"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

giovedì 5 agosto 2010

COSE DI SPAGNA E D'ITALIA – Giornalisti spagnoli, situazione italiana, Nichi Vendola

Oggi pomeriggio ho scoperto due articoli (stamattina sono restata in casa e non avevo perciò il giornale). Il primo, durissimo e molto intenso, sulla situazione italiana, è stato pubblicato da El País:  il giornalista, Miguel Mora, ripone l'unica speranza di riscatto in Nichi Vendola. Il secondo articolo, che riferisce i contenuti di quello de El País, si trova sull'Unità.
Propongo ai lettori del mio blog l'uno e l'altro

Ripropongo anche, a distanza di tempo, uno struggente scritto  della scrittrice e giornalista Maruja Torres, che ricorda così l’Italia degli anni Sessanta : “Italia di allora – il suo cinema, i suoi scrittori, i suoi poeti – non aveva agli occhi del mondo in generale e in modo assai speciale per gli spagnoli quella immagine di sporcizia clericale che oggi la caratterizza. Era un paese con cui potevi addentrarti nuotando nella malinconia, con la certezza che non si sarebbe permesso che affogassi. Per i miei diciassette o diciotto anni, l’estate aveva i colori bianco, nero e i grigi de “La ragazza con la valigia”, quel film di Valerio Zurlini, grazie al quale noi ragazze ci innamorammo di Jacques Perrin, e i ragazzi di Claudia Cardinale. Il decennio precedente era stato segnato, per le classi popolari spagnole, dalla cultura italiana, almeno per ciò che si riferiva al cinema. Non si trattava di un cinema qualunque e, perciò, pur accolto, grazie al cielo, senza messe in scena di esperti nelle sale dei quartieri con due proiezioni, non fu una cultura qualsiasi. Era il neorealismo, che ci nutrì e ci preparò per quell’altro tipo di cinematografia degli anni Sessanta, pur’essa impegnata in senso sociale e politico, ma stilisticamente differente: vedendo questi film, ci sentivamo vicini a una vita che né il cinema spagnolo, né quello di Hollywood ci consentivano di accostare. Con il primo potevi addormentarti o mentire a te stesso; con il secondo, potevi sognare. La vicinanza alla vita ce la proponeva solo l’Italia, che tanto era destinata ad influire, questo è certo, sui registi che presto ci avrebbero offerto quello che sarebbe stato chiamato il Nuovo Cinema Spagnolo.

Che è successo dopo? Che malattia ci ha colpito? Guariremo?

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