Qualche riflessione di una persona che forse,
per età e per essere fuori contesto, dovrebbe starsi zitta. Ma che zitta non sa
stare.
Mi pare che ci siano dei tratti comuni – parlo
ovviamente della sinistra delle diverse gradazioni - fra il giudizio su Fidel
Castro, le reticenze sui crimini di Assad e Putin ecc.. Non penso che Castro sia stato uno dei
tanti dittatori, che si possa assimilare agli Assad, ai Putin, ai feroci
dittatori dell’oggi.
I tratti comuni non sono – credo – NELLA
“NATURA” DI QUESTE DITTATURE, PER ORIGINE, SVILUPPI, STORIA, ASSAI DIVERSE FRA
LORO; I TRATTI COMUNI SONO NELLA TESTA DI MOLTI TRA QUELLI CHE LE GIUDICANO E
LE GIUSTIFICANO O LE CONDANNANO.
Per lungo tempo a sinistra si è pensato che una
certa dose di violenza per instaurare
governi e stati che realizzassero la giustizia e l’eguaglianza fosse
indispensabile: una volta sconfitta la reazione della borghesia e dei
privilegiati, si sarebbe andati verso una società sempre meno conflittuale e
coercitiva. C’era chi parlava persino di estinzione dello stato.
A distanza di tempo, ci si accorge che le cose non sono andate proprio così. Rivoluzioni, come quella di Cuba o prima quella sovietica o quella cinese o…, nate DA CONDIZIONI DURISSIME DI SFRUTTAMENTO, DI OPPRESSIONE, DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI, DI GUERRA, hanno conseguito una maggiore ridistribuzione, forme di stato sociale, però si sono poi cristallizzate nel dominio di “borghesie rosse” sul resto della popolazione, e in repressioni senza fine del dissenso. Con questo, la repressione esercitata, poniamo, da Castro sui dissenzienti non è uguale e forse neppure simile a quella esercitata nel tempo dagli Asad: e non si può far finta che queste differenze non esistano. Penso che si dovrebbe differenziare molto l’analisi in relazione ai diversi territori/paesi. Però ci sono anche tratti comuni.
Se penso a quanto è avvenuto, per es., nell’Est europeo, persino nell’ex Jugoslavia che pareva più libera e positiva (penso a Milosevic o a Tujiman, membri entrambi del Partito comunista che poi hanno capeggiato i rispettivi tremendi nazionalismi; certo, poi l’Occidende e persino il papa ci hanno messo del loro a distruggere la Jugoslavia), a Cuba e altrove: non so in che proporzioni siano stati i “benefici” rispetto alle situazioni di partenza e non so neppure, ovviamente, quale bilancio si possa trarre a distanza rispetto a questi regimi. Non lo so, forse nessuno lo sa in assoluto.
L’idea abbastanza alla Rousseau (in sintesi un poco grossolana: la natura umana è buona, è l’organizzazione sociale ingiusta l’ha resa cattiva) portava in tempi passati, un secolo fa, a pensare che regimi solo temporaneamente violenti nati da rivoluzioni si sarebbero estinti e avrebbero lasciato il posto a società giuste e pacifiche. Ma questa idea si è rivelata una delle grandi illusioni umane. Anche carica di eccidi e genocidi e stragi.
E quest’illusione cristallizzata, oltre che l’ereditá di un mondo bipolare, che comunque ha garantito all’Occidente una relativa pace, ha portato e porta molti ad assimilare regimi nati in contesti profondamente diversi. Per esempio, Russia Sovietica delle origini con regimi mediorientali, del cosiddetto “socialismo arabo”, ferocemente repressivi dall’inizio e per decenni e che spesso si sono costruiti dalle origini intorno a clan di interessi, a clientele, persino a famiglie.
Oggi, comunque si giudichino esperienze come quelle europee, cinese, cubana – personalmente ritengo legittimi giudizi carichi di sfumature e pure di incertezze – BISOGNEREBBE DECIDERSI A CAMBIARE I PROPRI PARAMETRI DI INTERPRETAZIONE E DI GIUDIZIO , perché ci si trova in un mondo che si è profondamente e tumultuosamente trasformato. Pare che la difficoltà enorme di muoversi nel pianeta, e non più solo negli stati nazionali, spinga a rifugiarsi nella memoria mitizzata e irrigidita, in un passato quasi pietrificato. Persino nella nostalgia per un “antimperialismo sovietico” capeggiato niente di meno che da un Putin. O financo in un’epopea o controepopea nazionale e persino nella idea stantia di “patria”: rispolverata da una parte della sinistra non solo italiana (es, Renzi che fa togliere nelle registrazioni dei suoi discorsi ufficiali, la bandiera europea, sostituita da un dispiegamento di bandiere italiana; o Pablo Iglesias che parla senza vergogna di “patria” a proposito della Spagna). E al tempo stesso si serrano ben stretti gli occhi di fronte a un’Aleppo rasa al suolo dal suo stesso presidente.
Con i mezzi di comunicazione che ci sono oggi, possiamo osservare un genocidio in diretta, ma moltissimi, anche a sinistra, non lo vedono. Forse perché, imbozzolati in un mito di difesa estrema da un male metafisico che non capiscono, si tappano occhi ed orecchie? O perché, nonostante i bei discorsi sui rifugiati (purché restino rifugiati, in condizioni di estremo bisogno), considerano il mondo arabo e islamico come barbaro e non maturo per il godimento di diritti umani? (Condividendo quindi, sotto traccia, posizioni dell’estrema destra europea?).
A distanza di tempo, ci si accorge che le cose non sono andate proprio così. Rivoluzioni, come quella di Cuba o prima quella sovietica o quella cinese o…, nate DA CONDIZIONI DURISSIME DI SFRUTTAMENTO, DI OPPRESSIONE, DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI, DI GUERRA, hanno conseguito una maggiore ridistribuzione, forme di stato sociale, però si sono poi cristallizzate nel dominio di “borghesie rosse” sul resto della popolazione, e in repressioni senza fine del dissenso. Con questo, la repressione esercitata, poniamo, da Castro sui dissenzienti non è uguale e forse neppure simile a quella esercitata nel tempo dagli Asad: e non si può far finta che queste differenze non esistano. Penso che si dovrebbe differenziare molto l’analisi in relazione ai diversi territori/paesi. Però ci sono anche tratti comuni.
Se penso a quanto è avvenuto, per es., nell’Est europeo, persino nell’ex Jugoslavia che pareva più libera e positiva (penso a Milosevic o a Tujiman, membri entrambi del Partito comunista che poi hanno capeggiato i rispettivi tremendi nazionalismi; certo, poi l’Occidende e persino il papa ci hanno messo del loro a distruggere la Jugoslavia), a Cuba e altrove: non so in che proporzioni siano stati i “benefici” rispetto alle situazioni di partenza e non so neppure, ovviamente, quale bilancio si possa trarre a distanza rispetto a questi regimi. Non lo so, forse nessuno lo sa in assoluto.
L’idea abbastanza alla Rousseau (in sintesi un poco grossolana: la natura umana è buona, è l’organizzazione sociale ingiusta l’ha resa cattiva) portava in tempi passati, un secolo fa, a pensare che regimi solo temporaneamente violenti nati da rivoluzioni si sarebbero estinti e avrebbero lasciato il posto a società giuste e pacifiche. Ma questa idea si è rivelata una delle grandi illusioni umane. Anche carica di eccidi e genocidi e stragi.
E quest’illusione cristallizzata, oltre che l’ereditá di un mondo bipolare, che comunque ha garantito all’Occidente una relativa pace, ha portato e porta molti ad assimilare regimi nati in contesti profondamente diversi. Per esempio, Russia Sovietica delle origini con regimi mediorientali, del cosiddetto “socialismo arabo”, ferocemente repressivi dall’inizio e per decenni e che spesso si sono costruiti dalle origini intorno a clan di interessi, a clientele, persino a famiglie.
Oggi, comunque si giudichino esperienze come quelle europee, cinese, cubana – personalmente ritengo legittimi giudizi carichi di sfumature e pure di incertezze – BISOGNEREBBE DECIDERSI A CAMBIARE I PROPRI PARAMETRI DI INTERPRETAZIONE E DI GIUDIZIO , perché ci si trova in un mondo che si è profondamente e tumultuosamente trasformato. Pare che la difficoltà enorme di muoversi nel pianeta, e non più solo negli stati nazionali, spinga a rifugiarsi nella memoria mitizzata e irrigidita, in un passato quasi pietrificato. Persino nella nostalgia per un “antimperialismo sovietico” capeggiato niente di meno che da un Putin. O financo in un’epopea o controepopea nazionale e persino nella idea stantia di “patria”: rispolverata da una parte della sinistra non solo italiana (es, Renzi che fa togliere nelle registrazioni dei suoi discorsi ufficiali, la bandiera europea, sostituita da un dispiegamento di bandiere italiana; o Pablo Iglesias che parla senza vergogna di “patria” a proposito della Spagna). E al tempo stesso si serrano ben stretti gli occhi di fronte a un’Aleppo rasa al suolo dal suo stesso presidente.
Con i mezzi di comunicazione che ci sono oggi, possiamo osservare un genocidio in diretta, ma moltissimi, anche a sinistra, non lo vedono. Forse perché, imbozzolati in un mito di difesa estrema da un male metafisico che non capiscono, si tappano occhi ed orecchie? O perché, nonostante i bei discorsi sui rifugiati (purché restino rifugiati, in condizioni di estremo bisogno), considerano il mondo arabo e islamico come barbaro e non maturo per il godimento di diritti umani? (Condividendo quindi, sotto traccia, posizioni dell’estrema destra europea?).
Questo impoverimento difensivo e ossificato ha
portato anche la sinistra a far politica con modalità “monografiche”: per un periodo
lungo, nei discorsi, sulle reti sociali, che comunque offrirebbero opportunità
molto ampie, in parte sulla stampa, si dibatte di un argomento principe – in
Italia, ora, del referendum costituzionale –, e tutti gli altri temi restano in
secondo piano o sono addirittura assenti. Penso, per esempio, al tema della
scuola quando è stata messa in atto la “buona scuola” di Renzi-Giannini. Non
demonizzo Renzi, ma è un poco difficile considerarlo proprio di sinistra. Tutti
i “sinistri”, anche i sindacati, si sono schierati contro questa “cattiva
scuola”, ma senza un progetto generale che non fosse un semplice – e
impossibile - ritorno al passato. Poi, il discorso, di per sé debole perché
povero, abbandonato del tutto.
Infine: mentre si mitizza la memoria di fatti
relativamente lontani, intorno a cui si formano raggruppamenti che sostengono
slogan contrapposti, rispetto alla memoria più recente – mi riferisco, per
esempio, al terrorismo italiano, europeo, a quello spagnolo, a partire dalla
seconda metà degli anni settanta, ma non solo a questo – silenzio di tomba. E
ugualmente silenzio di tomba sulle vicende delle sinistre da quel periodo in
poi. Magari qualche foto-santino di Berlinguer, di cui peraltro si ignora o si
finge di non conoscere lo strappo dall’Urss e altri aspetti del suo pensiero;
ma nessun ragionamento, una specie di fossa che si cerca di attraversare con un
salto per ritrovarsi insieme al di là. Eppure, penso, sarebbe interesse della
sinistra prendere in esame la propria storia, i propri successi ed erroti, più
ancora degli errori degli avversari. Si preferisce ripetere mille e mille volte
gli stessi slogan sulla destra liberale, sui tradimenti della socialdemocrazia
ecc. In questa zona buia, tenuta forse di proposito al buio, è maturata la
metamorfosi di una buona parte della classe operaia italiana di un tempo,
convertitasi dal comunismo al leghismo identitario.
Altro esempio: sicuramente la configurazione delle classi sociali è immensamente e rapidamente mutata negli ultimi decenni. Però non ci si occupa di conoscere di più, di analizzare, di disaggregare, di capire il mondo immenso del precariato e del lavoro autonomo: si continua a parlare di classe operaia, di lotta di classe (che nella mente di chi ne parla è diventata lotta dei poveri contro i ricchi) come se le grandi fabbriche con la grande classe operaia di marxiana memoria fossero ancora là.
Terzo esempio: la “buona scuola” di Renzi, che personalmente non considero buona, è passata nonostante le proteste di insegnanti e studenti. Negli anni precedenti la scuola italiana è stata gravemente colpita soprattutto dalle destre al potere. Però, la corporativizzazione degli insegnanti a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso non ha nessuna responsabilità in questo? Non ha introdotto elementi di grande debolezza nella scuola italiana? E, andando a tempi vicini: non è stato (metaforicamente) fucilato dalla categoria il ministro Luigi Berlinguer che aveva proposto una forma di valutazione degli insegnanti non autoritaria, volontaria, ma al tempo stesso necessaria? E il boicottaggio dei test invalsi e il rifiuto da parte degli insegnanti di qualsiasi valutazione del proprio operato è progressista? E chi si è occupato, più di recente, della mostruosa “patologizzazione” dei bambini introdotta con il BES (Bisogni Educativi Speciali)? Chi ha ragionato su questo strumento, promosso dal ministero (prima che arrivasse Renzi) come mezzo di recupero e che invece reintroduce una selezione ancora più tremenda di quella antica, di prima della riforma della scuola media unica? Credo che su queste debolezze, anzi voragini della categoria e della sinistra, abbiano marciato le indegne ministre dei governi Berlusconi e infine Renzi con la sua “buona scuola”. Se le istituzioni si fanno autoreferenziali, diventano fragilissime, di carta.
Altro esempio: sicuramente la configurazione delle classi sociali è immensamente e rapidamente mutata negli ultimi decenni. Però non ci si occupa di conoscere di più, di analizzare, di disaggregare, di capire il mondo immenso del precariato e del lavoro autonomo: si continua a parlare di classe operaia, di lotta di classe (che nella mente di chi ne parla è diventata lotta dei poveri contro i ricchi) come se le grandi fabbriche con la grande classe operaia di marxiana memoria fossero ancora là.
Terzo esempio: la “buona scuola” di Renzi, che personalmente non considero buona, è passata nonostante le proteste di insegnanti e studenti. Negli anni precedenti la scuola italiana è stata gravemente colpita soprattutto dalle destre al potere. Però, la corporativizzazione degli insegnanti a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso non ha nessuna responsabilità in questo? Non ha introdotto elementi di grande debolezza nella scuola italiana? E, andando a tempi vicini: non è stato (metaforicamente) fucilato dalla categoria il ministro Luigi Berlinguer che aveva proposto una forma di valutazione degli insegnanti non autoritaria, volontaria, ma al tempo stesso necessaria? E il boicottaggio dei test invalsi e il rifiuto da parte degli insegnanti di qualsiasi valutazione del proprio operato è progressista? E chi si è occupato, più di recente, della mostruosa “patologizzazione” dei bambini introdotta con il BES (Bisogni Educativi Speciali)? Chi ha ragionato su questo strumento, promosso dal ministero (prima che arrivasse Renzi) come mezzo di recupero e che invece reintroduce una selezione ancora più tremenda di quella antica, di prima della riforma della scuola media unica? Credo che su queste debolezze, anzi voragini della categoria e della sinistra, abbiano marciato le indegne ministre dei governi Berlusconi e infine Renzi con la sua “buona scuola”. Se le istituzioni si fanno autoreferenziali, diventano fragilissime, di carta.
Sul naufragio dell’internazionalismo di antica
memoria ho già detto: si nutrì in tempi lontani di ammirazione romantica verso
lotte remote, quando lo stato nazionale era il luogo di vita e l’oggetto di
riflessione. Oggi si tratterebbe si misurarsi e misurare la propria solidarietà
con situazioni durissime, reali, non romantiche, piene di morti e di sangue che
si può vedere, certamente cariche di contraddizioni… e si fugge.
Le ragioni per cui mi sento più socialdemocratica,
criticamente socialdemocratica, che “sinistra-sinistra” stanno in questo: la
socialdemocrazia ha garantito nel tempo e in molti paesi diritti sociali estesi
– non l’uguaglianza – e pure tutele democratiche, imperfette, ma reali e durature,
anche se oggi c’è chi con demagogia vittimistica lo nega. Ha fatto errori,
soprattutto di recente. Penso, fra l’altro, al Pd che ha seguito tutti i voleri
di Renzi o alla lotta sleale che è in corso in Spagna contro la linea dell’ex
segretario Pedro Sánchez; o all’inserimento nella Costituzione spagnola dell’obbligo
alla stabilità di bilancio, a prescindere. Sono solo due esempi, tra i tanti
che si potrebbero portare. Per me ha però molta importanza il fatto che le
conquiste – e gli errori – delle socialdemocrazie si siano verificati senza
stragi, genocidi, pulizie etniche, ricorso continuo alla tortura e alla
coercizione. Non sono più in grado di fare politica attiva, ma idealmente sostengo
forme politiche che si propongano progressi sociali nel tempo e non siano rigide, ma abbastanza
duttili, modificabili, in grado di raccogliere nuovi bisogni, nuove idee,
IMPERFETTE (odio le pretese di perfezione, sono l’anticamera dell’oppressione):
pur se alcuni rimproveri che ho mosso alla sinistra “radicale” – per esempio
una profonda incertezza sui temi della politica internazionale – potrebbero estendersi
a una parte delle socialdemocrazie europee. A conclusione di questo discorso, quasi sicuramente inutile e vano, propongo un articolo su un aspetto sconosciuto dell’oppressione tremenda esercitata da Bashar al Asad sul suo popolo.
SIRIA: Alois Brunner, il volenteroso carnefice degli Assad
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