"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

giovedì 8 aprile 2010

ARABISTI E ARABESCHI 2 – SULLA POESIA ARABA DEL MEDIOEVO

Lo so a che cosa mi dedicherò nella prossima reincarnazione: a diventare un'arabista seria. Nella vita che sto vivendo ora non faccio più a tempo, mi sono accorta troppo tardi di quanto sia avvincente questo mondo, e il massimo a cui posso giungere è cercare di raccontarne alcuni tratti con l'ausilio di qualche bel libro di arabisti veri, spagnoli e italiani.
Riprendo quindi, come ho annunciato, un ragionamento sulla poesia araba che iniziai sul blog della Round Robin tanto tempo fa. Questa volta però seguirò un percorso che, partendo dalla poesia preislamica della penisola arabica, giungerà a Al-Andalus, la Spagna musulmana: una storia di press'a poco otto secoli. Lo farò a salti, per piccoli campioni, in modo tutt'altro che professionale; non riuscirò di certo, soprattutto per mancanza di traduzioni e di testi disponibili, a “dosare” il discorso sui diversi periodi e poeti in modo proporzionale all'importanza, e qualche volta ripeterò cose già dette tempo fa.

Nei primi articoli non proporrò testi, ma alcune informazioni e dati che serviranno al lettore che non conosca nulla di questo mondo a orientarsi meglio sul discorso complessivo. Nei successivi, cercherò invece di riportare quanti più testi sia possibile, tradotti dall'arabo non da me, ma da arabisti italiani o spagnoli (in quest'ultimo caso tradurrò io dallo spagnolo all'italiano). Si tratterà spesso di frammenti, perché molte poesie arabe del medioevo sono poemetti di notevole ampiezza e complessità, necessitano, per essere compresi, di un poderoso apparato di note, e non possono perciò entrare in forma integrale negli scritti per un blog.

Uno straordinario arabista spagnolo, Jaime Sánchez Ratía, che lavora per l'Onu, ma “si diletta” di antica poesia araba - in verità si tratta di un “dilettantismo” di livello stratosferico - e si vanta di non essere un accademico, ha pubblicato due libri per la bella e raffinata casa editrice Hiperión, che prende il nome da un titano figlio di Gea, la Terra, e di Urano, il Cielo, e padre del Sole, della Luna e dell'Aurora, e pure dal titolo di un'opera di Friedrich Hölderlin. (Questa casa editrice, mi sembra grazioso dirlo, ha pubblicato anche poeti italiani in edizione bilingue: Leopardi, Luzi, e le rinascimentali Gaspara Stampa, Vittoria Colonna e Chiara Matraini.)

Riporto di seguito, perché mi pare illuminante, qualche passo di un'introduzione pungente di Jaime Sánchez Ratía, che meriterebbe davvero di essere letta tutta, al suo primo libro pubblicato da Hiperión, Treinta poemas árabes en su contexto (lo sfrutterò in prossime puntate).

Credimi, lettore, se affermo che la poesia araba – e specialmente la classica – è una delle cose che rendono la vita tollerabile. In questa età del ferro, in cui ci tocca vivere (e in un paese di latta), lasciar da parte la pesante e mortuaria pagina del giornale e immergersi nelle rimate nuvole di universi come il Libro dei canti di Abu-l-Faray al Isfahni o il Tesoro delle cose belle che ha scritto la gente di Al Andalus di quell'Ibn Bassam di Santarén, allunga la vita più di quando facciano lo smettere di fumare, il rinunciare al sesso mattutino o l'astenersi dal consumo di sostanze non permesse dallo Stato paternalista. Senza dubbio, nonostante le sue qualità corroboranti, la poesia araba è un universo inesplorato, di cui solo pochissimi hanno notizia. Il viaggiatore che si addentra nelle sue lande disseminate di lettere esotiche, armato di una bella pazienza (che il buon Dio saraceno prescrive a coloro che vogliono guadagnarsi il paradiso) e di una carrettata di dizionari, ha l'opportunità di visitare un settimo continente dell'umana creatività, l'Antartide sommersa del genio di uno dei popoli più dotati per la poesia che abbiano mai calpestato la terra, gli arabi, la cui lingua potrebbe considerarsi lingua poetica per eccellenza.
E poi Sánchez Ratia non risparmia altre frecciate soprattutto agli accademici spagnoli, che, a suo dire, hanno mirato a pubblicare scritti che potessero essere immediatamente spendibili per la carriera universitaria - ricompilazioni, bibliografie, ecc.- e non si sono impegnati quasi mai nel lavoro di traduzione in apparenza più umile. Dice di loro: “...hanno preferito sguazzare in pozzanghere piene di zanzare che nuotare e andare a esplorare fiumi maestosi.


Una piccola digressione. Quando uscì la prima edizione di questo suo libro in Spagna c'era Aznar al potere, chissà se anche ora Sánchez Ratia definirebbe la Spagna “paese di latta”: forse sì, visto il gusto aspro e gagliardo di prendere ad allegre martellate la loro “patria” connaturato in molte persone di nazionalità spagnola. Chissà, mi chiedo, che direbbero e farebbero se fossero in Italia.

Non è stato però Sanchéz Ratia, il primo e l'unico a sottolineare l'importanza della poesia araba, che è una delle radici principali della successiva produzione poetica europea, a cominciare da quella provenzale, per continuare con la scuola siciliana e il Dolce Stil Nuovo e l'opera di Dante Alighieri, e con altri movimenti poetici e letterari di diversi paesi.

Nel 1867 Adolfo Federico von Schack, un tedesco innamorato dell'Andalusia, pubblicò un libro sulla poesia arabo-andalusa, forse l'opera più ampia scritta in Spagna sull'argomento, inserendovi molte poesie in traduzione. Il suo libro fu tradotto da uno strano scrittore spagnolo, tardo-romantico, solo un poco più giovane di von Schack, Juan Valera, che pur non aveva grande stima della poesia araba, e condivideva, se pure con atteggiamento abbastanza bonario,, pregiudizi antisemiti del tempo. Ora anche questo libro si trova edito da Hiperión.

Adolfo Federico von Schack diceva dunque così: “Se l’interesse che si è recentemente svegliato nei confronti della letteratura provenzale si applicasse anche a quella arabo-ispanica, e si facessero pubblicazioni e traduzioni della vita e degli scritti dei poeti andalusi, giungeremmo al dovuto riconoscimento di un memorabile periodo della cultura europea. Non credo che mi accechi una spropositata predilezione nell’assicurare che la poesia dei musulmani spagnoli, nonostante tutte le sue manchevolezze, è molto superiore a quella dei ‘trovatori’ provenzali, per la profondità dei sentimenti e la ricchezza e lo splendore delle immagini, mentre il suo valore e i suoi contenuti storici non sono affatto inferiori. Certamente, a stento si può sperare che questo vuoto nella storia generale della letteratura si riempia al più presto, quando si prende in considerazione la pigrizia che affligge gli orientalisti. Il presente lavoro non è nulla più che un tentativo, un invito a compiere un’impresa tanto grande, che per portarla a termine forse non basterebbe tutta la vita di un uomo.
Nella mia opera, di conseguenza, si dà al lettore solo una leggera notizia del vasto campo inesplorato.
Quante cose sono state dette 140 anni fa! Gli auspici di von Schack sono restati tali. L’Europa, in gran parte, continua a ignorare questa parte di sé.

Personalmente non mi interessa sospirare sulla bellezza della poesia antica e moderna. Penso invece che un patrimonio poetico come quello arabo e poi arabo-andaluso e naturalmente molti altri e anche opere di singoli scrittori e poeti interessino soprattutto in quanto stratificazioni di modi di sentire, di ragionare, insomma, in quanto stratificazioni della vita e soprattutto di pensiero della vita (“vita” in questa mia espressione è oggetto), che si manifesta anche attraverso scelte formali, e dà spessore e significati nuovi al nostro presente: visto che il cammino del pensiero individuale, dei sentimenti, delle sensazioni, è molto più lento di altri, per esempio di quello delle istituzioni politiche.

Quando dunque si parla di poesia araba e arabo-andalusa, pertanto, non si fa riferimento a un mondo esotico e strano, ma a una componente importante della coscienza europea, di cui si è persa la memoria o si conserva una memoria impoverita e spesso stereotipata ed esclusivamente folklorica. Questa poesia non è un patrimonio degli arabi, è un patrimonio dell'umanità che andrebbe conosciuto e valorizzato. Cercherò nei limiti del possibile di portare qualche elemento che provi la giustezza di quest'ultima affermazione.


Il precedente articolo sul tema:
arabisti e arabeschi 1 - speranza di percorso

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