"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

venerdì 15 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 20 - AL-ANDALUS 1 – Il contesto, prima parte - Il mitico sbarco degli arabi nella Penisola Iberica.

Sulla poesia di Al-Andalus, la Spagna musulmana, mi soffermerò più che su altri segmenti della storia della poesia araba del Medioevo, e cercherò di descrivere in maniera relativamente più particolareggiata il contesto. Per due ragioni: in primo luogo, perché dispongo di un maggior numero di poesie tradotte, e la cui traduzione – mi riferisco soprattutto a quella di Friedrich von Schack, di cui ho già parlato, e su cui ritornerò – ha più di un secolo d'età ed è quindi del tutto fuori dai diritti d'autore; in secondo luogo, perché vivo in una parte di Spagna che si protende verso il Nord-Africa, e la riconquista cattolica, il dominio di re cattolici, lo stesso franchismo che, come sappiamo, si è appoggiato ed è stato aiutato dalle gerarchie cattoliche, non hanno cancellato il legame con il passato arabo, berbero e musulmano, che si sente aleggiare ancora nell'aria, anche in aspetti della vita quotidiana.

Molti paesi della zona in cui vivo aggiungono al nome la specificazione “de la Frontera”: in ricordo della frontiera che si spostava continuamente durante le guerre di riconquista cristiana dei territori arabi. Nella piazzetta principale di  Vejer de la Frontera, un paese bianchissimo e meravigliosamente conservato, che si trova in collina, a meno di dieci chilometri da Conil, si affaccia El Jardín del Califa, un edificio di grande fascino, che ha avuto vari usi nel tempo. Ora al suo interno ci sono un albergo e un ristorante gestiti da spagnoli (anche se i cibi che propongono sono del Marocco e del Libano). Sono completamente arabi, dei secoli X e XI, i depositi di acqua scavati nella roccia, che oggi costituiscono sale del ristorante con belle volte di pietra. Dopo la riconquista cristiana (1264) l’edificio fu più volte modificato e ampliato.
Fu Tāriq ibn Ziyād, un condottiero musulmano di origine berbera, a guidare i suoi – arabi provenienti da oriente e berberi del Maghreb - allo sbarco sulle coste della penisola iberica, di cui erano padroni a quel tempo i visigoti: Gebel al Tariq -Gibilterra - è appunto “montagna di Tāriq”, in realtà uno spaventoso roccione alto 500 metri, confitto chissà da chi in quella terra piatta, prossima all’oceano Atlantico. Detto tra parentesi, questa zona, in mano agli inglesi, non ha più nulla di andaluso: pare, se ci si va, di essere in un non-luogo.
Su Tāriq lo scrittore siriano Zakariyya Tamer scrisse negli anni ’60 una storia angosciosamente onirica che ha al centro un cortocircuito temporale. Lo scrittore raccoglie una leggenda: Tāriq, una volta che furono sbarcati, avrebbe dato ai suoi l’ordine di bruciare le navi, in modo che a nessuno venisse la tentazione, di fronte alle difficoltà della conquista, di ritornarsene da dove era venuto. Ma con un salto temporale Tamer trasferisce il condottiero in una sorta di stato di polizia del ’900.
Tāriq, che ha preso una decisione contraria al senso comune, nonostante abbia portato i suoi alla conquista di una terra considerata paradisiaca dai musulmani del tempo e delle epoche successive, viene imprigionato da ottusi poliziotti e burocrati e condannato a morte per aver danneggiato beni dello stato. È, il racconto di Tamer, un amaro attacco alla durezza di cuore e alla stupidità del potere dispotico dei suoi tempi. Chi voglia leggere questa storia – Colui che bruciò le navi - e altre dello scrittore siriano, può andare al sito. C’è da precisare che le cose per Tāriq non andarono davvero così. Infatti continuò la conquista, fino a Toledo, e restò generale al servizio di un Visir (ministro, rappresentante del sovrano) arabo. Tamer è uno di quegli intellettuali arabi che, dopo la decolonizzazione, avevano sperato in un’evoluzione democratica, laica, e in una ridistribuzione di ricchezza e potere nei loro paesi. Quest’evoluzione non ci fu, certo per responsabilità dei gruppi dirigenti locali, ma anche dell’Occidente cristiano e laico, e nella situazione di frustrazione che seguì alla delusione di tanti fece il nido il fondamentalismo violento che abbiamo visto all’opera in questi decenni.
A tal proposito, non posso fare a meno di chiudere questa lunga digressione rinnovando la mia ammirazione per il francese Gilles Kepel, uno dei maggiori studiosi occidentali dei paesi islamici e dei loro rapporti con noi non musulmani. L'ho menzionato in un mio precedente post. I suoi libri, disponibili in traduzione italiana, sono densi e appassionanti, se si può dire così di una scrittura saggistica che non schiaccia il mondo a martellate per riuscire a spiegarlo alle anime semplici.

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