Ho letto giorni fa con stupito interesse e timore il documento-memoria di Fabrizio Barca. Desideravo da allora scrivere come quella riflessione ha impattato con la mia
esperienza: politica di un tempo, umana di sempre. Lo faccio ora.
Ha provocato in me stupore, perché il ragionamento che
conduce Barca, pur connettendosi a vicende reali e a un dibattito in corso,
sfonda da tutte le parti la fitta cappa che da trent'anni vanno intrecciando
intorno a noi luoghi comuni assai , resistenti, che ci hanno resi prigionieri:
il rigido discorso generazionale o anti-generazionale, il ricondurre tutte le
disgrazie che abbiamo passato e stiamo passando a una questione di “tradimento”
e non anche e soprattutto al profondo sonno del pensiero e all’uccisione dell’esperienza. Inoltre, anzi soprattutto, pur parlando di
"partito" e di partiti in quasi tutto il discorso, non dà
l'impressione di un ennesimo tentativo di risolvere i problemi con proposte meramente
organizzative, vizio che ha cominciato a farsi strada, per quel che mi ricordo,
a partire dalla fine degli anni settanta e non ha più abbandonato la sinistra.