da israeliani che frodavano le assicurazioni dicendo che erano state rubate. Ora le macchine israeliane che ci sono qui hanno un contrassegno particolare e i loro padroni non possono più fare questi imbrogli. Le postazioni militari israeliane che sono qui fanno da base ad attacchi notturni dei soldati, che senza alcuna ragione assalgono i palestinesi. Qui sono stati compiuti pure attentati in bicicletta. Perciò i soldati diffidano anche di chi va in bicicletta da solo."
A.: "Gli israeliani ce l'hanno anche con l'asino, che ha le orecchie dritte, a V, che potrebbero significare vittoria."
Palestinese: "Non è questione di sicurezza, di rafforzare i meccanismi di sicurezza, per gli israeliani. Quando gli attentatori decidono di fare un attentato, nessuno li ferma."
Si ritorna nel villaggio e si gira per le strade. Sappiamo che non si va più a un centro in cui sono curati bambini che hanno riportato gravi handicaps durante l'Intifada. Infatti è tempo di vacanza e pare che questi bambini siano a casa.

Andiamo al centro Il Mulino della Nonna. Intanto si apprende definitivamente che si andrà a Nevé Shalom, ma il pullman porterà subito a Gerusalemme la minoranza che non vuole saperne. Da Nevé Shalom torneremo a Gerusalemme con un altro pullman, prenotato da A., pagando ciascuno una piccola quota.
Giungiamo al centro Il Mulino della Nonna.
Ci accolgono alcune palestinesi e ci sediamo in circolo. Non sono riuscita ad annotarne tutti i nomi, solo quello di Magda, una donna energica, con i jeans, senza velo. Perciò le chiamerò Magda, Seconda Pal., ecc..

Magda: " Le attività in questo centro sono divise in rapporto all'età e agli interessi delle persone. Ci sono attività teatrali, per la formazione di attori. Manca lo spazio per tenere spettacoli, che perciò vengono portati in vari luoghi, spesso in spazi esterni. Ci sono il gruppo musicale e folkloristico, che ballano la debka. Molte donne fanno ceramica. In biblioteca ci sono libri, periodici e il bollettino del centro. C'è anche un concorso letterario per scrittori di novelle. Teniamo gare e concorsi di cultura generale. Abbiamo una specie di cineforum a cassette: proiettiamo film una volta al mese. Il 21 luglio teniamo qui il festival del folklore beduino. I prodotti di tutte le attività vengono poi esposti."

È presente alla riunione un signore palestinese, che gestisce il bar e anche le attività teatrali.

Continua Magda: "Noi animatori facilitiamo le attività e le scelte. Quelli che vengono qui decidono cosa fare.
Diamo prestiti a donne che vogliono mettere in piedi attività: a ciascuna 3000 dollari. Finora una donna ha aperto un negozio di pop corn, un'altra di parrucchiera, una terza un ufficio di traduzioni ecc.. 50-60 donne frequentano questo centro, fra sposate e non. Alcune famiglie si oppongono, perché questo è un centro misto. Ma qui una persona, se lo vuole, può restare in ambiente di sole donne o di soli uomini."
L'italiana cattolica, dirigente scout: "È difficile qui fare la zitella?"
Seconda paB.: "È difficile fare la zitella qui. Una donna che non si sposa deve restare con la sua famiglia d'origine."
Un'altra italiana: "Alla donna è possibile chiedere il divorzio?"
Magda: " Qui non esiste il matrimonio solo civile. È possibile fare registrare matrimoni civili fatti altrove. Qui, come del resto in Israele, non esiste il matrimonio solo civile. Il divorzio può essere chiesto o da un uomo o da una donna, in una Corte islamica. Se per esempio un uomo sposa una seconda moglie senza avere avvertito la prima, questa può chiedere il divorzio. Se due non hanno figli, possono entrambi richiedere il divorzio. La legge riconosce dei diritti alle donne, ma la società, la mentalità li negano. Neppure il gruppo di Hamas prende alla lettera la legge islamica.
La donna è indubbiamente svantaggiata. Quando due figli, un maschio e una femmina, vogliono studiare, si privilegia il ragazzo, se non ci sono possibilità per entrambi."
Mia domanda: "Alle donne che hanno relazioni extramatrimoniali che cosa succede?"
Rispondono a più voci (Ho segnato le risposte come fossero un unico discorso): "Le relazioni fuori dal matrimonio sono punite molto severamente. Se la ragazza non è sposata e le famiglie riescono a combinare il matrimonio, si ripara. Se no, spesso, si arriva ad uccidere. Se gli amanti sono sposati, vengono uccisi. Una ragazza non sposata che ha una relazione, se non viene uccisa, resta emarginata."

Partiamo dal centro Il Mulino per ritornare a Gerusalemme. Passeremo da Nevé Shalom.

B., in pullman, dice al professore anziano: "Sei incazzato con gli israeliani, vero, R.? Se te ne capita uno fra i piedi a Bologna...." . Mi chiudo le orecchie con i tappi di cera per non sentire più queste sciocchezze.

Arriviamo a Nevé Shalom. Anche A. viene con noi. Paghiamo i cinque dollari per entrare. Nel piccolo locale di ingresso ci sono fotografie della festa della lana tenutasi qui con i beduini. Poi una signora ci guida in una sala. Prima di sederci, andiamo quasi tutti in toilette.

A.: "Sbrighiamoci, altrimenti scadono i cinque dollari."

Quando rientriamo, ci offrono un rinfresco e ci sediamo tutti in circolo. La signora israeliana ci fa la storia della comunità, che non riporto integralmente, perché è nota. È stata fondata da un cattolico, con l'obiettivo di favorire la reciproca conoscenza e la convivenza delle religioni. Il discorso religioso si è poi modificato. Continua la sua esposizione passando all'oggi.

Israeliana: "Ora l'obiettivo è quello di far vivere insieme, quotidianamente, arabi ed ebrei. Oggi ci sono nella comunità 25 famiglie (non so se in tutto o per ognuno dei due gruppi), metà palestinesi, metà ebree, tutte di Israele. Vi illustro le nostre istituzioni e il sistema educativo.
Abbiamo scuole, dal nido alla materna alle scuole di ottavo livello. Da cinque anni abbiamo allargato la frequenza a palestinesi e a ebrei che non abitano nella comunità. In tutto abbiamo cento bambini.
Il nostro sistema educativo è rivoluzionario rispetto a quello di Israele, che separa i bambini arabi dagli ebrei. I nostri studiano la cultura, le lingue e le tradizioni sia ebree che arabe. Alla base del nostro sistema educativo c'è l'idea che ogni popolo deve conservare la propria cultura e la propria identità, per avere rapporti alla pari con gli altri.
Oltre la scuola vera e propria, abbiamo qui anche una scuola di pace, rivolta a ebrei e palestinesi. Offriamo una cornice, un metodo per discutere del conflitto arabo-palestinese. Abbiamo anche un ostello della gioventù e strutture per ospitare chi vuole venire a passare un po' di tempo da noi: ciò ci serve per sostenere la comunità e per fare le nostre attività. C'è anche un edificio per la preghiera, nell'angolo del silenzio, per i credenti di tutte le religioni.
Le celebrazioni delle rispettive feste, sia religiose e collettive che individuali, avvengono nella scuola o all'aperto. Gli ebrei sono invitati a feste musulmane e viceversa. Ogni anno eleggiamo il segretario della comunità."
Domanda dell'avvocato cattolico: "Con quali metodi, con quali presupposti pedagogici portate avanti il lavoro formativo?"
Israeliana: "Abbiamo esperti esterni e interni. Nella scuola della pace si lavora in piccoli gruppi, si dice quel che si vuole, nel rispetto di ciò che pensano gli altri. Tutti i gruppi sono misti, di ebrei e palestinesi. Ciascun gruppo ha due animatori: uno è ebreo, l'altro palestinese. Rigettiamo la tentazione di valorizzare solo gli aspetti unificanti: per noi è importante fare emergere i conflitti. Cerchiamo, anche attraverso la conoscenza delle dinamiche di gruppo, di capire se chi sta parlando ha alle spalle un gruppo forte che lo sostiene: questo succede spesso agli ebrei e bisogna riequilibrare i rapporti."
Mie domande: "Avete rapporti con i palestinesi dei Territori occupati o vorreste averne? 12.000 ragazzi, fino al '91, sono passati di qui. Avete successivamente seguito i ragazzi che hanno vissuto quest'esperienza? Come hanno retto, una volta usciti dalla comunità?"
Israeliana: "Da Oslo in poi offriamo dei seminari anche ai palestinesi dei Territori. I coloni israeliani invece non vengono. Solo da due anni cerchiamo di creare occasioni di incontro con i palestinesi dei Territori, sono difficili, ma ce ne sono stati.
Sulla verifica dell'effetto di questi seminari non abbiamo fatto un monitoraggio preciso. C'è stata soltanto una ricerca sul periodo '85-'89. Le persone che partecipano, però, scrivono un testo sull'esperienza e poi sono invitate dopo un paio di settimane dalla fine dei seminari a una riunione di verifica. La principale risposta che abbiamo avuto è questa: i seminari hanno un'influenza positiva e duratura se non si esauriscono in pochi giorni, se vengono dilazionati nel tempo. Non abbiamo fatto ricerche sugli effetti della scuola, ci sono anche dei ragazzi che non la terminano qui. Ma empiricamente ci accorgiamo dei cambiamenti che avvengono nei ragazzi. Riserviamo molta attenzione non solo agli aspetti culturali, ma anche a quelli individuali."
A.: "Le famiglie che vivono qui di che ceto sociale sono? Ci sono stati in questa comunità matrimoni misti?"
Israeliana: " Le famiglie che vivono qui sono prevalentemente del ceto professionistico. Ci sono qui quattro coppie miste. Solo una coppia ebraico-palestinese si è formata qui. I matrimoni misti sono indubbiamente difficili, hanno bisogno di un surplus di tolleranza. Più della metà delle persone che vivono qui svolgono attivitè professionali all'esterno."
Domanda della cattolica, dirigente scout: "Ma come mai ha nominato solo gli ebrei e i musulmani e non anche i cristiani? Questi ultimi che spazio hanno nella vostra comunità?"
Israeliana: "Il contrasto principale è qui fra ebrei e arabi. Ai seminari della scuola per la pace partecipano musulmani, cristiani, drusi, ebrei. Noi facciamo in modo che le questioni religiose non vengano impugnate come armi."
Domanda di un italiano: "Cosa è giuridicamente questa comunità? Con quali fondi si mantiene?"
Israeliana: "Questa è una fondazione. La terra è in comune. I membri pagano tasse alla comunità e anche per l'istruzione dei figli. Un'altra fonte di reddito è il turismo. Vorremmo espanderci, ma ci mancano i soldi. Pensiamo di consentire che vengano altri e si costruiscano da soli la casa. Se poi se ne andranno, riceveranno indietro il prezzo della casa.
Naturalmente abbiamo rapporti più frequenti con Israele, perché siamo nello stato d'Israele. Abbiamo rapporti con il Ministero della pubblica istruzione, che ci ha un po' sovvenzionati e anche con il Ministero del turismo. Abbiamo conosciuto Arafat, con cui però non ci sono solidi legami. Abbiamo però rapporti con personalità palestinesi, che avranno un ruolo nel futuro Governo palestinese.
Gli integralisti delle diverse religioni non ci hanno in simpatia. Ci considerano meglio le comunità religiose un po' marginali, per esempio gli ebrei riformati."
Domanda di un'italiana: "Come si può pensare alla pace senza porsi il problema dell'eguaglianza uomo-donna?"
Israeliana: "Certo, la pace non è disgiunta dalla giustizia."

Andiamo in fretta a visitare la comunità, l'angolo del silenzio, in cui c'è un edificio semisferico con finestre, una cupola posata a terra: il pavimento è ricoperto da tappeti e stuoie. Nessun oggetto di culto. Chi vuole, può andare lì dentro a pregare il suo Dio: purché lo faccia dentro si sé, senza parlare.
A. ci fa fretta, ci fa fretta.

Sul pullman si discute un po' di questa comunità.

A.: "Non hanno elaborato poi molto. Certo, la comunità è bellissima. Ma non hanno prodotto alcun materiale, salvo l'opuscolo propagandistico che non dice molto."
Ragazza cattolica, dirigente scout: "Non è codificabile un'esperienza del genere, è legata alla prassi. Questo è un posto come Lourdes. Prima di andare a Lourdes avevo pregiudizi. Poi, quando ci sono andata, sono caduti. Non cerco di spiegarne il perché. Bisogna andarci. Anche quest'esperienza dovrebbe essere vissuta dall'interno. È necessario sospendere il giudizio."
Io: " Mi pare che alcune cose siano interessanti e ne parla anche l'opuscolo. Innanzi tutto che i cristiani, pur avendo fondato la comunità, si siano messi da parte in quanto cristiani. Non è facile che avvenga. In secondo luogo, il fatto che fondino il rapporto formativo sull'emergere del conflitto. Noi, spesso, nelle nostre scuole, nei rapporti intergenerazionali, abbiamo paura del conflitto. Imparare a differenziarsi, a litigare senza scannarsi è importante."
Giovane maestra di asilo italiana: "L'Associazione per la pace ha fatto una raccolta di soldi a Torino per Nevé Shalom. Non dovrebbero però fare corsi in Italia partendo dalla loro esperienza: è troppo specifica..."
Dirigente scout: "Non sono d'accordo con te...."

16 AGOSTO

Andiamo alle 8,30 all'Orient House di Gerusalemme per incontrare Feisal Husseini, che però non c'è.

A., per strada: "Il sindaco di Gerusalemme si oppone all'apertura di questa sede governativa dell'OLP, perché non vuole che sia lasciata una parte di Gerusalemme ai palestinesi. Susanna Agnelli non è voluta venire in questa sede del Governo palestinese."

Di fronte all'Orient House c'è un sit-in permanente di ebrei integralisti e di destra. Ci riceve un signore palestinese.
Ci sediamo e lui parla.

Sign.pal.: "Sono A.A., sono professore di scienze politiche. Avevo (?) un piccolo istituto, l'accademia palestinese per lo studio delle scienze sociali. Lavoriamo in stretta collaborazione con l'Orient House. Vi do il benvenuto.
Per semplificare la storia della nostra lotta di indipendenza, la dividerò in tre capitoli.
Fino al '48: abbiamo combattuto nella lotta per l'indipendenza dei paesi arabi. I nostri fratelli (Siria, Giordania ecc.) ci sono riusciti. Durante il mandato britannico, abbiamo combattuto per l'indipendenza, ma gli inglesi hanno favorito il movimento sionista. Una prova di questo comportamento della Gran Bretagna è l'istituzione dello stato di Israele in Palestina. Il movimento sionista, per essere riconosciuto dall'ONU, ha dovuto accettare i due stati voluti dall'ONU. La disposizione dell'ONU sui due stati non ha mai trovato attuazione.
Dal '48 al '67: in questo periodo ci siamo sentiti sempre più parte del mondo arabo. Abbiamo fatto un accordo con la Giordania, temporaneo. Gaza era sotto il controllo egiziano. I paesi arabi hanno fatto molti tentativi per aiutare la nostra causa. Sono intervenuti guerriglieri dall'Egitto, si è costituito un esercito palestinese, in Siria abbiamo avuto molti incontri sui problemi dei palestinesi. Dal momento in cui il mondo arabo ha preso ad occuparsi dei palestinesi, è stato costretto a confrontarsi con gli israeliani. Con le guerre del '56 e del '67 gli israeliani hanno preso altri territori nostri. Qualcuno avrebbe potuto dire: 'La storia è finita con la vittoria degli israeliani'. Ma la Palestina è sempre lì. Noi siamo 2.000.000 di persone su questa terra, 3.000.000 nella diaspora. Occorre un movimento di resistenza riconosciuto nel mondo. Noi resistiamo, anche se abbiamo subito fra il '67 e il '70 lo choc dell'occupazione israeliana. Vengono chiuse le nostre case, chiuse le università. L'OLP ha iniziato a formarsi all'interno della Giordania. Sono poi nati contrasti fra il regime giordano e l'OLP. I nostri leaders sono stati deportati in Libano. Nella Palestina occupata abbiamo cambiato atteggiamento. Prima con gli occupanti israeliani cercavamo di resistere e di sopportare: aspettavamo un aiuto dall'esterno. Intanto vedevamo le nostre case distrutte, le persone deportate, l'eliminazione dei nostri leaders, le nostre terre confiscate, i nostri uomini e donne imprigionati, la mancanza di democrazia, l'ebraizzazione del territorio. Abbiamo reagito a questo stato di cose aprendo ospedali, università. Nel Libano si è formato un governo dell'OLP. Poi c'è stata l'occupazione israeliana del Libano. Come emerge da documenti del tempo, Sharon ed Eytan hanno ingannato il loro stesso popolo ed hanno sopraffatto il nostro governo in Libano. I nostri leaders sono stati deportati a Tunisi.
Poi si è entrati in una nuova fase. Nel novembre 1987 c'è stata la conferenza del mondo arabo ad Amman e non si è fatta menzione del problema palestinese. Intanto l'Egitto tornava con il mondo arabo dopo Camp David. Era cambiato lo scenario internazionale. Reagan e Gorbaciov hanno parlato di tutto, salvo che dei palestinesi. Qui non esistevano più leaders. Il 65% della popolazione di Gaza ed il 55% di quella della Cisgiordania ha meno di 25 anni: sono generazioni senza futuro. Non hanno passaporti, possibilità di viaggiare, istruzione. Questa generazione ha iniziato un nuovo capitolo: non ha nessuna paura e un grande orgoglio nazionale. Così è scoppiata l'Intifada, che ha portato un cambiamento nella condizione di paralisi. Lanci di pietre, negozi chiusi, bandiere palestinesi. Abbiamo portato la paura nei cuori degli israeliani. Il loro apparato militare non ha potuto avere la meglio sulle pietre. Nel primo anno dell'Intifada, abbiamo palestinizzato la nostra società, cambiando il curriculum scolastico, politicizzando l'educazione. Nel primo anno le donne palestinesi hanno assunto un ruolo fondamentale. I giovani erano fuggiaschi sulle colline, le donne facevano loro da supporto. I giovani sono diventati leaders del movimento palestinese. Si è ripreso il piano del '48: due stati in una terra. Nel terzo anno dell'Intifada abbiamo iniziato il dialogo con Israele. Abbiamo cominciato ad andare dovunque in Israele (?), per affermare i nostri diritti. Scriviamo sui giornali d'Israele (?). Alcuni israeliani ci hanno ascoltato, altri non vogliono neppur vederci. Abbiamo spostato il discorso a livello internazionale. È così cominciata la conferenza fra israeliani e palestinesi. Nel quarto anno questo dialogo si è arrestato. Noi non abbiamo chiesto lo scontro, ma gli israeliani sì. L'inizio di questo scontro è avvenuto il 20 maggio del '90, quando sono stati uccisi 7 palestinesi vicino a Tel Aviv. Gaza stava per entrare in sommossa. Abbiamo iniziato uno sciopero della fame che ha coinvolto 40 nostri leaders: volevamo l'individuazione e la punizione degli assassini. Nel tredicesimo giorno una parte dell'OLP ha attaccato le coste israeliane. L'America ha posto il veto all'inchiesta sugli assassini dei 7 palestinesi. Poi Shamir ha dato l'ordine di uccidere i palestinesi alla moschea di Al Aqsa: sono stati 13 i caduti. Abbiamo comunque continuato il dialogo con Israele. Il 2 agosto del '91 dovevamo giungere al reciproco riconoscimento a alla fine della loro occupazione dei Territori. Il 2 agosto c'è stato un nuovo scontro: l'Iraq ha invaso il Kwait e ciò ha fatto fallire il nostro incontro. Noi saremmo andati a quel meeting a dire che eravamo parte del mondo arabo, che invece si era diviso. Anche noi, al nostro interno, eravamo divisi. Gli israeliani, e in particolare il Ministro dell'ambiente, sono tornati indietro, ci hanno rifiutati. Così il canale appena aperto si è congelato. Da Washington è stato aperto un nuovo scenario con il discorso di Bush: ci si riconosceva il diritto ad una nostra terra in cambio della pace e dell'accettazione del negoziato. Si è così passati dall'Intifada al negoziato. Noi abbiamo posto la condizione di essere liberi di costruire la società palestinese. Dapprima le condizioni per noi sono state umilianti: non si accettava come interlocutore l'OLP, non si accettava una nostra delegazione alle trattative, non potevamo usare la bandiera palestinese, dovevamo andare sotto l'ombrello giordano. Nei 22 mesi di negoziato siamo riusciti a diventare una delegazione indipendente. Feisal, cittadino di Gerusalemme, ora fa parte della nostra delegazione. Abbiamo anche la nostra bandiera. Abbiamo concordato due documenti sull'autorità palestinese ad interim.
I nostri leaders a Tunisi avevano una grande paura che qui noi governassimo mentre quelli fuori stessero a guardare (?) e hanno aperto 5 tavoli di trattative, fra cui Oslo. Ad Oslo ci è stata riconosciuta l'autonomia, e il periodo di autonomia è iniziato con il ritorno di Arafat a Gaza: è il secondo anno che è qui. Ora, però, gli israeliani continuano a confiscare la terra, a fare insediamenti e si limitano a dire parole. Vogliono utilizzarci come ponte verso la Giordania e la Siria. Senza di noi, la Giordania e la Siria non farebbero accordi con Israele. Ci stanno dando l'autorità sulle città.
Ci sono due schieramenti politici in Israele: i professori (Peres ecc.) che dicono che vorrebbero l'autonomia e la separazione dello Stato palestinese, ma non possono cambiare la situazione. Il secondo gruppo è costituito dalle gerarchie militari, che non vogliono rinunciare al controllo su di noi. Non vogliono perciò lasciare aperta questa casa (l'Orient House). Non c'è etica, non c'è rispetto. Questa è la nuova strategia di Israele contro le nostre istituzioni. Se i soldati non si ritirano, non possiamo tenere le elezioni. Gli israeliani non vogliono che noi andiamo alle elezioni prima di loro.
Durante l'Intifada ci siamo resi conto che la nostra è una società diversa da quella israeliana. Passando dalla Palestina alla zona israeliana, c'è un'ora di differenza. Gli israeliani temono questa diversità. Quando si accorgevano che gli orologi erano sincronizzati sull'ora della Palestina, li prendevano e li rompevano. Noi non abbiamo paura. Centinaia di persone hanno perso la vita per Gerusalemme. Sono gli israeliani ad avere paura di noi. Nella West Bank ci sono 2.000.000 di palestinesi e 134.000 coloni israeliani. Perché dovremmo temerli? Noi abbiamo la democrazia. Io, per esempio, parlo di Arafat come voglio e questa è democrazia. Nel resto del mondo arabo, invece, non c'è democrazia e gli israeliani hanno paura di noi."
Domanda: "Da chi vi aspettate aiuti per risanare i campi profughi e fare tutto quello che serve?"
Sign.pal.: "Se noi abbiamo accettato i negoziati internazionali, era perché volevamo che ci fosse un terzo elemento, e in specifico l'Unione Europea. Vogliamo che si stabiliscano relazioni fra vari stati e i palestinesi. Anche per mezzo di gemellaggi: ad esempio, Nablus e Madrid si sono gemellate e intendono sviluppare insieme il settore della formazione."
Domanda: "Qual è la vostra posizione sugli USA?"
Sig.paB.: "Negli USA ci sono quattro elementi da valutare: la Casa Bianca, il Congresso, i mass-media e le istituzioni.
Clinton è debole ed è diretto dal Dipartimento di Stato in cui ci sono quattro rabbini.
Il Congresso degli USA è ancora più ebraico della Knesset.
I mezzi di informazione usano un linguaggio funzionale soprattutto ai Servizi segreti (?).
Il mondo delle istituzioni presta attenzione ad altri paesi, non a noi.
Perciò è giusto dire: 'Dimenticate Washington!'."

Dopo l'incontro all'Orient House, la maggior parte del gruppo va a Ramallah, all'università di Bir Zeit e al centro S. K., una struttura per donne, con scuola di taglio, di ricamo ecc. Io ed Elisabetta decidiamo di restare a Gerusalemme e per tutta la giornata andiamo in giro per la città.

Quando rincontro le persone che sono andate a Ramallah, chiedo notizie. Qualcuno mi racconta, come poi altri confermano, che alla scuola delle donne la direttrice ha raccontato il seguente episodio: durante l'Intifada due bambini, uno israeliano, l'altro palestinese, avevano la propria bandierina. L'israeliano l'ha piantata (non so dove), il palestinese ha portato la propria per piantarla. Un soldato israeliano ha sparato al bambino palestinese e l'ha ucciso. La direttrice gli ha chiesto perché l'ha fatto. Il soldato si è messo a piangere e ha detto che è stato costretto ad obbedire ad ordini superiori. Mi si riferisce anche che la direttrice ha anche tenuto un discorso, di cui non ho capito le articolazioni, sulla superiorità della cultura islamica rispetto a quella ebraica. Non so comunque se ho inteso bene: mi pare un confronto così assurdo, portato in questi termini!
Sull'università mi hanno dato informazioni su cui non ho preso appunti e che perciò ho dimenticato.

A., di ritorno da Ramallah, è partita per l'Italia senza che io e la mia amica la vedessimo.

17 AGOSTO

Questa giornata è dedicata a visite "turistiche". Andiamo a Gerico, Massada, Qmran, al Mar Morto...Non viene B. La sera prima A. ha detto che chi aveva la pressione bassa avrebbe fatto bene a non venire alla "gita": avrebbe rischiato un malore. Vengono anche persone con la pressione bassa (me compresa), ma nessuno ha disturbi.

18 AGOSTO

Alla mattina vado con l'avvocato cattolico, sua moglie e sua figlia al Museo israelitico di Gerusalemme. Riusciamo a vedere non molto: i rotoli di Qmran, la sezione degli oggetti di culto dell'ebraismo. Ho visto diverse volte questo tipo di oggetti: in sinagoghe, alla mostra di Ferrara tenutasi qualche anno fa. La figlia dell'avvocato, osservando tutti quegli oggetti, fa: "Come li indottrinano bene!". È un po' strano sentire dire queste cose da una cattolica praticante.

All'una partiamo per l'areoporto. C'è con noi B.. Mi trovo nel gruppo con cui ho avuto il rapporto più freddo. Le persone con cui sono riuscita a comunicare partiranno quasi tutte in altri scaglioni. Vedo che la giovane ebrea di Milano si è appuntata sullo zainetto la spilla della bandierina palestinese e la croce di Davide che le avevano imposto di togliersi. Sono contenta e glielo dico. È l'unica che mostri la spilletta della bandiera palestinese, tutti gli altri, andando all'aeroporto, l'hanno nascosta.
All'areoporto la cosa che salta più agli occhi è un lunghissimo interrogatorio incrociato, che viene condotto alla presenza di tutti, di B. e di una giovane siciliana che si trovava in testa al gruppo. Non capisco a che serva tutto questo, soprattutto ora che si sta per uscire da Israele. Poi c'è il controllo delle valigie. A noi che non sappiamo l'inglese viene sottoposto un questionario standard: avete fatto voi la valigia? L'avete mai lasciata incustodita? ecc.. Aprono la mia valigia, ne esaminano sommariamente il contenuto. Sento che a qualcuno l'hanno disfatta.
Altre battute degli italiani del gruppo, che ormai non riporto più. Quando, a Roma, con la mia amica siamo in taxi sulla via del ritorno, mi sento più libera, ma anche confusa e arrabbiata.

Bergamo, 1 settembre 1995


2 commenti:

  1. perchè non descrivi mai le ragione d'ISTRAELE?

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  2. Avevo risposto a "la mia pittura", ma ora mi accorgo che la mia scarsa esperienza come blogger ha fatto sparire quanto avevo scritto.
    Quando scrissi questo diario, ci fu chi lo considerò troppo sbilanciato pro-Israele. Tu ritieni invece che io non tenga conto delle ragioni di Israele.
    Il viaggio - lo ribadisco - fu condotto in modo tale che non fu possibile parlare con esponenti di allora del Partito Laburista di Israele. La maggioranza dei nostri interlocutori, palestinesi, erano quanto meno indulgenti con Hamas. Avemmo contatti ridotti con persone vicine all'allora "governo" palestinese: però incontrammo anche sindaci - per esempio quello di Nablus - che si preoccupavano di preparare la pace. E la credevano possibile.
    Personalmente penso che dovremmo smetterla noi, europei, di dare addosso all'una o all'altra parte. Primo, perché almeno dovremmo riconoscere i disastri che ha combinato l'Europa e che in gran parte hanno portato a questa situazione nella regione: difficile mettersi a pontificare a due popoli che hanno entrambi ragione, mentre molti dei nostri padri o nonni hanno avuto tutti i torti possibili.
    In secondo luogo, perché parlare di "Israeliani" e di "Palestinesi" come se si trattasse di due blocchi compatti è disumano e assurdo. Ci sono persone di pace e persone di guerra tra gli uni e tra gli altri. Dalla morte di Rabin in poi si è assistito alla saldatura tremenda di due fondamentalismi: di tipo religioso, identitario, politico. Un compromesso fra i due popoli è quello che ogni persona che non voglia male alla propria specie dovrebbe augurarsi. Non so se Obama e i partiti della pace ce la faranno.

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