"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

domenica 11 aprile 2010

COSE DI SPAGNA E D'ITALIA - MIRIAM MAFAI E UN CONVEGNO A CADICE SULLA PROSTITUZIONE (1)

Ho sempre amato Miriam Mafai - il suo bellissimo libro di tanti anni fa, Pane nero
ha un posto d'onore nella mia libreria -, ma non mi sono trovata quasi in niente d'accordo con quanto ha detto in un recente servizio di Repubblica on-line, La donna tangente, e con quanto in genere si dice oggi da parte della sinistra di diverse gradazioni a proposito di donne e prostituzione (lascio da parte la destra: preferisco in genere parlare di quelli a cui voglio bene e che considero amici). Non sono d'accordo e non mi è piaciuto. E spiego perché.

Quando nei primi anni settanta il movimento femminista andava gridando per le strade: “Non madonne, non puttane”, ero d'accordo, lo gridavo anch'io. Perché mi pareva ci fosse il rifiuto di riduzionismo, di accettare che le donne fossero catalogate in base ai costumi sessuali. C'erano però, allora, tante differenze fra le posizioni nel movimento, e pure scontri: l'oppressione, i comportamenti, i pensieri, i ruoli... sono natura o cultura? Separatismo o coinvolgimento dei maschi? Quali rapporti con la politica ufficiale, con il movimento sindacale e operaio? Tutte uguali o simili, le oppressioni, o condizioni diverse, legate anche a quella che allora si chiamava “appartenza di classe”? E la sessualità? Ecc. ecc..
Mi pare che poi ci sia stata una deriva verso un pensiero unico o quasi unico che oggi è dominante. Non più madonne, certo, se sono caste è una scelta loro, è volgare e violento scherzarci sopra, queste cose le fanno solo i fascisti; le puttane invece sono restate, nella percezione comune, uguali e peggiori che nel passato: queste ultime vanno certo rispettate, si dice ritualmente, ma di fatto non sono interlocutrici, non si discute con loro, non le si conosce, sembra che tutte debbano avere la stessa personalità, se di personalità si può parlare. La società non chiede nulla a esseri simili, a meno che non siano schiavizzate, non denuncino e quindi non facciano il salto che le porta fuori. Se mai le si compatisce, perché le si pensa tutte tutte in mano a sfruttatori di diverso livello, certo, quasi tutte vittime della tratta oppure strumentalizzate da uomini di potere. La cosa più strana del mondo, però, è che si dica al tempo stesso che i comportamenti di queste ragazze offendono le donne che non sono puttane: un'identificazione simbolica, omologante e disumanizzante per tutte le parti in causa che proprio non riesco, non riesco a capire.

Personalmente, penso che a me sarebbe potuto capitare di diventare prostituta: per dare da mangiare a figli affamati, per cercare di garantire loro una vita degna, per permettere loro di studiare. Non dico che sarebbe stato ovvio e facile: il mio pessimo carattere avrebbe certamente ostacolato non poco la professione. Qualche altra persona potrebbe fare la prostituta perché vuole guadagnare senza uccidersi di fatica in un campo o un'impresa di pulizie o perché le va bene così. Non so come sia questo lavoro, ai diversi livelli, però per me ammettere, e seriamente, questa possibilità del passato è, per quanto strano possa sembrare, per una di quelle capriole bizzarre del pensiero, rasserenamento e al contempo difesa della mia individualità, che non è individualismo in senso deteriore. È rifiuto di questo pensiero unico che mi pare asfissiante, è rifiuto di gettare nell'etichetta di “puttana” la complicazione delle persone vere.

Ed esprimo di seguito alcune mie semplici riflessioni-piccole proteste contro aspetti secondari di questo pensiero unico, che è emerso pure dalla lunga intervista a Miriam Mafai: micro-ribellioni che mi ronzano nel cervello e vogliono uscire, così, alla rinfusa.


Diventare anziani porta saggezza, si dice. No, diventare anziani per me aumenta tante volte la pazzia, e la morte è una schifezza da cui ci si può difendere solo distraendosi, non ci si oppone perché si sa che non serve, la morte non è certo democratica. Proprio ieri è uscito su El País un articolo sul Libro de muertos. Apuntes 1942-1988, opera postuma di Elías Canetti, un grande scrittore che dichiarò guerra alla morte.
Noi, che non abbiamo la cocciutaggine di Canetti, ci rassegnamo o fingiamo di rassegnarci pensando che dobbiamo essere altruisti, e che se non togliamo il disturbo i nuovi che arrivano non trovano posto in questo pianeta, e ci consoliamo un po' guardando i bambini, loro sì che sono proprio belli, divini e immortali.

Anna Magnani difendeva le sue rughe: io non difendo le mie, e il corpo che invecchia non mi piace affatto, e cerco di distrarmi da questi pensieri scrivendo scrivendo – cosa che facevo molto meno quando ero giovane e avevo altre belle distrazioni – ; e non mi farei tagliare da un chirurgo estetico per non spendere i soldi che non ho e perché quelli che cercano di tornare indietro nel tempo in questo modo diventano per lo più mostruosi, le operazioni riescono male perché i chirurghi non sono diventati ancora né dei né maghi, al massimo possono tirare, cucire e plastificare.

Non voglio i capelli bianchi e perciò me li tingo; ho amiche care che li portano bianchi e mi sta bene. Ma se i miei capelli fossero bianchi, io sarei più triste.

Miriam e altre hanno detto che le ragazze non seguono l'esempio delle donne della nostra generazione perché godono, senza averne coscienza, di libertà conquistate da noi: questo è normale, anche noi abbiamo goduto di libertà conquistate con sudore e sangue da generazioni che ci hanno preceduto, senza sentirci debitori/debitrici in ogni istante della nostra vita. Penso invece che forse molte ragazze non capiscano lo spirito vittoriano che si è sedimentato in tante donne della mia generazione provenienti dal movimento femminista.

Non credo che le ragazze che vogliono diventare veline siano più numerose di quanto fossero ai miei tempi quelle che avevano sogni bislacchi nella testa. Penso che ora si vedano di più, perché tutto si vede di più, e penso anche che bisogna cercare almeno in parte la fonte di queste deludenti illusioni nei disastri della scuola, che potrebbe essere un luogo potentissimo di crescita e di cambiamento e di alternativa a molte feroci melasse familiari, e non lo è, per le mille ragioni che sappiamo e anche per quelle di cui esitiamo a parlare e che non dipendono solo dalle devastazioni di cui è specialista la signora Gelmini.

Se una ragazza se ne va a spasso con vestiti ridotti, con tacchi a spillo, con aria un poco spudorata, dico dentro di me: beata lei! Non penso che sia scema, forse porta in sé una miniera di idee geniali che potranno davvero sollevare le sorti dell'umanità.

Anche il documentario ormai famosissimo, Il corpo delle donne, che è stato ripreso all'interno del servizio con Miriam Mafai, è portatore di questo pensiero unico: siamo donne, ci sentiamo offese, non siamo così, non vogliamo che questa sia la nostra immagine. Il simbolico ha la meglio sull'umano. Per quanto mi riguarda, non mi passa neppure per l'anticamenra di sentirmi offesa “come donna”, entità metafisica, mi chiedo invece chi siano le ragazze che compaiono nel filmato. Se mi occupassi di loro, cercherei di conoscerle, di capire che pensano, di percepirle come esseri umani, non come simboli. Oppure non me ne occupo perché preferisco fare altre cose. La scorpacciata di simboli, potenziata dalla scorpacciata di immagini e soprattutto dall'agonia del discorso, ci sta uccidendo. Simboli che non hanno più le sfumature, l'alone, il mistero della foresta di Baudelaire, sono generalizzazioni riduttive, formelle di fil di ferro, anzi di filo spinato su cui si schiacciano vite umane.

Certo che l'immagine dei culi appesi, timbrati come quarti di bovino è violenta. Ma la metafora violentissima del tavolo anatomico, quando si parla di puttane, è molto diffusa nel discorso quotidiano comunemente accettato da tutti o da quasi tutti, ed è implicita quando si considera un proprio simile, che si prostituisca o faccia l'avvocato, come uno straccio. La prestazione sessuale mercenaria non giustifica tale violenza, uno o una, se va con persone maggiorenni e consenzienti, non ammazza e non danneggia nessuno vendendo il proprio corpo. Le ragazze che si sono lasciate appendere così, certo, fanno veramente pena, come altre che non sono state appese e che pure devono sopportare nel lavoro, nella vita sociale ecc., non sguardi di ammirazione (in questi non riesco proprio a trovarci niente di male!), ma sguardi da anatomopatologi dilettanti giudicanti: se uno volesse parlare di queste ragazze che sono state appese come bovini, dovrebbe farlo parlando con loro, non paternalisticamente, ma con curiosità, in modo che il discorso si sviluppi, si faccia racconto. Il racconto riscatta, valorizza, suscita emozioni vere, stabilisce legami. Se si guarda e si commenta, ma non si ha discorso articolato, si fa tautologia, una delle infinite tautologie fulminanti del pensiero dominante e unico: si lamenta alla televisione la pedofilia, e contemporaneamente si vedono sfumati, dalla cintola in giù, corpi di bambinetti che corrono.

E io farei amicizia con una che fa la puttana, una persona con cui sia piacevole prendere il caffè insieme, mangiare insieme, fare vacanze insieme, e contarcela su, su uomini e figli. Sogno romantico e scadente? Forse. Di sicuro non farei amicizia con un nonno che tiene nel sul giardino un pitbull.

Solo dopo aver parlato del convegno di Cadice, proverò a tirare qualche provvisoria conclusione. Si tratta della II Jornada andaluza de debate sobre Prostitución indetto dall'Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía. Si è tenuto nella facoltà di lettere dell'Università di Cadice qualche settimana fa.
Ne parlerò fra qualche giorno.
(1 continua)

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