"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

*************************
Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

sabato 7 agosto 2010

COSE DI SPAGNA E D'ITALIA – Italia, rovina fine anni settanta




GIRARE IN TONDO

A poca distanza da Mariola, che era appena entrata nell’atrio del reparto, passò a lunghe falcate un giovane medico: non la vide o fece finta di non vederla. Lei lo rincorse e gli toccò la spalla. Lui si fermò e si girò di scatto.
“Ah, ciao.”
“Non puoi proprio ricoverarmi qui?”
“Te l’ho già detto, ti ho visitato, ho fatto tutto ciò che era possibile per te. Non hai sintomi che giustifichino il ricovero in medicina… ”
“Ho forti mal di pancia, e anche al petto… e poi, mi sento debole, la pressione bassa, potrei avere un collasso, capisci… e non riesco a dormire. Non puoi ricoverarmi? Ma perché non vuoi che venga qualche giorno qui? Che ti costa?”
“Senti, Mariola, non posso farti entrare qui senza una ragione precisa… Forse hai solo bisogno di dormire un po’, di parlare con qualcuno. Se vuoi, andiamo insieme in neurologia: c’è là un collega in cui ho totale fiducia, ti ci accompagno io… oggi pomeriggio, ora non posso.”
“È un compagno?”
“Sì, certo…”
“Mah, non so…”
“Se vuoi, possiamo vederci qui alle quattro e ti accompagno da lui. Ma me lo devi dire ora.”
“Non ho mangiato niente…”
“Mariola, ora devo proprio andare. Vuoi che ci vediamo qui alle quattro o no?”
“No! Sei uno stronzo! Il solito maschio stronzo! Vuoi scaricarmi fra i matti!”
“D’accordo, sono uno stronzo. Però devo proprio andare, scusami.”
Il medico si allontanò in fretta, Mariola restò in piedi in mezzo all’atrio, disorientata.

Aveva assistito alla scena Daniele: stava seduto nell’atrio a leggere il giornale, mentre i medici visitavano una vicina di letto di Francesca, sua moglie, che si trovava nel reparto di ortopedia per una frattura alla caviglia. Lui sapeva che Francesca e Mariola non erano mai andate d’accordo. Loro avevano due bambini, e, a quanto gli aveva riferito Francesca, Mariola e altre del gruppo non sopportavano che lei continuasse a dire quanto le era piaciuto fare figli. Ce l’avevano con il vizio di procreare, segno di subalternità femminile, e negli ultimi tempi avevano deciso che la donna aveva diritto di abortire fino all’ultimo giorno della gravidanza. Francesca aveva obiettato: “Ma il bambino nasce vivo!”. E loro a ribattere che bisognava ammazzarlo prima che uscisse dalla madre e altre idiozie del genere. Francesca aveva detto alle amiche che erano soprattutto sceme: se avessero avuto in pancia un bambino bello e pronto per vivere. mai lo avrebbero ammazzato. Erano solo sceme, non assassine, pensavano di essere tanto più radicali e spregiudicate quanto più volevano lungo il tempo in cui alla donna fosse consentito di abortire. Francesca e Daniele avevano riso insieme di questa stupidità. Lei poi aveva detto, impensierita –: “Chissà da dove viene questo vento che rapisce le menti.” Da allora erano passati più di tre anni.

Ora però, nell’osservare Mariola che girava attorno gli occhi senza vedere – il suo sguardo vuoto si era posato assente anche su di lui -, in piedi, instabile, incerta sulla direzione da prendere, Daniele le disse ciao. Lei lo guardò, lo riconobbe e aprì il suo viso a un sorriso infinito. Gli si avvicinò. Lui si alzò e le porse la mano, lei l’abbracciò.
“Cercavo un compagno, un medico-compagno. Ho mal di pancia, mi sento debole, non sai quanto sto male… vorrei ricoverarmi, così mi fanno gli esami e mi tirano un po’ su.”
Daniele aveva assistito al dialogo fra lei e il medico, non aveva sentito le parole, ma aveva capito che avevano discusso. Però fece finta di non aver visto nulla. “Lo cerchi ora, il medico?”
“No, non so dove sia ora… di mattina è difficile trovarli, fanno le visite. Magari torno nel pomeriggio. O resto qui. Tanto non mi fa niente non mangiare.”
Daniele disse a Mariola che Francesca era ricoverata: l’avrebbero operata l’indomani per la frattura alla caviglia. Potevano andare a salutarla insieme.
Entrarono nella camera di Francesca e Mariola si avvicinò a lei, dando un urtone al letto della vicina anziana, appena operata, che stava sonnecchiando ed ebbe un sussulto, e un altro a quello di Francesca, che aveva il piede sotto trazione.
Poi raccontò anche a lei dei suoi malesseri, della sua speranza che un medico-compagno la ricoverasse, e concluse: “Devo aspettare qui fino al pomeriggio, senza mangiare. Stamattina sono tutti occupati, si è fatto tardi.”
“Ma perché non vai a casa e non torni dopo?”
“Non c’è nessuno a casa”, rispose Mariola.
Francesca si trattenne dal chiederle perché ci fosse bisogno di qualcuno, se non riuscisse a prepararsi da sola un uovo in padella. La vedeva scossa e stralunata, le fece pena e azzardò: “Vuoi andare a mangiare a casa con Daniele?” E Mariola a precipizio: “Grazie, grazie, sì sì grazie grazie!”.

Dieci minuti dopo Daniele era in strada con lei. Pensava che a casa c’era in quei giorni la zia di Francesca (i bambini erano invece all’asilo), nervosa, con le caldane della menopausa. Stava tutto il giorno a lustrare la casa, passava ore in cucina e non sopportava che ci fossero ospiti a pranzo. Non si arrabbiava né con i bambini né con i nipoti, ma odiava gli estranei. Francesca non aveva certo pensato a quel che avrebbe detto sua zia, quando aveva proposto a Mariola di andare a mangiare con Daniele.
La casa non era lontana, una sola fermata di metro. Daniele propose a Mariola di andare a piedi e lei quel giorno accettava con entusiasmo tutto, lui non era più il maschio-stronzo, ma un arcangelo gentile e protettivo. Mariola raccontò a Daniele che stava per sposarsi. Con un terrorista di Prima Linea, Stefano B., che aveva sparato a un maresciallo dei carabinieri nello studio di un medico, uccidendolo. La polizia l’aveva arrestato quasi subito, mentre alla stazione stava per prendere un treno.
Disse Daniele: “Devi volergli molto bene… ”
E lei: “Mah, non so… vedi, il fatto è che se lo sposo posso andare a trovarlo in prigione.”
“Per te è importante?” chiese Daniele.
“Sai, è un compagno, non lo posso lasciare così.”
“Lo conosci da molto?”
“No, l’ho visto solo qualche volta. Abbiamo deciso di sposarci dopo il suo arresto. Gli ho scritto in carcere e così…”
Camminarono in silenzio quasi fino a casa.
Quando furono presso il portone, Daniele avvertì Mariola: “In questi giorni c’è da noi una zia anziana di Francesca. È una persona un po’ strana, nervosa. Ce l’ha con il mondo. Tu non ti lasciare impressionare.”
Mariola gli rivolse uno sguardo allarmato e non disse nulla.

Daniele aprì con la sua chiave la porta di casa. La zia, che stava pulendo il bagno, li sentì entrare e arrivò. Vide Mariola, e ignorandola fece a Daniele: “Beh, è pronto. Vieni a tavola! Sbrigati.” Daniele le disse: “C’è quest’amica di Francesca e mia… mangia con noi, oggi.” La zia le rivolse lo sguardo per un attimo, poi lo distolse da lei, si diresse alla tavola apparecchiata in cucina e si sedette. Daniele prese dall’armadietto piatti, bicchiere, posate e tovagliolo per Mariola e apparecchiò anche per lei.
Mangiarono in un silenzio irrigidito, però lei doveva aver fame, perché si riempì il piatto di pastasciutta, poi prese due scaloppine e metà delle patate al forno, sotto lo sguardo fremente della zia.
Daniele, per metterla al riparo dalla sfuriata che stava montando, la portò nello studio e chiuse la porta. Quindi si precipitò a sparecchiare, ma la zia lo fermò accigliata: “No, vattene da quella spostata, da quella puttana. Ci penso io, qui.”
“Ma zia, è un’amica di Francesca. È venuta a trovarla in ospedale, è stata Francesca a dirle di venire a mangiare qui.”
“Francesca è una pazza. E quella è una puttana e una spostata. Si vede subito.”
“D’accordo, come vuoi.” fece Daniele e se ne andò a raggiungere Mariola nello studio. Lasciò però la porta aperta, temendo che la zia potesse pensare che….
Mariola si era rincantucciata sulla grande poltrona-letto, stringendosi con le braccia le ginocchia. Non portava calze, anche se l’aria era ancora fredda. I piedi sporchi che uscivano dalla gonna sformata facevano contrasto con la poltrona bianca, il maglione aveva un sentore di umidità e di muffa, i capelli erano opachi e arruffati. Appoggiò la testa alla spalliera e restò così a lungo, forse si era addormentata.
Daniele si sedette alla scrivania a leggere il giornale e cercava di girare le pagine con molta cautela, per evitare di disturbare Mariola con il fruscio. Dalla cucina arrivavano i rumori di stoviglie sbattute. Dopo un po’ finalmente silenzio. La zia doveva essere andata a riposare nella stanzetta degli ospiti. Speriamo che dorma per un po’, si disse Daniele.
Mariola si mosse, aprì gli occhi, si stiracchiò, sorrise e disse: “Daniele, devo chiederti un grande favore.”
“Dimmi.”
“Ho bisogno urgente di farmi una doccia. Posso?”
Lui inghiottì a vuoto: sapeva che se la zia se ne fosse accorta, sarebbe stata una catastrofe. Tuttavia rispose: “Sì, certo. Vieni.”
La guidò in bagno, prese dall’armadietto un grande asciugamano e glielo porse.
Gli parve che Mariola restasse un secolo là dentro. Non riusciva neppure a leggere, tanta era la preoccupazione al pensiero che la zia andasse in bagno. Nel silenzio che si era fatto nella casa, sentì prima la chiave che girava nella serratura, poi, di colpo, rumore di passi infuriati, sbattere di porte, grida: “Che crede… a casa sua! Matta, matti, matti tutti! Sporcacciona che bagno che bagno tutta quest’acqua per terra… vergogna, vergogna. Quei pazzi dei miei nipoti… non ne posso più, non ne posso più…”
Mariola arrivò nello studio di corsa, malamente avvolta nel lenzuolo di spugna, in fuga dalla furia della zia. Aveva lasciato i vestiti in bagno e chiese tremante a Daniele di andarglieli a prendere.
Daniele si avventurò in quel luogo minato, vide il pavimento inondato di acqua, e naturalmente si imbatté nelle ire della zia, che stava ponendo riparo a quel disastro.
“Prendi gli stracci puzzolenti di quella spostata… se no li butto, mi fa schifo toccarli. Che maleducata, che inciviltà!”
“D’accordo, zia. Ma pulisco io…”
“Vattene! Tu e questi pazzi che mi portate in casa. È l’ultima volta che vengo qui.”
“Zia, pulisco io…”
“Vattene… vaaatteeeneee!”. Le grida erano diventate ululati.
Daniele raccolse in una bracciata i vestiti di Mariola, che la zia aveva buttato per terra, fuori dalla porta del bagno, e si precipitò nello studio.
Volse le spalle a Mariola, mentre lei si vestiva in fretta. Quando fu pronta, le disse piano: “Mi dispiace per queste scene… te l’avevo detto, è pazza isterica, la zia.”
“Vado, voglio andarmene, voglio andarmene.”
“Ti accompagno… vai in ospedale?”
“No no no… non so dove vado. Non voglio che mi accompagni. Vado.”
Afferrò la sacca e si lanciò verso la porta di ingresso come inseguita da una belva, uscì e si precipitò a scendere le scale.
Daniele tornò in casa. Sapeva per esperienza che, dopo essere riuscita a cacciare l’intrusa, la zia era sicuramente diventata amorosa e buona con lui. Infatti gli disse soddisfatta: “Beh, per fortuna che se n’è andata. Vuoi un buon caffè?”

Nel tardo pomeriggio – i bambini erano a casa e la zia si occupava meravigliosamente di loro - Daniele andò da Francesca e vide che sul tavolino c’era un enorme mazzo di fiori: gerbere, gigli, rose, gelsomini. Francesca gli disse: “Me li ha mandati Mariola, ma non posso tenerli qui, profumano troppo, portali a casa. Guarda il biglietto.”
Sul biglietto c’era scritto: “Felice di avervi ritrovato”. “Bah”, disse Daniele, “chissà a cosa si riferisce. Pensavo che non avesse soldi per mangiare. Ha speso una fortuna per questi fiori. Si è presa uno spavento per le urla della zia…”

Due giorni dopo – Francesca era stata operata e stava per essere dimessa – quando Daniele andò a prenderla in macchina in ospedale, lei gli porse una busta di pergamena: l’aprì e ci trovò dentro la partecipazione di nozze di Mariola e Stefano B.. Lei aveva detto a Francesca che le avrebbe officiate il prete del carcere, che si era riconvertita.

Passarono un paio di mesi. Un giorno Francesca che stava facendo colazione al bar prese distrattamente il giornale locale che c’era lì. Lo spiegò e lesse nella cronaca della città questo titolo: Donna finge uno stupro in via D’Azeglio. Via D’Azeglio si trovava vicina a casa sua e lesse l’articolo. La denuncia ai carabinieri era stata fatta dalla ventisettenne Mariola B.. In ospedale, però, i medici non avevano riscontrato segni di violenza. Lei aveva subito ammesso di aver mentito e pare che avesse giustificato la falsa denuncia dichiarando di aver invano tentato di farsi ricoverare per dolori che aveva in tutto il corpo. Colpa dei medici che si erano rifiutati di accettarla: l'avevano costretta così a inventarsi di aver subito violenza…

Nessun commento:

Posta un commento