"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

venerdì 20 agosto 2010

COSE DI SPAGNA, D'ITALIA E DEL MAROCCO – Incontri nel Nord del Marocco 3



LA VECCHIA MADRE E LE SEI FIGLIE

La vecchia madre è sempre vestita di bianco, anche il velo. La trattano tutti con molto rispetto, a volte le baciano la mano. Non smette mai di sorridere, parla esclusivamente in darija, anche con me, pare non aver dubbi sul fatto che la capisca. Le altre donne –vivo quasi sempre con sole donne - parlano in darija e in francese, qualcuna anche in spagnolo. Malika ha frequentato da piccola la scuola coranica: da quando aveva due anni, sedeva con altre bambine di fronte a un imam armato di una lunga canna, che cantava versetti del Corano e glieli faceva ripetere. Poi, quando crebbero, insegnò loro anche a leggerlo, il Corano, che è scritto nell’arabo classico per eccellenza, tutto vocalizzato (non bisogna sbagliare nel pensare o pronunciare le parole della rivelazione!)
Le sei sorelle, figlie della matriarca, sono Mariam, Leila, Amina, Khadigia, Malika, Fatima.
Mariam è sempre vissuta in Marocco, pare di un’altra generazione rispetto alle sorelle, anche lei, come la madre, va vestita sempre di bianco, è già vecchia e venerabile, non solo anziana. Le sorelle più giovani la trattano con lo stesso rispetto con cui si rivolgono alla madre. Ha, come ho già detto, 11 figli, so che me li hanno presentati in qualche occasione, ma non li ricordo, salvo lo sposo di un matrimonio di cui parlerò in seguito.

Leila, che ora ha sessantacinque anni, tre figli e qualche nipote, mi ha raccontato la sua storia matrimoniale: a un giovane era stata promessa in sposa una sorella di Leila, che però era morta prima di giungere al matrimonio. Lui allora insistette per sposare un’altra figlia, e il padre di Leila gli “assegnò” lei, che aveva circa dieci anni. Per qualche anno il marito regalò giocattoli alla bambina e la portava a volte a divertirsi con le amichette, presso casa: doveva aspettare che si sviluppasse per avere rapporti sessuali con lei. Leila ricorda i pianti che si fece quando, dopo qualche anno, si rese conto di quel che significava essere moglie. Ebbe tre figli. È povera – anche se è riuscita a far terminare gli studi a una figlia che adesso fa la maestra -; vive in una casa in affitto che non ho visto. Ora nel primo pomeriggio va a Ceuta, a far pulizie in un bar, e torna a Tetouan ogni sera: 120 chilometri andata e ritorno. Viaggia in taxi pieni zeppi di persone, in cui si spende l’equivalente di 2 euro per ciascuna tratta. Le rimangono, di quel che guadagna, circa 150 euro mensili. La mattina, prima di partire, prepara da mangiare al vecchio marito e pulisce la casa.

Amina, una delle sue sorelle maggiori, ha lavorato per molti anni in Spagna, ora percepisce la pensione e non ha problemi economici – mi dicono - perché riceve un’altra pensione –una sorta di reversibilità – del marito morto ( mi pare che qui siano molti gli uomini che se ne scappano dal mondo, quasi tutti, a poco più di sessant’anni: peggio che da noi!). Ha diversi figli, ne ho conosciuti due. Possiede, in uno degli edifici moderni di cui ho parlato, una casa doppia: due piani molto ampi, al secondo si accede attraverso una scala interna. In questa casa è possibile fare le feste, ma di ciò parlerò in seguito. Mi pare che Amina faccia un po’ pesare la condizione di maggiore benessere di cui gode. Certamente non ha un buon carattere, non ha la cortesia delle sorelle, anche se presta la sua casa per feste e dà il suo contributo, sotto varie forme, alla Grande Famiglia.

Khadigia, quella a cui mi sono legata di più, un’espressione sorridente e un po’ ironica pure quando è stanca, fu data in moglie, per forza, quando aveva 15 anni, a un cugino molto più anziano di lei. Fuggì dalla casa del marito, arrivarono i parenti di questi e la riportarono a lui; rifuggì e rifuggì, fino a quando il padre rinunciò a costringerla e ottenne il divorzio per lei. Era bellissima – c’è in una delle “sale” della piccola casa della vecchia madre, appesa al muro, una foto di lei ventenne, i bruni capelli piuttosto corti e cotonati, gonfi come anche in Italia li usavamo noi, ragazze di quella generazione–; si innamorò poi di un uomo già sposato e lui la prese come seconda moglie, naturalmente con disappunto della prima. Le due mogli vissero in due case separate. Khadigia ebbe un solo figlio, Yusuf. Poi, mi racconta, ha fatto amicizia con la prima moglie di suo marito. “Dovevamo stare per sempre in lite per un uomo? Per uno che ora, fra l’altro, non è neppure più su questa terra? Anche se lui… ah, com’era bello, era proprio bello, e anche buono con me, ci amavamo tanto.”
Una mattina mentre stiamo chiacchierando nella casa della madre, entra una ragazza alta, un poco spigolosa: baci a Khadigia, poi anche a me, che le sono stata presentata come “l’amica italiana”. Mi informano che studia lingue all’università. E io le dico: “Certo, arabo classico!” E lei: “No, non mi piace affatto e poi è troppo difficile. Voglio studiare il francese e lo spagnolo.” Quando la ragazza va via, Malika mi spiega, di fronte alla sorella che sorride, che quella ragazza è nipote (figlia di una figlia) della prima moglie del marito di Khadigia, e che è molto più attaccata a quest’ultima che alla sua vera nonna. Non posso fare a meno di pensare che la poligamia deve avere pure un suo respiro, una sua ampiezza mentale, nonostante l’iniquità, le sofferenze e le umiliazioni che porta con sé. Mi dice Khadigia – e Malika consente- che certe volte nel passato era la prima moglie a cercarne una seconda per il marito. Chiedo io: “Ma perché lui era proprio impossibile da sopportare?” E loro mi rispondono che era proprio così.
Khadigia possiede una casa grande, che però non può farmi vedere: una parte è affittata, ma a prezzo bloccato, prende molto poco. Lei vive nella casina della madre, che accudisce personalmente.

Malika, divorziata da un primo marito maltrattatore, si è poi risposata con un altro, un bell’uomo, autoritario, che vende tappeti nei mercati; vivono, salvo che durante le vacanze, in una casa popolare a Conil con i tre bambini; sta pure a Conil, ma in una casa separata, anche il figlio che Malika ebbe dal primo marito, ormai adulto e autonomo.
Malika mi dice e mi ripete mille volte che in Marocco ora non è più possibile a un uomo prendersi un’altra moglie senza il consenso della prima. “Se la prima moglie non firma l’autorizzazione e lui si prende un’altra moglie, va dritto in prigione, lo mettono proprio in prigione, in prigione, lo sai? E poi il Corano dice che uno che prende più mogli deve garantire a tutte non solo lo stesso tenore di vita, ma anche lo stesso amore: se no va all’inferno. E come può un uomo amare tutte le mogli allo stesso modo? Non è possibile. Quindi vedi, il Corano stesso, alla fine, proibisce all’uomo di prendere più mogli.” Khadigia sorride e sussurra: “Non le dar retta. Anche oggi gli uomini prendono un’altra moglie, fanno quel che vogliono.” Io non oso attizzare un confronto aperto fra le due sorelle, e mi tengo i miei dubbi.
Vengo anche a sapere - e su questo tutte concordano – che ora l’età minima del matrimonio, per l’uomo e per la donna, è per legge di 18 anni. E mi dicono anche che matrimoni combinati non ce ne sono più e si affannano a portarmi esempi e prove, raccontandomi come si sono sposati i figli e le figlie.
Fatima vive in Francia, è l’unica che possa esibire un marito (anche Malika, l’ho detto prima, ce l’ha, ma l’ha lasciato in Spagna con i figli maschi perché durante i mesi di vacanza lavora bene nei mercati). Questo marito di Fatima dorme per lo più nella casa della matriarca, probabilmente non c’entra nella sua, perché ci sono figli con i loro partner e nipoti. È un uomo silenzioso, non lavora più, va spesso in moschea a pregare. Vive in queste vacanze come in punizione, tra tante donne, e forse si annoia.

La legge di famiglia del 2004, la nuova Moudawana – lo verifico una volta tornata in Spagna - è considerata la più avanzata tra quelle dei paesi musulmani. Non esclude la poligamia ma la rende difficile e comunque la prima moglie, già nel contratto di nozze, sceglie se accetta o no questa possibilità; eleva l’età di matrimonio da 15 a 18 anni, e riconosce diversi altri diritti alla donna: per esempio, quello di sposarsi senza il consenso dei genitori, quello di tenere con sé i figli in caso di separazione, quello di chiedere il divorzio, quello di avere un aiuto economico dall’ex-marito, quello di restare nella casa coniugale, in caso di divorzio, se le sono stati affidati i figli… Il giudice ha ampio margine di decisione, e può anche prescrivere eccezioni alla legge, soprattutto rispetto all’età minima per le nozze, e questo avviene ancora con una certa frequenza.

Chiedo alle mie amiche del controllo delle nascite. Malika mi spiega che ora girano per le case infermieri inviati dalle pubbliche istituzioni (pur se in Marocco non c’è una vera sanità pubblica). Chiedono alle donne se vogliono la pillola, e a quelle che accettano di prenderla portano ogni mese una scatoletta. Pare ci sia anche una ginecologa a disposizione di chi ha bisogno di risolvere dubbi e di farsi controllare. “E gli imam che dicono?” “Loro dicono che è peccato… ma che vuoi, non si possono fare tanti figli.” . Accerterò successivamente che la l'indice di fecondità per donna in Marocco è di 1,4: simile a quello dei paesi europei, Ricordo vagamente un incontro interculturale che ci fu a Bergamo, diversi anni fa: ci partecipò un imam di Milano, molto severo. Disse però che l’islam non era contrario al controllo delle nascite. Lo disse davvero o è la mia memoria a farmi scherzi? Certo, i musulmani non hanno un papa, e perciò può darsi che tra loro, anche tra quelli considerati guide spirituali, ci siano in proposito opinioni differenti.

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