"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

sabato 11 settembre 2010

ARABISTI E ARABESCHI – INTERMEZZO – Sarebbe bello se...


Sarebbe bello se un arabista bravissimo pubblicasse un manuale di metrica dell'antica poesia araba. Ho cercato e non ho trovato nulla, né in Italia né in Spagna: nulla che si possa comprare e usare.

C'era un libretto di Paolo Minganti, Appunti di metrica araba, Istituto per l'Oriente, Roma, 1972: l'ho ordinato due volte a uno dei grandi negozi on-line italiani che lo ha tuttora in catalogo, il libretto però non è arrivato e io ho perso i soldi (pochi, in verità).

Mi è stato gentilmente regalata la riproduzione di un libro in castigliano pubblicato a Tetuán nel 1919, ed. La Papelera Africana: Tratado de la Poesía Árabe, por Emilio Alvarez Sanz y Tubau. Per me e, suppongo, per molti, pure tra quelli che studiano e si laureano in Filología Árabe in un'università spagnola, è troppo difficile.

In italiano sono uscite negli ultimi anni due antologie di poesia araba molto ricche: una è stata edita nella collezione La Biblioteca di Repubblica, Antologia della poesia araba, diretta da Maria Corrao, Roma 2004; l'altra è Poesia dell'Islam, curata da Gianroberto Scarcia, Sellerio, Palermo 2004. Sono due libri che ho già citato nel mio zoppicante percorso.

Mie impressioni di persona che conosce appena un poco l'arabo classico: si tratta quindi, appunto, di impressioni, non di valutazioni critiche sicure e “oggettive”. In queste raccolte si tenta di recuperare ritmo e suoni, soprattutto rime, con la trasposizione in una metrica, talvolta più “regolare”, talaltra più libera, vicina a quella del patrimonio poetico italiano di diverse epoche.(per esempio, rime baciate, alternate, endecasillabi con rime varie, ecc.). Si ha però la sensazione, nel leggere queste traduzioni, che le antiche poesie arabe perdano d'importanza e di respiro, che possano quasi essere scambiate per produzioni minori e un poco “fuori centro” del patrimonio poetico italiano. Come se di smarrisse quell'enfasi, quell'ampiezza, che si percepisce sia leggendole - pur senza conoscere la metrica antica araba e con la guida di una buona traduzione - in lingua originaria, sia leggendo buone traduzioni in prosa in italiano o in castigliano, sia ascoltandole recitare in arabo da una persona che abbia frequentato anche solo una scuola coranica.

È vero che conoscere le “regole” metriche delle lingue classiche – latino e greco – non basta a farci “sentire” il suono e il ritmo dei versi antichi, come dovevano essere pronunciati quando furono scritti. Però leggere Virgilio o Catullo o Omero... senza avere alcuna idea della metrica quantitativa classica fa perdere molto del senso dei testi di questi autori.

E forse questo è vero anche per l'antica poesia araba.

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