"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

venerdì 13 marzo 2015

IDEE CONSERVATRICI (?) PER LA SCUOLA

Mah, al solito farò la parte, che mi tocca tante volte, della conservatrice.

Allora, enuncio alcune mie convinzioni rispetto alla scuola e a una mentalità che si è diffusa in questi decenni.

1.      La scuola di tutti è una neonata: dopo millenni in cui l’uso del simbolo è stato quasi dovunque di pochissimi, da qualche decennio, con tutte le contraddizioni del caso, si pensa che debba diventare patrimonio e strumento di tutti. Le persone – insegnanti, istituzioni, mentalità generale – non riescono ancora a cogliere la novità rivoluzionaria di questa situazione e quindi la necessità di studiare, ricercare, impegnare una parte consistente della propria vita per fare una scuola di tanti, di tutti, che sia al tempo stesso di alto livello. Penso che un percorso verso quest’obiettivo si possa costruire e praticare.
2.      È un errore separare la pedagogia dalla conoscenza, il metodo dai contenuti. Anche per un bambino di tre anni l’acquisizione di conoscenze significative è ragione di felicità e ha un effetto terapeutico, preventivo e pure curativo. L’insegnante deve innanzi tutto conoscere bene quel che insegna, e insieme imparare trasmettere le conoscenze (“trasmettere”, esattamente: è illusorio pensare che ogni bambino, ogni individuo possa rifare la storia della conoscenza umana). Una buona e interessante trasmissione di conoscenze facilita una socializzazione positiva e permette lo sviluppo della cosiddetta “creatività” degli alunni, nei diversi ambiti. E non c'è niente di più socializzante, di più altruista, che una vera conoscenza acquisita con rigore e passione.
3.    
 
La scuola, se vuole essere stimolante per tutti, deve assomigliare a un cibo un  poco piccante, non una pappa insapore o troppo dolce. Perciò la scuola deve portare dentro di sé, come valore, la conoscenza e la gestione non violenta, ma vivace, del conflitto, la capacità di discutere, di prendere le distanze, di criticare. La libertà di espressione non è in contrasto con la buona educazione.
4.      Gli insegnanti non dovrebbero piangersi addosso: se lo fanno, danno un cattivo esempio agli studenti, incoraggiandoli a essere piagnoni, pigri e incapaci di assumere le loro responsabilità.
5.      Tra insegnanti e studenti c’è una differenza generazionale e di conoscenza. Gli insegnanti sono tenuti a dimostrare ogni giorno, ogni istante, che questa differenza esiste. Quando uno studente dimostra l'errore di un insegnante, deve ricevere un premio.

6.      Qualche bocciatura, soprattutto nella scuola superiore, è ancora quasi inevitabile. Ma la selezione è da considerarsi un fallimento, non uno strumento dell’insegnamento, è ciò è tanto più vero quanto più giovane è l’allievo. Esistono forme di selezione che sono molto più malefiche di quelle evidenti: consistono nel giudicare il bambino/ragazzo come un incapace o un disturbato. Ed è vergognoso pertanto il Bes, il deposito di bambini e ragazzi “iperattivi”, “con deficit di attenzione”, oltre che gli innumerevoli dislessici, cresciuti di numero, in questi anni, in modo impressionante. Meglio arrabbiarsi molto con un alunno che far  passare questo messaggio.

7.      La scuola è un ambito separato dalla famiglia e deve mantenere una sua autonomia marcata da un'autorevolezza e un prestigio conquistati giorno dopo giorno sul campo;  pur non rifiutando l’interlocuzione con la famiglia. Il conflitto fra gli insegnanti e le famiglie dipendono in larga misura dalla perdita di autorevolezza, di prestigio della scuola. Inoltre i genitori (purtroppo?) non sono una "categoria" con proprie "regole" professionali, gli insegnanti sì.


8.      Gli insegnanti, non le scuole, dovrebbero essere valutati e messi in competizione fra loro: ci possono essere forme non gerarchiche di valutazione e che consentano a chi si impegna e si appassiona e conosce sempre più di mettere in evidenza e comunicare competenze, risultati, idee. Per esempio, perché non studiare una forma di dottorato per professori e maestri che abbiano qualcosa da dire?


Di tutte queste cose la "riforma" Renzi-Giannini non si occupa affatto o se ne occupa molto male. Un pragmatismo di bassissimo livello non salverà certamente la scuola italiana, e neppure il paese.

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