"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

sabato 7 luglio 2018

PERCHÉ (PENSO IO) CHE TANTI COMUNISTI ITALIANI SIANO DIVENTATI LEGHISTI

Sono cinque anni che per stanchezza ho lasciato andare al diavolo il mio blog, che è ora molto disordinato: ho staccato cose che mi servivano senza riaggiustare l'indice. Avevo in mente di abbandonarlo, ma è da un po' che, per dirla con il "compagno" Renzi, gufo, rosico, rimugino idee, magari sbagliate, ma che ho voglia di comunicare. Ormai penso che nessuno leggerà più. Comunque ci tento. Non posso scrivere una riflessione così lunga su Facebook. E allora provo a riutilizzare la vecchia carretta-blog. E comincia la riflessione.
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Certe volte in Spagna mi chiedono: "Ma come mai un grande Partito Comunista come il vostro ora in gran parte ora è passato alla Lega? Come ha potuto avvenire?"
Ho risposto sempre: "Non lo sappiamo neppure noi italiani".

Ci ho pensato molto, e ora avanzo due motivi (ipotetici): non ho il potere, naturalmente, di verificarne io la fondatezza.

Primo motivo. Comincio con Altiero Spinelli, che mise in luce il male del corporativismo. Dichiarò che c'era uno strettissimo legame tra il corporativismo e il nazionalismo aggressivo. E sottolineò che il corporativismo poteva trovarsi anche nella classe operaia, cosa che a quel tempo suscitò un grande scandalo. C'era allora ancora l'idea che l'operaio, tutti gli operai avevano da perdere solo le proprie catene e forse ciò era plausibile a quel tempo. Oggi credo che Spinelli avesse ragione, che il suo pensiero fosse anche profetico. Mi chiedo, a questo proposito, quanto abbia potuto influire il possesso di una casa, magari pagata con lacrime e sangue, a differenziare la classe operaia al suo interno; quanto la difesa anche un poco paranoica di una casa  di proprietà abbia indotto gruppi di ex-operai, un tempo PCI, a respingere "zingari" e tutti quelli che potessero costituire una presunta minaccia alla propria quiete.  Con questo, ovviamente, non intendo affatto dire che gli operai avrebbero dovuto rinunziare a una casa propria. Quali differenziazioni all'interno della categoria abbiano portato con il passare del tempo il ricoprire cariche sindacali e tanti altri fattori legati in buona parte a un tempo in cui il miglioramento delle condizioni di vita iniziali era possibile per molti. Anche una frattura generazionale, dentro e fuori il luogo di lavoro, una familiarità stretta o inesistente, buona o cattiva con le nuove tecnologie, la crisi profonda della scuola, in cui, a partire dagli anni ottanta, è cresciuto il corporativismo degli insegnanti, hanno avuto una declinazione particolare nel contesto italiano... tutto questo, forse, ha spaccato la tradizionale classe operaia e pure i comunisti italiani e hanno stravolto molti di essi. Forse questo - non lo so - si è verificato anche in altri paesi occidentali dell'UE (degli orientali non mi azzardo neppure a parlare); forse, anzi sicuramente, ci sono stati anche fattori esterni. Ma voglio concentrare la mia attenzione su certe questioni soprattutto italiane.


Un secondo motivo che percepisco. In un certo senso il PCI è stato un grande  partito promotore di democrazia e diritti, con legami con l'URSS, ma per il contesto in cui ha operato nei decenni del secondo dopoguerra, di fatto molto più riformista che ortodossamente comunista in senso leninista o anche stalinista, e, per certi aspetti, anche per la sua eccezionalità, chiuso nel contesto italiano, legato strettamente a tale contesto. Ricordo quando Rossana Rossanda e altri parlavano/parlavamo con orgoglio della "specificità italiana" e del Partito comunista più grande dell'Europa occidentale. Il Pci fu capace, in effetti, pur non stando al governo, di esercitare in molti campi una vera egemonia in Italia: a cominciare da quello culturale CHE ALLORA ERA ANCHE POLITICO (poi la "cultura", l'"arte" paiono aver divorziato dalla società e quasi tutti sono diventati "crociani", ma in modo massificato e volgare); il Poi era ovviamente egemone anche nell'ambito enorme dei diritti e della difesa del lavoro e di tutte le manifestazioni "artistiche" legate a questo immenso mondo. Ricordo le collane Einaudi che in tutti gli ambiti sancirono questa egemonia del Pci e oggi sono in mano a chi sappiamo. Guardando retrospettivamente, ci si rende conto del fatto che, anche nel suo impegno di difesa e allargamento della "democrazia borghese", era un partito tipicamente italiano (anche in senso positivo) e strettamente legato all'Italia. 
Non c'erano partiti comunisti dell'Europa Occidentale che avessero la stessa importanza e il rapporto con l'Urss non impediva affatto di svolgere un compito progressista nazionale, specificamente nazionale. Questa eccezionalità forse a lungo andare favorì la chiusura,

Può essere utile un confronto con la "sorella" Spagna: questo paese ha avuto sempre un allargamento reale, culturale e ideale alle ex colonie del Sudamerica: vivendo in Spagna si è sentita e si sente anche oggi l'unità culturale fra il paese europeo e il continente sud-americano, anche con il solo gesto di aprire un quotidiano: in prima pagina spesso compaiono con lo stesso rilievo notizie della Spagna e di paesi sudamericani. 
Inoltre la Spagna, anche per le disgraziate vicende della guerra civile e del periodo franchista, ha di fatto semi-aperto le porta al Marocco: la rivolta franchista alla Repubblica spagnola partì dal Marocco e Franco fu aiutato da truppe marocchine, a cui, fra l'altro, permise di fare scempio delle donne repubblicane. E successivamente fu abbastanza "liberale" con questa colonia, al punto che nell'ex-Marocco spagnolo molti hanno purtroppo della dittatura franchista un ottimo ricordo.
Questo ovviamente creò una diffidenza da parte dei democratici e della sinistra spagnola. Ma in tempo di democrazia, il passato, pur ricordato e vissuto, non impedì una successiva apertura, anche culturale, nei confronti delle persone al di là dello Stretta (anche Ceuta e Melilla, pur con le loro barriere, sono state luoghi di incontro e pure di scontro).

In Italia nulla di questo. Forse l'Italia, tra i paesi ex-colonialisti che affacciano al Mediterraneo e in genere al mare, è l'unico o quasi l'unico che non abbia lasciato nelle ex-colonie anche la propria lingua. Il feroce e demenziale colonialismo italiano, simbolo di potenza e nient'altro, in un paese arabo come la Libia, aprì i primi campi di concentramento - di fatto di sterminio. Nel Corno d'Africa fece scempio delle persone, ma distruzioni e massacri  stupidi, senza neppure un guadagno effettivo per la cosiddetta "madre patria". Mentre la Francia e l'Inghilterra, ciascuno dei due paesi con un proprio modello, si preoccupavano attraverso le scuole e una promozione culturale certo sotto controllo, di formare classi dirigenti favorevoli alla propria presenza e al proprio dominio (il che, certo, non impedì né persecuzioni né guerre per tenersi le colonie), l'Italia chiuse scuole e stampa, impedì radicalmente la produzione culturale, stroncò la nahda (
ﻧﻬﻀﺔ), la rinascita culturale araba. I ragazzi (maschi) figli di colonialisti che vivevano in Eritrea e in Somalia e in Libia, dopo la scuola di base andavano in Italia a completare gli studi. Di fatto, per quel che mi risulta da contatti con ex-colonialisti italiani, la presenza di colonie non era un "allargamento", perché per gli Italiani gli autoctoni erano considerati di una razza diversa e inferiore. Erano schiavi e basta. Non c'erano scambi.

Perciò, una volta costretti ad andarsene, i colonialisti italiani ricordavano con nostalgia quelle terre "perdute", che avevano considerato di loro proprietà, ma le ricordavano solo per i paesaggi, per gli animali. Fu questi il famoso e un po' ridicolo "mal d'Africa". Quasi nessun ricordo delle persone originarie di quella terra.
Questa gestione e questo esito del colonialismo italiano, ha contribuito alla chiusura nazionale e nazionalistica, di cui ha sofferto pure gran parte della sinistra.

Il localismo italiano, nonostante le apparenze e nonostante il turismo che ti porta dove vuoi, è durato fino ad oggi. Nei decenni del dopoguerra, fino agli "anni gloriosi" ci furono, certo, contatti con l'estero: uomini politici che si recavano in Russia, in tempi più recenti in Cina, per lo più accolti in forma ufficiale. Altri, della parte avversa o diversa, che andavano negli Usa. Ma si trattava di pochi incontri con le persone, e quasi sempre, appunto, di visite che rivestivano una certa ufficialità, non permettevano una conoscenza diretta delle persone comuni che vivevano là.

Poi, certo, ci furono manifestazioni di solidarietà per il Vietnam, contro le dittature del paesi sudamericani, in favore dei palestinesi contro gli israeliani-ebrei. Ma queste storie erano rivestite di intenso valore simbolico, private, in un certo senso, della loro "fisicità" e della conoscenza approfondita della loro storia. Non si era in molti a conoscere, discutere, mangiare insieme con questi oppressi di terre lontane. Ricordo un mio viaggio in Palestina nel 1995, poco prima che fosse ammazzato Rabin. Erano vive le speranze di Oslo. Facevo parte di una comitiva di una quarantina di persone, moltissimi insegnanti, guidate da una sindacalista di rifondazione comunista. Durò una ventina di giorni. Feci una specie di inchiesta senza troppo dare a vedere che fosse un'inchiesta. Solo io e un anziano avvocato cattolico, della comitiva. avevamo letto qualche libro sulla storia della regione. E c'erano pure insegnanti di storia delle scuole superiori!

Quando l'Italia si è trovata suo malgrado in questo rapido processo di mondializzazione, era forse il paese meno preparato di tutti, sempre tra quelli dell'Occidente. La Lega fu all'inizio e tuttora è un movimento-partito, prima ancora che razzista, di difesa strenua del localismo, della tranquillità che, almeno nell'immaginario, il localismo avrebbe potuto offrire. Il pensiero localista si manifestava e si manifesta, nella propaganda (le realizzazioni sono altra cosa) soprattutto come salvaguardia di un proprio spazio, delle proprie tradizioni mitiche - e quindi della propria ignoranza - dalle "contaminazioni" esterne: dal rumore, per esempio. Quartieri-cimiteri.
Ma la lega prometteva e promette, sempre nella sua propaganda falsa e velleitaria, anche una difesa dei diritti che era stato compito della sinistra nei decenni passati. Ma ora di trattava e si tratta di  diritti tutt'altro che universali o tendenzialmente universali: diritti nello spazio proprio, programmaticamente circoscritto, nell'ambito "locale". Naturalmente gli "zingari" erano e sono peggio del diavolo, perché, per queste persone chiuse e ferme e radicate in spazi piccoli sono nomadi (anche se ciò non è vero; devono scappare quando sono sacrificati).
Però quelli che difendono con le unghie e con i denti il loro spazio, soffrono pure per propria chiusura, ma senza averne consapevolezza. Di qui il mito del viaggio, che per lo più è viaggio turistico senza occasioni effettive di conoscenza o addirittura barbarie delle crociere. E anche certe occasioni  di socializzazione "cattiva" ci dicono di questa sofferenza. Ricordo che nel febbraio 2007 ci fu un presidio a guida leghista presso il campo rom di via Triboniano, a Milano, e quando gli "assedianti" dovettero togliere le tende, ci furono lamentazioni anche nostalgiche per quello scampolo di vita sociale - feroce, contro gli "zingari" - che questi milanesi, per lo più di condizione modesta, si erano concessi durante l'"assedio".

Insomma, le intenzioni e la propaganda di lotta per i diritti sono sopravvissute, anzi a volte hanno acquisito toni aspri e assai massimalisti al punto da trasformarsi in velleità. Ma si è trattato e si tratta di rivendicazioni e promesse sempre più localiste, anche se il luogo, per opportunità politiche, si è un poco allargato: dalla Lombardia, al Nord italiano, all'Italia. La Lega ha "rubato" gran parte della lotta per i diritti al Pci - certo, lo ripeto, più nella propaganda che nelle realizzazioni -, e ha messo questi diritti in un recinto, contro l'universalismo spesso solo teorico delle lotte dei comunisti.

Mi sono sempre stupita - ora non mi stupisco più - della chiusura di antichi compagni che oggi forse si sentono più a sinistra di me, a una reale conoscenza di situazioni internazionali. Se vuoi metterli a tacere, in una discussione sulle reti sociali, chiedi loro quali sono le loro fonti di informazione o proponi tu una paio di fonti tue. Certo, sono indignati perché la Lega ha impedito di accogliere i profughi della nave Aquarius. Ma poi spuntano anche "a sinistra" frasi come: "La Francia non CI PUÒ dare lezioni". Quindi un vecchio concetto di superiorità/inferiorità della "patria" vecchio stile, che nulla ha a che fare con il "nazional-popolare" di Gramsci.

Conseguenza del rifiuto di approfondire e pure di "vivere" ciò che avviene in altri luoghi della terra, e in particolare in Siria, "patria" del "socialismo arabo" è questa sbornia collettiva per Putin, e, un po' più sottaciuta perché un po' di vergogna non si può non provare ormai a nominarlo, per Assad.  Mi fa molta impressione che persone che furono con me, dal 1969, ne Il Manifesto, che, pur commettendo errori, dichiarò e spiegò alcune cose molto interessanti e innovatrici - tra queste la critica radicale ai socialismi reali d'Europa e alla politica del Patto di Varsavia - oggi restino profondamente putiniani: dalla parte di un dittatore che all'interno  favorisce le mafie e ammazza i giornalisti che lo criticano e gli oppositori, e all'esterni fa terra bruciata, radendo al suolo città e insieme abitanti - nelle zone in cui interviene. E Putin non è neppure l'Unione Sovietica, ma un misto di mafia, di ferocia e di connubio con la parte peggiore della chiesa ortodossa. Ma questi  miei amici, non riuscendo a prospettarsi un difficile futuro, corrono indietro a cercare un passato mitizzato, diventato religione.

Altra cosa che stupisce è la totale assenza, nelle critiche giuste o non giuste all'Europa, l'assenza radicale di considerazione dei vantaggi che l'imperfettissima UE ha pur portato, e specificamente ai giovani: giovani che vanno in altri paesi per studiare o lavorare. Totale silenzio sugli eramsus a cui hanno partecipato moltissimi ragazzi. Io a vent'anni conoscevo il latino, ma solo qualche elemento di una lingua straniera. Oggi questi che vivono tra diversi paesi europei parlano facilmente una, due, tre lingue, oltre quella madre.
Insomma, quel che voglio dire è che il leghiamo, come ha riconosciuto giustamente oggi Martina, è diventato abbastanza egemone "culturalmente", anche tra persone che avversano con lealtà e nettezza la Lega. Perché il localismo è diventato egemone. Perché anche la sinistra meglio intenzionata lotta per ricevere i profughi, per aprire le porta, ma non arriva quasi mai a chiedersi chi siano quei profughi, da quali storie vengano: meno che mai i profughi siriani, la cui tragedia è inevitabilmente legata ai massacri di Putin e di Assad.

Penso che finiremo male, molto male, se non si supererà questa visione piccina, localista e spesso ancora nazionalista. E a questo può aiutarci molto limitatamente il nostro passato. Necessario, anche se si è ormai vecchi, pensare al futuro, magari facendosi aiutare da quei giovani che parlano due, tre, quattro lingue.

Con queste considerazioni non presumo di aver spiegato esaustivamente perché molti comunisti sono diventati leghisti. Certo, poi c'è la situazione europea, poi c'è la discutibilissima gestione del Pd ecc.ecc.ecc.. Ma di questo si è parlato e si continua a parlare. Questo mio scritto è intrecciato alla mia esperienza personale e perciò vorrebbe essere l'inizio di una riflessione su qualche tema diverso, non una conclusione che abbraccia e spiega tutto con pretese di oggettività.

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