"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

sabato 9 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 18 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 6 – La tracotanza di un cavaliere quasi di ventura


Poeta, eretico, cavaliere

Al Mutanabbi (Kufa 915 –965 in cammino per Bagdad) fu personaggio leggendario e misterioso. Partecipò a un'insurrezione dei càrmati, una specie di “gnosticismo islamico”, spiega Sánchez Ratia. Il tentativo fu represso e al Mutanabbi restò per un bel po' di tempo ai margini della società “che contava”: fece per alcuni anni la vita del beduino o cavaliere errante e compose, per sfamarsi, panegirici e lodi in versi per piccoli burocrati di periferia. 
L'incontro con il principe di Aleppo gli concesse alcuni anni di relativa libertà, in cui scrisse le sue opere più belle. L'invidia dei cortigiani lo mise in cattiva luce con l'emiro e fu costretto a fuggire, prima a Damasco e poi in Egitto. Qui si mise a disposizione del sultano locale (l'Egitto si era staccato dal califfato abbaside), Kafur, per cui compose panegirici e versi di lode, con la speranza di avere in dono un'isola: proprio come sarebbe successo secoli dopo al Sancio, scudiero di don Chisciotte! Quando si accorse che le sue speranze erano infondate, congiurò con nemici del sultano, e scrisse pure un paio di satire velenosissime contro di lui, piene di scherno e di disprezzo: perché Kafur era di pelle nera. Sappiamo anche, ma non solo, dalle prime pagine delle Mille e una notte, che gli arabi avevano grande disprezzo nei confronti dei neri e nei secoli ne schiavizzarono molti e li vendettero pure agli europei. Sono cose che fanno nascere dei dubbi su quanto afferma Alberto Burgio , e cioè che il razzismo è frutto del capitalismo!

Forse fuggendo dalla vendetta, al Mutanabbi andò a Bagdad e poi a Shiraz, in Persia. Mentre tornava a Bagdad con suo figlio, furono assaliti e uccisi entrambi. I suoi resti non ebbero sepoltura.
“Tra gli arabi è opinione unanime che al Mutanabbi è il più grande poeta che ha prodotto la loro cultura...” (J.S.R., op. cit., pag 132): proprio per l'individualismo acceso, lo spirito d'indipendenza, l'orgoglio, il disprezzo verso i sedentari...

Nei versi che riporto, al Mutannabi si manifesta cavaliere sprezzante del pericolo, della vita, persino del premio o la condanna ultraterreni. Sicuramente l'immagine che ne abbiamo è quella di un uomo bello, un poco spaccone: un vero cavaliere di ventura!

Vanto e sogno di gloria

Mio letto è la sella del destriero, la mia tunica è contesta di ferro.
Ben connessa, fluente, scintillante: le mani di Davide ne han formato il tessuto.
Dove andrebbe il mio pregio, quando mi contentassi della sorte d'una misera vita?
Mi sono dibattuto nella strettezza, a lungo mi sono affannato a procacciarmi il sostentamento, poco perciò ho riposato.
Sono perpetuamente in viaggio: infelice è la mia stella, ma felice la mia brama.
Vivi nobilmente, o muori generoso, tra i colpi delle lance e lo sventolio degli stendardi!
Le punte delle lance sono quelle che meglio estinguono l'ira, che meglio sfogano il rancore covante in petto a chi odia.
Non vivere come hai vissuto finora senza fama: quando morissi, morresti non rimpianto.
Cerca l'onore anche nella fiamma infernale, lascia la viltà, foss'anche nei giardini del Paradiso!
Cade ucciso il debole poltrone, che non è neppur buono a lacerare il velo del fanciullo,
e si salva talora il prode, che si slancia nel sangue fluente dai petti dei combattenti.
Non io mi onoro della mia gente, bensì essa di me; di me stesso mi glorio, non dei miei avi.
Eppure in essi è la gloria di ogni Arabo, il rifugio del colpevole, il soccorso del reietto.
Io sono il fratello della Generosità, il signore delle rime, il veleno dei nemici, l'ira degli invidiosi.
Mi trovo oggi tra una gente (che Dio la colpisca!) straniero come il Profeta Salih fra i Thamud (1).

(da F. Gabrieli e Virginia Vacca, Antologia della letteratura araba, Edizioni Accademia, Milano 1976; la nota che segue è quasi completamente degli autori dell'antologia).

(1)- Di questo personaggio parla il Corano. Il profeta Salih, mandato da Dio all'empio popolo di Thamùd, fu da esso inascoltato e vilipeso, onde Dio li sterminò. Così si sente l'altero Mutanabbi fra i suoi contemporanei.

Se vuoi leggere il precedente post della serie, clicca qui.

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