"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

mercoledì 18 agosto 2010

COSE DI SPAGNA, D'ITALIA E DEL MAROCCO – Incontri nel Nord del Marocco 2

CASE MODERNE E UNA CASINA

Alcuni edifici in cui diversi membri della Grande Famiglia (come dirò poi, si tratta di decine e decine di persone) di Malika hanno il proprio appartamento si assomigliano: sono condomini che non hanno più di vent’anni d’età; si apre il portone e si incontrano due scaloni di accesso – forse una decina di gradini ciascuno - di una pietra grigio-scuro: mi pare che abbiano solo la funzione di dare solennità all’ingresso. Io mi aspetterei una struttura così all’esterno di un edificio, non all’interno.
Saliti i due scaloni, c’è il pianerottolo con l’ascensore. Questi edifici moderni sono alti una decina di piani. Per prendere l’ascensore occorre una carta con codice magnetico. Mi spiegano che viene tolta a quelli che non pagano le spese di condominio, una media di 120 euro l’anno. Però, se anche non la si ha e si è in gruppo, si ha il modo di utilizzare lo stesso l’ascensore: il gruppo entra nella cabina, e una ragazzina sale (o scende) velocemente e chiama l’ascensore dall’esterno, dai pianerottoli che via via raggiunge di corsa.

Gli appartamenti di questi condomini sono ampi. Una o due stanze con letti, cucina grande e almeno un paio di sale, che sono la parte più interessante della casa. Le sale hanno lunghi divani, blocchi unici che corrono intorno a tre pareti su quattro, certe volte anche sotto la finestra: i sedili sono parallelepipedi (a volte appena un po’ più corti delle pareti perché negli angoli ci possono essere tavolini con sopra lumi). La base di questi lunghi divani è costituita da pedane di legno alte una decina di centimetri e i sedili hanno la stessa altezza di quella delle nostre sedie occidentali. Dentro questi divani devono avere un’imbottitura molto resistente, credo di plastica dura, la ricopertura è di grosso broccato dai colori molto vivaci, quello che mi pare il più bello di tutti ha fiori rossi tra grandi riquadri marroni su fondo avorio. Come schienale c’è una fila di cuscini, anche questi devono essere molto resistenti, e sono ricoperti con la stessa stoffa dei sedili. I divani delimitano lo spazio rettangolare al centro della stanza, che è ricoperto di tappeti. Si entra in queste sale dopo aver tolto le scarpe, come si fosse in piccole moschee. Sui divani ci si siede, ma si può pure dormire; e ci si può coricare anche sui tappeti che ricoprono lo spazio centrale, su cui all’occorrenza si stendono specie di imbottite ed eventualmente lenzuola. In ogni sala possono dormire molte persone: naturalmente tutte donne o tutti uomini. Sui tappeti, non proprio a ogni richiamo del muezzin, ma comunque spesso, chi vuole si prostra, dopo essersi purificato lavandosi per tre volte le mani (tutto il corpo se ha avuto rapporti sessuali poco prima): ogni preghiera dura pochi minuti.

Un cenno sulle trasformazioni di questi arredi nel tempo. Ho chiesto alle amiche che mi ospitavano se nel passato erano così e mi hanno risposto che erano un poco diversi. La pedana, sempre molto bassa, era di terracotta, e sopra erano stesi lunghi materassi di lana, certamente ben più bassi dei sedili attuali. Forse – mi sono detta – questi arredi possono essere il simbolo, o meglio, dato il loro volume, l’allegoria, dell’incontro, non certo limpido e privo di contrasti, fra tradizione e modernità, fra società musulmane tradizionali e gli usi e gli arredi dell’occidente europeo. I tavolini sono restati per lo più bassi, per le nostre abitudini non adatti a coordinarsi con gli attuali, troppo alti, divani: bisogna chinarsi per prendere il cibo o addirittura per mangiare dal piatto appoggiato su queste mense nane.

La casa della madre di Malika si trova non in un condominio, ma in una delle tante viuzze sterrate, traverse di una strada principale bene asfaltata. Mi dicono che non è proprietà dell’anziana signora, ma ha l’affitto bloccato e perciò bassissimo, ci vivono da più di settant’anni, le sei sorelle, Malika compresa, che sono nate lì. Perciò si paga pochissimo. La casetta ha un patio piccolino con un cancelletto che non viene mai chiuso davvero: tirando una cordicella, si apre dall’esterno. Viene proprio naturale usare i diminutivi per descrivere questa casa: non tanto per le dimensioni, ma dà proprio – e non saprei spiegare razionalmente il motivo – l’impressione di una casina. Mi dicono che un tempo quel patio era più grande e aveva anche alberi da frutta. Ora è un cortiletto, su cui si affacciano un’ampia cucina, un piccolo gabinetto alla turca (un secondo con il water “normale”, il lavandino e la doccia si trova nella casa) e il corridoio che passa attraverso le stanze per finire alla porta del bagno. Le stanze sono due “sale” con i lunghi divani e tappeti e la piccola camera da letto dell’anziana signora, in fondo, ingombrata delle valigie dei migranti. In tutto, esclusa la cucina e il cortiletto che fanno parte a sé, penso che sia una casina di meno di cinquanta metri quadrati, linda e piacevole, che accoglie ogni giorno ondate di persone che vengono e vanno. Le amiche mi spiegano che tanti anni fa, quando nascevano ancora bambine in quella casa, era possibile che ci vivessero stabilmente quelli che ne avevano bisogno perché le ragazze si sposavano assai precocemente: quindi, quando nascevano le sorelline più piccole, le più grandi se ne erano già andate altrove con i loro mariti.

La madre di Malika, di 75 anni può considerarsi la “matriarca” di un ramo della Grande Famiglia - il marito e “patriarca” è morto da tempo-: viso minuto e bello, corpo diventato asimmetrico e piccolo, ma ancora sorprendentemente agile; sei figlie (l’unico figlio morì in tenera età, e morì pure una settima figlia, quando era ragazza), tutte sposate, alcune con mariti ancora vivi e con figli propri che sono naturalmente nipoti della matriarca: in tutto 31; i figli di questi giovani, già nati – bisnipoti della “patriarca”–, sono 32, qualcun altro nascerà nei prossimi mesi. Finora, quindi, il ramo principale, che discende da un’unica coppia (partner viventi compresi), conta più di 70 persone; poi ci sono i rami collaterali, le innumerevoli diramazioni dei cugini delle sei sorelle.

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