"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

venerdì 16 aprile 2010

COSE DI SPAGNA E D'ITALIA - MIRIAM MAFAI E UN CONVEGNO A CADICE SULLA PROSTITUZIONE 2

Allora, riprendo il discorso sulla II Jornada Andaluza de Debate sobre la Prostitución  indetto dall'Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía. Il convegno si è tenuto nella Facoltà di Lettere dell'Università di Cadice qualche settimana fa.

Così recita la presentazione del programma; quanto al programma vero e proprio, anche se uno non conosce il castigliano, può ugualmente intenderlo aprendo il link: si tratta di frasi brevi.

Presentazione
La tratta di esseri umani è al giorno d'oggi una forma di schiavitù che persiste in società che pure ritengono fondamentale la difesa dei diritti umani. L'impegno della società e dei governi nella lotta contro questo fenomeno è arrivato con lentezza, e ancor oggi la mancanza di dati concreti e di studi specifici rende difficile affrontare davvero questo problema.
Nell'anno 2008, si approva in Spagna Il Piano Integrale di Lotta contro la Tratta di Esseri Umani con Finalità di Sfruttamento Sessuale, senza dubbio un passo avanti nella lotta per combattere questo fenomeno. Però, per noi, è ancora insufficiente. Da parte dell'Associazione Per i Diritti Umani di Andalusia, unendo le nostre voci e le nostre riflessioni a quelle di altre associazioni impegnate anch'esse nella lotta per i diritti umani dei lavoratori/lavoratrici del sesso, abbiamo denunziato l'assimilazione che da parte di questo Piano si fa tra la prostituzione volontaria e la tratta degli esseri umani. Questa assimilazione, che equipara la prostituzione imposta con la volontaria, porta in sé la negazione della capacità di decisione di molte persone, e include coloro che prendono questa decisione nella categoria di vittima e “Vittimizzare è l'opzione meno rispettosa in relazione a nostre simili, che spesso si sentono aggredite quando si trovano di fronte a sguardi pieni di commiserazione” (Espejo, 2009).
Questa questione non è una semplice e innocente disquisizione su concetti astratti. Questa concezione riduzionista che vede la prostituzione come qualcosa intrinsecamente disprezzabile, serve da sostegno e base argomentativa a posizioni normative, ideologiche e sociali che molte volte pregiudicano negativamente le persone che lavorano nella prostituzione: si vedono criminalizzate, esse stesse o i loro clienti e amici, stigmatizzate dalla società, vittimizzate dai loro simili, relegate alla clandestinità…
Per tali ragioni, in questa Giornata abbiamo voluto creare uno spazio dove voci che vengono da ambiti differenti (il diritto, le scienze sociali, antropologiche, il lavoro sessuale, l'arte, la cultura e le nuove tecnologie...) si incontrano per scambiarsi riflessioni, azioni e vissuti sulla prostituzione e la tratta, e, soprattutto, sulla dignità e il diritto a vivere liberi.

Hanno aperto i lavori tre prostitute italiane, che ora lavorano in Spagna. Hanno parlato un po' della loro professione, della loro mobilità, del fatto che hanno occasione di conoscere posti diversi. Hanno dichiarato che sanno leggere la realtà meglio di altri. Hanno parlato del tizio (ho giurato di non nominarlo mai più) che sta a capo del governo italiano, di tratta, di mafie, di autorganizzazione, di leggi. Qualcuna ha detto che non sono solo loro a vendere i loro corpi, anche l'operaio massacrato dal lavoro lo vende.

(Alcune mie considerazioni su quest'ultima affermazione: ho pensato nei giorni successivi alla Jornada a questa analogia fra il lavoro sessuale e quello dell'operaio, il più sfruttato, e sono giunta per ora alla conclusione che abbracciare o essere abbracciati con affetto, senza cercare eccitazione, è comunque diverso dall'avere rapporti che coinvolgano la sfera sessuale; che essere bastonati può essere ancor più terribile che essere violati, ma è un'altra cosa. Per proprietà transitiva, per cauta e dubitosa analogia, “dare” il proprio corpo per un lavoro duro e alienante non mi pare la stessa cosa che fare sesso in cambio di soldi: può essere, in certe circostanze, perfino peggiore, ma non è la stessa cosa, credo. Però, in un campo così arruffato, non vanto le mie impressioni come certezze assolute, anche perché in queste faccende il dubbio è più fecondo di tolleranza e di umanità e l'affermazione di verità rigide è pericolosa, inutile e non serve ad alleviare l'infelicità umana, obiettivo che per me dovrebbe essere al centro di ogni attività sociale.)

Riprendo il filo della Jornada. Come si può vedere dal programma, sono intervenuti ricercatori, professori universitari, due avvocati che si occupano operativamente della difesa dei diritti umani. Non riporto i contenuti del dibattito, dovrei davvero scrivere troppo, non è possibile. Chi abbia interesse ad approfondire, può trovare molti contributi in internet: segnalo in particolare quelli di  Esther Hava García, intervenuta con proposte forti di conoscenza.

Mi preme riprendere solo alcuni argomenti che sono emersi dal dibattito e anche da altri contributi che dirò fra poco.

Uno dei due avvocati ha parlato di un'estesa “zona grigia” fra tratta e prostituzione volontaria, ma al contempo ha precisato che una politica di proibizionismo e di vittimizzazione nasconde la realtà, non la fa emergere, e costringe spesso alla marginalità, e quindi, paradossalmente, alla prostituzione coatta persone che, in un clima di maggiore libertà e apertura, potrebbero maturare la decisione di ribellarsi a una semi-costrizione.

La nuove legge sull'immigrazione, varata poco tempo fa, pone trenta giorni come limite alla ragazza scoperta come immigrata irregolare per denunciare l'aguzzino che la costringe alla prostituzione. Molti di coloro che appartengono ad Asociaciones Pro Derechos Humanos sostengono che questo è un tempo troppo breve; che, proprio per la presenza di un'estesa “zona grigia” fra prostituzione sicuramente volontaria e prostituzione coatta, sarebbe necessario più tempo alle ragazze che vogliano uscire; e il pieno riconoscimento di diritti e di dignità a chi esercita volontariamente la prostituzione aiuterebbe tutti e tutte a chiarire e a elaborare le proprie posizioni e a fare scelte più consapevoli e libere.

Sentendo argomentare in questo modo, mi è venuta in mente – e lo dico, anche se considero rischioso l'uso di analogie - la questione dell'aborto. Da quando alla donna è stata restituita dignità e sicurezza nell'aborto (ero impegnata, nel tempo in cui passò la 194, nella gestione di un consultorio, a Bergamo, e mi occupavo approfonditamente di queste cose), il numero gli aborti in Italia è andato calando. Oggi, nonostante l'immigrazione di persone che a volte non sono abituate alla contraccezione, il numero di aborti, dal momento in cui passò la legge, si è più che dimezzato in Italia.
(Colgo l'occasione per fornire un dato che sorprenderà, ha sorpreso anche me: a Tetuan, dove sto pian piano diventando di casa, un'insegnante dell'università, di scienze politiche, impegnata nel movimento di emancipazione femminile, mi ha detto che ora nascono 1,4 bambini per donna, c'è quindi un andamento demografico da paese europeo. Non esiste in Marocco un'assistenza sanitaria pubblica, è uno degli aspetti assai negativi di questa società. Però lo stato ha messo in tutto o quasi tutto il territorio presidi, con ginecologhe, infermiere, operatrici sanitarie, a cui le donne possono rivolgersi per il controllo delle nascite.)

Torno al tema principale del mio discorso. Dopo la Jornada, domenica, 27 marzo, è uscito un articolo su El País sulle ragazze vittime della tratta in Spagna. Porta dei numeri, qualche storia. Poi mi è stato inoltrato da un'amica delle Mujeres del mundo, un'associazione di cui faccio parte, un articolo di protesta contro il governo spagnolo. Vengono poste in questo scritto le seguenti domande, a proposito dell'individuazione di donne vittime di tratta e dell'atteggiamento delle istituzioni nei loro confronti:

Quali sono i protocolli di identificazione utilizzati dalle Forze di Sicurezza dello Stato?
Quali sono i protocolli specifici nel caso di minori identificati?
Quali istruzioni guidano l'applicazione di questi protocolli, anche del modello di interviste a vittime della tratta?
Quali procedimenti si sono seguiti in relazione alla tutela legale di quei minori vittime di tratta?
Che è successo con le 655 donne identificate come vittime di tratta e in situazione di irregolarità?
Nel caso in cui queste donne siano state riportate ai loro paesi, quali protocolli di ritorno volontario e assistito sono stati utilizzati?

Mi è arrivato negli stessi giorni un comunicato da Avaaz.org sull'argomento del traffico sessuale. Le azioni che i membri dell'importante associazione si propongono di sviluppare sono queste (riporto solo i titoletti delle diverse proposte, che offrono appena una traccia; chi vuole, può andare a leggere tutto l'articolo, che è in italiano, aprendo il link):

Supporto a un team specializzato in operazioni di adescamento.
Svergognare pubblicamente le complicità ufficiali.
Preparare un giorno di azioni globali fuori dalle case della schiavitù sessuale.
Far pressione sui leader eletti.
Creare partnership con gli attivisti impegnati in questo settore.
Sorvegliare le rotte chiave di questi traffici e bloccare le navi.
Andare alla caccia dei trafficanti.”

In entrambi i siti, si raccontano tragiche storie di ragazzine arrivate in Europa da terre lontane; le proposte, i propositi, le domande politiche si appoggiano anche su tali resoconti. È facile accorgersi del fatto che i due approcci al problema sono diversi, probabilmente non incompatibili fra loro, però diversi.
Il gruppo spagnolo Pandoras invisibles, almeno nelle intenzioni, tende a considerare le donne, anche quelle vittime di tratte, anche quelle minorenni, come soggetti che devono essere interpellati sul proprio destino, si preoccupa di una “riqualificazione” delle forze di polizia: insiste sui “protocolli”, su modelli di approccio e di indagine che garantiscano i diritti e il rispetto della soggettività della vittima. Quello di avaaz.org non si pone quest'ordine di problemi, ma punta “solo”(naturalmente ho messo l'avverbio fra virgolette!) sulla lotta al traffico di esseri umani con fini di sfruttamento sessuale.

Non spetta a me, che non ho alcuna esperienza in proposito, pronunciarmi su quale sia l'approccio migliore, nel senso di più efficace e realistico, o su come le due posizioni vadano integrate.
Credo, però, che l'articolazione di proposte e l'emergere di sensibilità diverse sia direttamente proporzionale all'asprezza della lotta, ma anche alla complessità dei destini umani, che non vanno appiattiti a martellate in categorie a due sole dimensioni.

La prossima volta ritornerò in Italia.

(2 continuazione) Il precedente articolo della serie: 
Miriam Mafai e un convegno a Cadice sulla prostituzione 1

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