"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

giovedì 28 ottobre 2010

أعطني الناي - فيروز

INTERMEZZO – UN SALTO NEL XX SECOLO - Jalil Yibran

In attesa di riprendere il discorso sulla poesia di Al Andalus, propongo una lirica di Jalil Yibran (1883-1931), Portami il flauto e canta, interpretata dalla splendida cantante Fairuz.

Del poeta libanese cristiano Yibran (più spesso scritto nelle traduzioni italiane Gibran), quasi tutti hanno letto, soprattutto nell'adolescenza e nella giovinezza, qualche testo.
Chi non ricorda l'ispirata riflessione sui figli?

I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono.[...]

Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti

La puoi ritrovare cliccando su questo sito.

lunedì 18 ottobre 2010

COSE D'ITALIA, MENO DI SPAGNA – SCRIVERE E LEGGERE – L'esperienza e il giudizio di valore

Fa forse parte dell'involuzione sociale e culturale che abbiamo vissuto in questi anni nel nostro paese il fatto che non ci si interroghi più sul senso dello scrivere e del leggere. Ci sono “scrittori laureati”, quelli che vendono molto e/o partecipano a festival letterari, tanti li vanno ad ascoltare, senza porsi troppe domande sul senso del tutto. Gli adulti che non leggono - compresi molti insegnanti - dicono che i ragazzi devono leggere. E basta così. “Ya está”, direbbero in Spagna.


Sono convinta che l’arte e la letteratura siano diventate, con la nascita e la crescita della secolarizzazione e della miscredenza, il paradiso dei laici. Evidentemente è difficile per gli esseri umani fare a meno della fede in un’entità metafisica ed eterna. L’idea che l’arte (faccio riferimento a quella parte di “arte” che viene comunemente chiamata “letteratura”) sia qualcosa che, grazie ai suoi valori estetici, vola al di sopra del tempo e della storia, ha avuto origine forse un paio di secoli fa ed è stata poi ribadita in vari modi, fino ai nostri giorni. Ma questo paradiso, come tutti i paradisi, con il tempo si è degradato. E sono tanti quelli che cercano di entrarci. A degradarlo non è il fatto che siano in tanti a scrivere, ma che molti di questi lo facciano per la voglia di entrare in un brutto paradiso e che chi ha le chiavi di ampie zone di questo paradiso apra le porte soprattutto a persone come Bruno Vespa.

Un salto nel ragionamento che poi spero di giustificare.

VECCHI E GIOVANI D'ITALIA E DI SPAGNA 4 – Riflessioni


Passato e presente

E ora lascerò discendere sulla pagina elettronica riflessioni a ruota abbastanza libera sulle differenze che corrono fra la sensibilità politica mia e quella di persone dell'età dei miei figli e di ragazzi più giovani di loro, italiani e spagnoli, che ho conosciuto in questi anni. Anche se a volte il mio discorso potrà assumere toni di argomentazione razionale, oggettiva, vorrei che quanto segue fosse considerato non come pretesa di lettura politologica, ma come testimonianza di esperienze passate e di un cammino del mio pensiero che nasce dalla vita, dal ricordo e dall'osservazione. Dovrei accompagnare molte affermazioni che farò con un “mi pare”, “nel mio ricordo”, “secondo me”. Queste sottolineature della soggettività della mia lettura del passato e del presente le lascerò nella penna, o meglio nella tastiera, saranno fantasmi aleggianti sul mio discorso.

Comincio dal lavoro. Ai miei tempi il modo il cui si lavorava, gli obiettivi, i ritmi, il rapporto fra biologia umana e fatica quotidiana: tutto ciò era al centro della riflessione operaia, almeno di una parte importante e colta dei quadri di fabbrica, ma anche di molti tra coloro che lavoravano nella scuola, nella sanità, negli ospedali psichiatrici, nelle banche.
I miei primi anni di insegnamento li feci a Dalmine, un centro la cui vita da molti decenni ruotava intorno all'omonima grande fabbrica a partecipazione statale (riporto dati a memoria, potrei sbagliarmi: a quei tempi  c'erano circa 8000 lavoratori nella fabbrica, ora meno di 2000). Molti fra noi insegnanti ragionavamo insieme su come si dovesse insegnare, su quali contenuti, sul rapporto fra adulti e ragazzi … il cuore del nostro agire era il cuore del nostro lavoro. Molte sedute del consiglio di fabbrica furono dedicate alla scuola e fummo invitati a partecipare e lo facemmo dapprima con preoccupazione di non essere all'altezza, poi con la voglia di discutere. E così avvenne per molti degli stessi operai: il lavoro di fabbrica veniva scomposto, conosciuto, discusso nella sua qualità e nei suoi ritmi. E si incontravano con noi, forse all'inizio preoccupati anche loro, per costruire un progetto comune.
La parte del movimento a cui sentivo di partecipare aveva al centro della riflessione proprio il lavoro, la “politicità”, in senso lato, delle scelte di lavoro e professionali, la tendenziale estinzione o riduzione all'essenziale del politico di professione: non in nome di un'antipolitica simile a quella odierna, in gran parte responsabile dell'orribile populismo che ben conosciamo, purtroppo, ma del progressivo disvelamento della politicità dell'essere sociale, dell'operare nella società. Fu proprio questo il movimento de Il Manifesto e la storia del giornale omonimo, per una buona parte degli anni 70 (dopo le cose cambiarono); ebbe questo segno la grande conquista operaia delle Centocinquanta ore.

domenica 17 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 22 - AL-ANDALUS 3 – Il contesto, terza parte - Cantatrici raffinate, poeti e musici tra arabi e cristiani

Sotto il franchismo, gli studi di arabistica continuarono, ci furono grandi arabisti che in ambiti accademici e specialistici godevano di grande stima. D’altra parte il caudillo si era appoggiato a un generale del Marocco nella sollevazione contro la Repubblica spagnola, e il ricordo delle violenze commesse dalle truppe marocchine contro la popolazione civile, con il beneplacito della Chiesa, ha lasciato per lungo tempo tracce di diffidenza negli antifranchisti.

sabato 16 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 21 - AL-ANDALUS 2 – Il contesto, seconda parte – Fitna, riconquista cristiana, mutamenti continui dei confini, rapporti con l'Oriente e il Nord-Africa

Ritorno a Al-Andalus: molti pensano che questo fosse un paradiso della tolleranza religiosa e culturale, che poi le orde dei reconquistadores cristiani avrebbero distrutto. Di fatto, non sempre le minoranze religiose vissero come se fossero a casa propria, ma è pur vero che in molti periodi e situazioni godettero davvero di pace e relativa prosperità.
Invece furono accesi, sanguinosi e quasi senza sosta i conflitti all’interno del mondo musulmano. La
fitna, guerra civile che dà il titolo a uno dei bellissimi libri di Kepel, fu ricorrente nell’Islam: non diversamente, in fondo, da quanto era già avvenuto e sarebbe accaduto ancora negli stati cristiani, con le guerre per la questione dell'iconoclastia, con lotte per le investiture, le repressioni durissime e sanguinose di “eresie”, le guerre di religione, ecc.. Perciò anche l’immagine di un Islam tutto compatto e pronto a uccidere i non musulmani non è vera oggi e non era vera neppure al tempo di Ludovico Ariosto.
Per quasi cinquant'anni dopo lo sbarco degli arabi, la Spagna musulmana dipese dal califfato omayyade di Damasco.


venerdì 15 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 20 - AL-ANDALUS 1 – Il contesto, prima parte - Il mitico sbarco degli arabi nella Penisola Iberica.

Sulla poesia di Al-Andalus, la Spagna musulmana, mi soffermerò più che su altri segmenti della storia della poesia araba del Medioevo, e cercherò di descrivere in maniera relativamente più particolareggiata il contesto. Per due ragioni: in primo luogo, perché dispongo di un maggior numero di poesie tradotte, e la cui traduzione – mi riferisco soprattutto a quella di Friedrich von Schack, di cui ho già parlato, e su cui ritornerò – ha più di un secolo d'età ed è quindi del tutto fuori dai diritti d'autore; in secondo luogo, perché vivo in una parte di Spagna che si protende verso il Nord-Africa, e la riconquista cattolica, il dominio di re cattolici, lo stesso franchismo che, come sappiamo, si è appoggiato ed è stato aiutato dalle gerarchie cattoliche, non hanno cancellato il legame con il passato arabo, berbero e musulmano, che si sente aleggiare ancora nell'aria, anche in aspetti della vita quotidiana.

sabato 9 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 19 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 7 – Meditazione laica sulla morte


Abu-l-ala'al Ma'arri, poeta forse scettico in materia religiosa

Abu-l-ala'al Ma'arri (973-1057) nacque a Ma'arra an Numàn, in Siria. Benché, a quanto pare, a causa di una malattia abbia perso la vista nell'infanzia, fu iniziato alla conoscenza della tradizione poetica araba dal padre, che però morì quando il ragazzo aveva dieci anni. Pur cieco, viaggiò, soggiornó ad Aleppo e a Bagdad, dove conobbe importanti poeti e intellettuali.
Era solito dire che era recluso in una triplice prigione: del corpo, della cecità e della sua casa, da cui non riusciva ad allontanarsi.
Dopo un prolungato soggiorno a Bagdad, al Ma'arri ritornò nel suo villaggio, che non abbandonò più fino alla morte. Si chiuse al mondo, diventò vegetariano, scrisse raccolte poetiche, fra cui particolarmente importante è Siqt az Zand (La scintilla dell'acciarino), che comprende sette elegie, e la Risalat al gufran (Epistola del perdono), che racconta un viaggio immaginario nell'Aldilà: fu questo uno dei testi su cui Asín Palacios, un arabista spagnolo del XX secolo, di cui parlerò più avanti, si basò per ipotizzare una connessione fra la Divina Commedia e alcuni testi arabi; scrisse una raccolta di 10.000 poesie in cui dà prova di grande virtuosismo nell'uso e nella moltiplicazione delle forme metriche.
Tra i poeti arabi, al Ma'arri fu particolarmente amato da Francesco Gabrieli, in quanto poeta non prigioniero del conformismo religioso del suo tempo. Dice a proposito della poesia di al Ma'arri lo studioso italiano: “ L'Allàh musulmano non è del tutto assente, ma più spesso si dissolve sotto una critica corrosiva di tutte le religioni rivelate, che gli uomini si tramandano di generazione in generazione, supinamente...” (F. Gabrieli, La letteratura araba, Sansoni-Accademia 1967, pag. 143).
Jaime Sánchez Ratia, nei suo Treinta poemas árabes, traduce e riporta una di queste elegie, “un'elegia universale che si rivolge all'umanità intera, in versi che... sono diventati, tra gli arabi amanti della poesia, immortali e come incisi sulla pietra. La composizione, ampia e cadenzata, tesse una riflessione sul dolore e la morte...” (J.S.R., op,cit., pag. 147).
Riporto un passo breve dell'ampissima bellissima elegia. È un'intensa meditazione sulla morte, in cui certe affermazioni di fede (per esempio quella concernente l'inferno (casa di terrori) e il paradiso (dimora della felicità) appaiono quanto mai ambigue, la seconda forse sfuma nell'incredulità.

ARABISTI E ARABESCHI 18 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 6 – La tracotanza di un cavaliere quasi di ventura


Poeta, eretico, cavaliere

Al Mutanabbi (Kufa 915 –965 in cammino per Bagdad) fu personaggio leggendario e misterioso. Partecipò a un'insurrezione dei càrmati, una specie di “gnosticismo islamico”, spiega Sánchez Ratia. Il tentativo fu represso e al Mutanabbi restò per un bel po' di tempo ai margini della società “che contava”: fece per alcuni anni la vita del beduino o cavaliere errante e compose, per sfamarsi, panegirici e lodi in versi per piccoli burocrati di periferia. 
L'incontro con il principe di Aleppo gli concesse alcuni anni di relativa libertà, in cui scrisse le sue opere più belle. L'invidia dei cortigiani lo mise in cattiva luce con l'emiro e fu costretto a fuggire, prima a Damasco e poi in Egitto. Qui si mise a disposizione del sultano locale (l'Egitto si era staccato dal califfato abbaside), Kafur, per cui compose panegirici e versi di lode, con la speranza di avere in dono un'isola: proprio come sarebbe successo secoli dopo al Sancio, scudiero di don Chisciotte! Quando si accorse che le sue speranze erano infondate, congiurò con nemici del sultano, e scrisse pure un paio di satire velenosissime contro di lui, piene di scherno e di disprezzo: perché Kafur era di pelle nera. Sappiamo anche, ma non solo, dalle prime pagine delle Mille e una notte, che gli arabi avevano grande disprezzo nei confronti dei neri e nei secoli ne schiavizzarono molti e li vendettero pure agli europei. Sono cose che fanno nascere dei dubbi su quanto afferma Alberto Burgio , e cioè che il razzismo è frutto del capitalismo!

ARABISTI E ARABESCHI 17 – ETÀ DEGLI ABBASIDI 5- Poesia e assassinî



Il poeta-califfo di un giorno, che fu assassinato nella notte successiva alla sua ascesa al trono

Ibn al Mu'tazz (Samarra 861- Bagdad 907) fu poeta e letterato raffinato; era stato educato e istruito quando era ragazzo da uno dei maggiori filologi e grammatici arabi di tutti i tempi. Raccolse una piccola antologia di poeti, il cui manoscritto unicum si conserva ora nell'Escorial. Per molto tempo si dedicò alla poesia, agli svaghi e ai piaceri della carne. Compose poesie amorose e bacchiche.
Circostanze fortuite gli permisero di entrare nella corte califfale di Bagdad, dove scrisse per il califfo Al Mu'tadid una famosa ode-panegirico. Alla morte di questi, ritornò alla vita privata.
Però successivamente partecipò a una congiura volta a detronizzare e a uccidere il nuovo califfo. La sollevazione ebbe un successo che durò pochissimo, e lo stesso poeta fu messo dai congiurati sul trono califfale. Ma i partigiani del califfo spodestato reagirono immediatamente, e Ibn al Mu'tazz, in fuga per la città, fu raggiunto e strangolato.

Ibn al Mu'tazz compose fra l'altro un trattato sul badi', Kitab al Badi', in cui difese la ricerca dell'insolito e del meraviglioso nella poesia, appoggiandosi persino al Corano.

La lirica che traduco in italiano dalla bellissima traduzione in castigliano di Jaime Sánchez Ratia, ha al centro la tematica bacchica e quella amorosa. Propone nell'ultima parte, in una chiave surreale e sognante, l'intreccio fra gesti di intensa sensualità e la presenza incombente di due figure di nemici degli amanti che torneranno tante volte nella poesia provenzale: i moralisti marparlieri, e gli spioni quasi gatti, i cui occhi brillano nel buio come le stelle.

COSE DI SPAGNA, D'ITALIA E D'EUROPA – Qualche dato recente sull'integrazione dei gitani in Spagna

È uscito oggi, 9 novembre, un articolo su El País che fa il punto sul cammino d'integrazione dei gitani in Spagna. L'autore è Jesús Caldera, vicepresidente della Fondazione Fondazione IDEAS; è stato nel passato anche Ministro del Lavoro nel Governo di Spagna.
Traduco i passi più significativi, invitando naturalmente chi conosce un po' di castigliano, a leggere tutto l'articolo di cui riporto il link..
Non mi stanco di ripetere che i gitani in Spagna sono, in numero assoluto, sei volte gli “zingari” che si trovano in Italia, in percentuale la differenza cresce; e che i gitani spagnoli non sono “speciali”: sono arrivati in Spagna con le stesse tre grandi migrazioni con cui sono arrivati in Italia.

Di seguito alcuni dei passi più importanti dell'articolo.

domenica 3 ottobre 2010

VECCHI E GIOVANI D'ITALIA E DI SPAGNA 3 - Inchieste sorelle


I giornalisti se ne sono accorti? Perché non lavorano insieme per mettere a confronto le due situazioni?

Continuano a uscire su El País puntate della grande inchiesta sui giovani spagnoli. Mi preme mettere in evidenza una cosa curiosa: avevo affermato nel mio precedente post che i due quotidiani, El País e La Repubblica, sono quasi fratelli, pur con differenze. E, a conferma di questa mia considerazione, ecco due inchieste parallele sui giovani: quella de El País, di cui ho già parlato e forse tornerò a parlare, e quella, partita qualche giorno fa, sui giovani italiani che se ne sono andati dal nostro paese. Questa seconda inchiesta prende le mosse dal libro di Claudia Cucchiarato, che ho recensito in un mio post precedente. La Repubblica, come anche il quotidiano spagnolo, ha richiesto la collaborazione diretta di coloro che sono oggetto dell'inchiesta: perciò gli italiani emigrati sono invitati a raccontare la loro storia.

Ora mi chiedo: perché, visto che i due quotidiani sono fratelli, che l'Italia e la Spagna, alla fin dei conti, sono state nel male e per qualche aspetto pure nel bene, per lungo tempo, nazioni sorelle, perché qualche giornalista dell'uno e dell'altro paese non si incarica di mettere a confronto i dati delle due mega-inchieste? Potrebbe scaturire un ragionamento molto interessante. È proprio dal confronto con altre, infatti, che una singola situazione acquisisce nuovi significati, nuovi colori, e parla davvero: specie se ha per oggetto l'analisi di vicende umane, che, non essendo mai compiute e per loro natura assai imperfette, necessitano, per essere ben valutate, di punti di riferimento esterni. E poi, se davvero si vuole fare questa benedetta Europa, non ci si può rinchiudere in analisi che riguardano i singoli paesi. Quale migliore occasione di queste due inchieste, per condurre un discorso di più ampio respiro?