"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

martedì 21 settembre 2010

VECCHI E GIOVANI DI SPAGNA E D'ITALIA 1 – Quasi clerici vagantes dei nostri giorni



Un bel libro e qualche altra cosa


"Vecchi e giovani di Italia e Spagna": mi riprometto di ragionare su questo tema per qualche puntata. Dei vecchi faccio parte io, dei giovani parlano il bel libro di una giornalista di 31 anni, Claudia Cucchiarato, e una serie di servizi interessanti su storie di disoccupazione e di precarietà di giovani spagnoli, che hanno cominciato a essere pubblicate da El País a partire dalla scorsa domenica.
Questi i fili conduttori che seguirò con il mio ragionamento: due interpretazioni del mondo giovanile (sono incluse in questo mondo le persone fino a 35 anni, e fors'anche un poco oltre), che in parte, come vedremo, paiono e forse sono davvero in contraddizione. Una contraddizione avvincente.
Di tanto in tanto farò ricorso a qualche altro contributo interessante.
Solo alla fine, io, che appunto rientro nella categoria dei vecchi, lascerò che scendano dalla mia testa sul foglio elettronico alcuni pensieri che mi martellano da un bel po'.





Claudia Cucchiarato collabora con diverse testate italiane e spagnole; il suo libro-inchiesta Vivo altrove - Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi è stato pubblicato quest'anno dalla Bruno Mondadori e racconta le ragioni della mente e del cuore che hanno spinto negli ultimi dieci e più anni centinaia di migliaia di giovani a lasciare il nostro paese.
"L'Italia è la nazione europea che meno attrae i laureati stranieri [...] ... all'ultimo posto come capacità di attrazione nella zona Euro [...] l'unico paese a registrare un saldo passivo (4251 in meno nel 2008) tra studenti in uscita e studenti in entrata.
Sono cervelli in fuga, ma non solo. Sono i 'neo-migranti', gente che parte 'per dimenticare', per lasciarsi alle spalle un paese che sta stretto, che non piace. Gente che vorrebbe cambiare l'Italia, ma non sa come fare e non sa se potrà farlo in futuro. E quindi cambia paese, se ne va, alla ricerca di maggiori stimoli o di un'alternativa." (Claudia Cucchiarato, op. cit., pag. 2)
Si tratta di un movimento in parte diverso da quella di altre epoche, in cui masse di migranti poverissimi e spesso analfabeti erano costretti a cercar lavoro altrove. Ma anche per alcuni tratti simile, come spiega Claudia: "Alla base dell'emigrazione di allora, proprio come in quella di oggi, c'è l'idea di immobilità e di immutabilità del posto che si lascia [...].
Dalle interviste emerge l'immagine di un paese stanco, quasi immobile, mentre continua a generare persone che pensano velocemente e vogliono avere di più. Giovani inquieti, che non si accontentano di arrivare in ritardo, di prendere posto in una fila che non si muove mai. L'emigrazione è un tratto caratteristico della storia e del DNA del nostro paese [...] continuiamo a espellere migliaia di giovani, tutti gli anni, Un fenomeno che passa quasi inosservato nelle maglie strette della comunicazione politica o delle agende dei media, se non per la 'punta dell'iceberg', che altro non è che la già ampiamente trattata 'fuga dei cervelli'. Eppure, il fenomeno ha una connotazione chiara e caratteristiche talmente definite e costanti da consentire agli studiosi di parlare di una 'nuova generazione di migranti italiani all'estero'."
(pag.2)

Un altro giovane giornalista- economista-emigrato, Marco Simoni, a mio parere geniale (riconosco la sua grande intelligenza e originalità di pensiero, anche se su alcune questioni di politica generale non concordo con lui) ci dice da Londra che è
"molto datato il dibattito sui 'cervelli in fuga'." E aggiunge: "Queste partenze non sono né mezze tragedie, lutti bianchi, né facili fughe: si parte per cercare la normalità.". Per leggere il suo breve, ma intenso articolo in proposito, clicca qui. 

Ritorno al libro di Claudia e mi limito a trarre dalle sue pagine qualche dato e informazione sull'emigrazione dei giovani italiani a Barcellona. Lascio da parte altri paesi europei. E cerco di non rubare troppo: val la pena di leggerla tutta, quest'inchiesta, ricca non solo di numeri, ma anche di storie individuali interessanti e qualche volta struggenti, sempre piene di coraggio e di giusta, sana impazienza.
Racconta Claudia (perché nel suo libro il gusto del racconto ha decisamente il sopravvento, e fa vibrare di senso i pur numerosi dati): "... nel 2009 la comunità italiana è diventata la più numerosa della città, superando l'equadoregna, la pachistana, la marocchina e la francese" (pg.23).
E, aggiungo io, a chi conosce un po' la città, a chi conosce il suo Raval, il Barrio Gotico, i quartieri in cui si concentra l'immigrazione dal Marocco, dal Pachistan, da altre regioni del Medio e dell'Estremo Oriente, dall'America Latina, ciò risulta davvero sorprendente.
Il libro ci dice che alla fine del 2008 erano registrati come domiciliati in Spagna 174.912 italiani. Con quelli che non hanno in alcun modo "regolarizzato" la propria posizione, "
potrebbero superare i 200.000, più che nel Regno Unito, in Canada o in Venezuela." (pg. 26)

L'autrice attribuisce almeno parte di quest'immigrazione allo sviluppo anche culturale che la Spagna ha vissuto fino alle soglie dell'ultima crisi economica mondiale. Qualche esempio: "Sono state realizzate importanti riforme nel sistema universitario che hanno portato a un incremento del 9% dei ricercatori in soli cinque anni, tra il 1996 e il 2001 (nello stesso quinquennio in Italia i ricercatori sono diminuiti del 4%). C'è stato un significativo miglioramento delle politiche sociali e una valorizzazione urbanistica delle città più importanti, collegate da una buona rete di trasporti, come il treno ad alta velocità (AVE)." (pagg. 26-27).
Aggiungo io che nel 2006 (dispongo di questi dati, non di più recenti, ma non si sono certamente avuti profondi mutamenti negli ultimi tempi) l'età media dei professori universitari spagnoli era di 46 anni ; in Italia, press'a poco nello stesso periodo, l'età media dei docenti universitari era di più di 60 anni e l'8% aveva raggiunto i 70. Nella scuola, stessa situazione: l'età media degli insegnanti italiani già nel 2006 era vicina ai 50, mentre in Spagna nello stesso anno il 58,6% era al di sotto dei 44 (non ho trovato il dato dell'età media, ma non è difficile figurarselo).
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A Barcellona sono numerosissimi gli italiani. "Solo nella città, alla fine del 2009, risultano risiedere 38.711 persone di nazionalità italiana (alla fine del 2008 erano 35.059). [...] Ma, come detto in precedenza, l'iscrizione nelle liste del Comune è un passo che moltissimi italiani si risparmiano, potrebbero essere tranquillamente il doppio. [...] Basta guardare o ascoltare per strada, nei vagoni del metro o in fila al supermercato: italiani, studenti o turisti che siano, dappertutto. Anche se è spesso difficile capire se gli italiani sono effettivamente molti o se si fanno notare più degli altri per il modo di parlare, vestire o gesticolare, l'impressione che a Barcellona siano diventati una massa ubiqua è palpabile."(pg. 36).

Barcellona, spiega l'autrice (e ha davvero ragione), è una città bella, accogliente, curatissima; dotata di eccellenti trasporti pubblici. Aggiungo io, i taxi costano poco e sono sempre disponibili. I servizi sono in genere di alta qualità.
Gli italiani che arrivano e si fermano in questa città, lo fanno per queste ragioni, ma anche perché hanno trovato, negli anni, occasioni diverse di lavoro, che in patria non avrebbero avuto: lavori di alta qualificazione – nell'università, in ambito architettonico, medico - ma anche in occupazioni di tutti i livelli e di tutti i tipi.
Riporto ancora un passo del libro di Claudia: "Sono numerosi gli italiani internazionalmente riconosciuti nel loro lavoro, che risiedono, per convenienza o per scelta, a Barcellona. 'C'è una differenza abissale fra la mentalità accademica e professionale italiana e quella spagnola. Qui, come negli Usa, se un professionista vale, le strutture universitarie o, nel mio caso, le sanitarie, lo sostengono, lo stimolano a portare avanti i propri progetti, trova finanziamenti per realizzare ricerche ed esperimenti... In Italia, invece, si fa di tutto per frustrare le menti più ambiziose.' Lo sosteneva Paolo Macchiarini, il chirurgo che ha eseguito il primo trapianto di trachea, ed è diventato, alla fine del 2008, uno dei medici più famosi del mondo." (pagg. 37- 38).
L'attività più diffusa degli italiani che vivono a Barcellona è quella della ristorazione. Vi si dedicano, a volta con iniziative molto raffinate, anche laureati, anche ricercatori in fuga dalle università italiane, dalle stupide umiliazioni subite in istituzioni culturali del loro paese.

Lasciamo per l'ultima volta la parola a Claudia:
"Dal Nord, dal Sud, dal Centro e dalle isole: il sogno dei giovani italiani negli ultimi dieci anni è stato un appartamento e un lavoro, anche precario, nella soleggiata e colorata capitale catalana. E quando in tanti si trasferiscono, in tanti sono quelli che, dall'Italia, coltivano il sogno e arrivano per realizzarlo, sapendo di trovare in città già qualche conoscente, qualche amico, un parente, un fratello addirittura. Barcellona coccola, vizia, diverte." (pag. 39)

Non tutti, però, trovano la città così attrattiva; c'è chi arriva, si ferma un po', poi prosegue per Berlino, per Amsterdam, per Londra. O, naturalmente, giovani italiani che sono andati direttamente in altri paesi. E comunque la precarietà e anche una straordinaria capacità di a nuotarci dentro, e la mobilità, caratterizzano molte di queste vite.

Nelle prime pagine del libro, Claudia parla di un conflitto che nasce spesso fra i giovani italiani che sono restati e quelli che se ne sono andati. Mi interessa molto quest'argomento, io sono un'anziana italiana che se n'è andata, e avverto questo disagio che però in tarda età non si esprime con vivacità e in modo diretto, mi pare che covi sordo, inespresso, nei rapporti con molti di quelli che sono restati e a cui voglio bene. Chi è restato spesso ritiene che l'"esule" volontario sia un "coniglio" (v. a pag. 5) che se n'è andato in un luogo "più facile", che non sa affrontare, lottando giorno dopo giorno, la grande spaventosa ragnatela che è diventata buona parte della vita politica e sociale nel nostro paese. Molti di quelli che sono fuori, in realtà, non si sono davvero scordati del loro paese, anzi... Vorrebbero che la propria esperienza in Europa, a volte nel mondo, potesse valere, essere utilizzata, pesare anche nel proprio paese d'origine. Cercano la strada perché questo avvenga. Puoi a tal proposito visitare il sito di un movimento magmatico e interessante, naturalmente di sinistra, spesso critico pure con la "patria" di adozione, nato a Barcellona: Altraitalia

Mi chiedo se l'Europa esisterebbe senza questi nuovi semi-clerici vagantes: clerici, certo, nel senso di colti come erano i clerici medievali, curiosi, capaci di parlare una lingua universale (allora il latino, oggi l'inglese), ma anche altre lingue e disposti ad apprenderne altre ancora. Nel Medioevo venivano da diverse parti d'Europa nelle Università italiane. Ora dall'Italia se ne vanno in Europa, non necessariamente in Università, non necessariamente per fare master e dottorati. Però imparano com'è fatto questo vecchio continente che cerca una sua strada per non morire, com'è fatto il mondo e anche com'è fatto il loro paese d'origine. Certe volte si capisce meglio da fuori. Forse, se tutto non finirà in catastrofe, quelli che da giovani sono andati raminghi saranno molto utili all'Italia e all'Europa del futuro, speriamo di un futuro non troppo lontano.

E mentre una giovane giornalista ci offre questa immagine attrattiva, non certo priva di contraddizioni, di Barcellona e della Spagna, su El País ha inizio un'inchiesta sulla precarietà e sulle difficili condizioni di vita dei giovani in Spagna.

Ne parlerò la prossima volta.

Intanto consiglio la rilettura di un bellissimo libro di altri tempi sull'andare e sul restare: si tratta de Gli anni perduti del grande Vitaliano Brancati.

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