"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

*************************
Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

giovedì 5 dicembre 2013

CONTRORIFORME DELLA SCUOLA IN ITALIA E IN SPAGNA

Due  controriforme uguali e diverse
C’è una comune ispirazione nella destra italiana e in quella spagnola in materia di scuola e formazione.
Il Partido Popular spagnolo è però più drammaticamente serio della destra italiana e perciò la sua riforma della scuola, la LOMCE (Ley Orgánica para la Mejora de la Calidad Educativa), che è passata  nel Congresso in questi giorni, con i voti del solo PP, è organicamente dura, conservatrice, scritta sicuramente in un buon castigliano, a differenza della serie di colpi inferti al sistema scolastico italiano dalle due ministre donne dell’indegna, buffonesca e caotica destra italiana, Letizia Moratti e Maristella Gelmini, che hanno il merito di dimostrare la falsità dell’idea che le donne sono più buone e miti e intelligenti dei maschi: l’ineffabile Maristella osa ancora fare dichiarazioni pubbliche dopo tutti gli spropositi che ha infilato in una lunghissima grottesca collana negli anni in cui ha ricoperto  immeritatissimamente l’incarico a ministra dell’istruzione.

Pare che la successione logica delle cose si sia invertita: prima sono nate le caricature (provvedimenti reazionari e a pezzi di Letizia e della Maristella ignorantissima) e, dopo qualche anno, la LOMCE spagnola, a opera del serioso ministro José Ignacio Wert.
Mi interessa mettere in luce alcune analogie fra le due controriforme della scuola – quella spagnola, organicissima,  e quella italiana fatta di bastonate disordinate –;  e accennare anche a responsabilità che hanno avuto gli insegnanti, e pure i democratici e progressisti, nell’indebolire la scuola pubblica e facilitare questi martellamenti.

In Italia e in Spagna il punto di attacco delle destre è stata la scarsa efficienza della scuola e il cavallo di battaglia o, se si preferisce, l’ariete contro la scuola pubblica, la relazione sulle competenze degli studenti attestate dal rapporto/informe Pisa (quello del 2003, aggiornato al 2012: le conclusioni dell’ultimo sono in questi giorni sui giornali[i]). Hanno detto le destre: “Spendiamo per la scuola, però il rendimento è basso. Spendiamo meno, tiriamo le redini di quegli asini di insegnanti, facciamoli lavorare di più, esaminiamo di più, separiamo i ragazzi bravi da quelli che non riescono, riportiamo la severità nelle aule, e anche un po’ d’austerità”.

Partendo da questo nucleo abbastanza comune di premesse, le due destre hanno allargato la controriforma fino a compiacere il Vaticano e i vescovi e a dare un bel paio di schiaffoni alla laicità e alla scuola pubblica. Come se le scuole private dei due paesi – e mi riferisco in principal modo all’Italia, dove la scuola statale ha le sue basi negli ultimi decenni del secolo XIX, in un clima liberale e laico e la scuola privata è in gran parte costituita da diplomifici – fossero splendide nei loro percorsi e esiti.
In Italia sono stati molti i favori fatti al Vaticano in nome di chissà quale efficienza: fra questi, i più scandalosi, il passaggio in ruolo degli insegnanti di religione, che, com’è noto, sono nominati dai vescovi e non hanno avuto accesso alla professione tramite concorsi e titoli accademici di valore; mentre gli altri insegnanti, con titoli, abilitazioni, concorsi fatti, stavano a guardare, tagliati fuori dal lavoro e dalla vita. E la ineffabile Gelmini ha introdotto il voto di religione che fa media, favorendo gli studenti che scelgono l’insegnamento della religione cattolica. E tanti altri favori alle scuole cattoliche, assecondati e ampliati dal corrotto presidente della regione Lombardia, Formigoni. E l’auspicio del ritorno ai grembiuli! E il 5 in condotta, offerto agli insegnanti esasperati o incapaci, che facessero pure le loro vendette sugli studenti bravi, ma ribelli.
In Spagna, la LOMCE, oltre a disseminare la scuola di esami (per gli studenti, a partire dalla primaria!), e rafforzare i poteri dei presidi - directores -, va incontro alla volontà dei vescovi: abolizione della Educación para la Ciudadanía[ii]; in cambio, religione (naturalmente cattolica)  o, se un ragazzo (o i suoi genitori) non accetta l’indottrinamento religioso, educazione etica. Anche nella Lomce, i voti in religione e in questa cosa strana che è l’”educazione etica” fanno media per borse di studio e tutto il resto. Ancora, la possibilità per le scuole private “concertadas” [iii] di derogare alla regola delle classi miste e di poter formare classi maschili e classi femminili. E così via[iv].

Se uno riuscisse a spiegarmi quale relazione ci può essere fra i favori alla chiesa cattolica – che non ha certamente, nella storia, difeso il sapere diffuso - e la qualificazione della scuola, lo invito a una fastosissima cena.
Infine, sempre in Spagna, la LOMCE  coglie l’occasione per oppore un muro alle lingue delle comunità, in particolare al catalano, che passerà ad essere la terza lingua, dopo il castigliano e l’inglese, mentre fino a oggi era prima lingua, a cui seguivano castigliano e inglese. In realtà, per l’esperienza pur ridotta che ho di queste cose – nipotini che vanno a scuola a Barcellona in classi frequentate da bambini che arrivano da diversi continenti, conoscenze dirette e indirette in Andalusia - mi sono resa conto del fatto che non è un danno per  i bambini l’apprendimento di due lingue (a cui in molti casi si aggiunge una terza materna)  a partire dall’asilo. Anzi... E non solo per i miei nipotini. E che i ragazzi che studiano una sola lingua materna – il castigliano, cioè lo spagnolo – non per questo raggiungono una piena padronanza linguistica. Neppure quando si trovano a livello universitario. Però su questo argomento sarebbe auspicabile che si facessero ricerche serie.

Personalmente interpreto questa decisione del Partido Popular e del ministro Wert come una provocazione nei confronti degli autonomisti di Catalogna, che mantengono viva memoria della repressione franchista.  Non condivido le spinte al distacco di molti catalani dalla Spagna, e neppure i nazionalismi e i particolarismi, però penso che un rispetto delle autonomie, come lo ha posto in atto il Psoe, sia importante per una buona convivenza, con vantaggio di tutti.
La Catalogna non è la inesistente Padania e non è neppure il Paese Basco[v]; è inoltre una terra molto inclusiva, c’è un rispetto e un’accoglienza notevoli delle persone che provengono da altre parti della Spagna e ancor più da altri paesi, anche da paesi “poveri”.

Pertanto in Spagna la controriforma scolastica del PP ha dei caratteri più organicamente  ideologici rispetto alle folli ordinanze delle due pessime ministre.

Considerazioni varie e qualche incerta proposta sulla scuola in Italia e in Spagna

La scuola è stata dunque massacrata da Moratti e Gelmini in Italia, e ora il ministro Wert tenta di fare lo stesso in Spagna.

Però considero riduttivo e fuorviante, in entrambi i paesi, che si parli solo o principalmente di tagli, come sta succedendo. Davvero, sul tema della formazione occorrerebbe un lavoro intensissimo del socialismo e della sinistra europea.

Ritornando indietro, con una sintesi davvero schematica, rilevo tratti comuni e  differenze fra i due paesi latini:
Si è costruita, in ritardo rispetto ad altri paesi europei, una scuola universale a partire da quella di base. La Spagna  l'ha realizzata dopo il 1975, nella democrazia: per tutti i bambini, oggi, la scuola materna è pressoché obbligatoria, tutti i bambini e ragazzini fino a 16 anni
non possono non andare a scuola, perché dopo due settimane di assenza li vanno a prendere e li tolgono temporaneamente ai genitori.
L'Italia ha realizzato in buona parte la scuola di base per tutti, ma con esclusioni e inadempienze: per esempio pare ci sia una forte "evasione" - e come potrebbe non essere così, viste le condizioni in cui vivono? – di bambini  sinti e rom e fors’anche di figli di immigrati o di persone marginali...
Il raggiungimento dell'inclusione universale nell'istruzione di base è stato un primo importante passo che verifiche come quella di Pisa probabilmente non mettono in luce: quando si parla di risultati alti nei paesi asiatici, a quali sistemi scolastici si fa riferimento? C’è un obbligo scolastico universale ed effettivamente rispettato?

Bisogna poi riconoscere il fatto che molti insegnanti, della mia generazione o anche più giovani, ne hanno combinate di tutte (parlo per l’Italia, per la Spagna non so). Basti pensare a come molti, nel mio paese, si sono avventati sul 5 in condotta della Gelmini, per usarlo, il che è una pessima prova delle capacità di insegnare.
Certo ci sono insegnanti bravissimi, ma scompaiono fra i tanti mediocri o di livello basso. Il vincolo corporativo blocca la ricerca “sul campo”, da parte degli stessi insegnanti, e quindi la generalizzazione di esperienze significative. Molto spesso l'insegnante preparato, con capacità di proporre soluzioni nuove ed efficaci ecc., è soffocato dalla corporazione. 

Un passo, anzi un salto che si dovrebbe fare in avanti e che persino la sinistra migliore dei due paesi non riesce neppure a pensare, è una qualificazione con ambizioni nuove e avanzate di questa scuola di massa, che – non ce lo dimentichiamo - è storicamente neonata. Non basta l'inclusione, anche se è importantissima: un merito delle forze socialiste e riformiste che non si può proprio scordare. Oggi però bisognerebbe adottare questo slogan: “SCUOLA PER TUTTI E DI ALTO LIVELLO”, almeno in via tendenziale e per quanto riguarda i dodici-tredici anni di scuola (non so se  questo possa riguardare in parte anche l’università e l’alta formazione professionale, forse sì, ma occorrerebbe un discorso specifico). Poi, nella ricerca e nell’accesso a prestigiose professioni, che ci sia una selezione veramente meritocratica.
Questo potenziamento della scuola per tutti andrebbe nell’interesse anche dei cosiddetti “ragazzi superdodati” – in genere molto accuditi dalle famiglie – che non hanno alcun interesse a diventare una minoranza di “sapientoni” in un mondo di frustrati, di arrabbiati, di persone lasciate nell’ignoranza e nell’abbandono culturale.  

Oggi ci sono due alternative per cercare di dare una risposta agli insuccessi della scuola. La prima è l’ accettazione del piano Monti, in Italia, e di quello Wert in Spagna: scuole valutate con i test di uscita degli studenti e messe in concorrenza fra loro, scuole-azienda con un rafforzamento dei poteri del capo d’istituto, selezione precoce dei bambini, canalizzazione altrettanto precoce -; oppure si pensa a qualcos'altro.
Pare, a tal proposito, che buona parte della sinistra e del movimento di protesta non riesca proprio a  rispondere con una propria controproposta  che non sia puramente difensiva, di difesa dell’esistente, di rivolta contro i tagli e l’aggravio di lavoro per gli insegnanti.
 
Personalmente sono d'accordo con la valutazione collettiva - prove invalsi per l’Italia o qualcosa del genere - il più europea possibile, ma la farei valere per confronti indicativi - non assoluti- su larga scala. Invece penso non da ora che, per il buon funzionamento, per un effettivo salto di qualità,  bisognerebbe rompere l'omertà di categoria e valorizzare davvero le risorse migliori, che ci sono.  Che la scuola, in tutti i gradi, diventi non solo un luogo in cui si trasmettono conoscenze e si formano capacità, ma anche un luogo di ricerca. C’è bisogno di valorizzare i “maestri”: sono loro che fanno la scuola, quelli che lasciano davvero una traccia positiva nella formazione e nella memoria degli studenti.
La rottura di logiche corporative e la valorizzazione di esperienze e riflessioni significative può solo in parte essere affidata a sistemi di reclutamento seri [vi] È necessario, per rompere la corporazione, e fare emergere proposte significative, che il singolo insegnante, se lo vuole, sia valorizzato. Un’idea da riprendere sarebbe un concorso che si possa fare mentre si insegna,  una specie di dottorato, di esperienza e ricerca, in cui sia documentato anche il lavoro che fa, ciò che producono i ragazzi, e poi lo studio, la ricerca personale; dovrebbero anche contare le valutazioni che gli studenti o i genitori di bambinetti danno all'insegnante, e un criterio simile andrebbe forse esteso anche all’Università[vii].  Commissioni esterne alla scuola dove si insegna. Un concorso che si possa fare una volta ogni otto- dieci anni: più spesso sarebbe insostenibile per qualunque amministrazione pubblica. In questo modo ci sarebbe un’autoselezione iniziale.
E poi la sinistra dovrebbe recuperare la capacità di proporre, pensare, pubblicare proposte: sulle discipline, sulla pedagogia, su... Un tempo, almeno in Italia, lo faceva, da decenni non sa più farlo e paga questo vuoto.

Queste cose andrebbero prese sul serio. Fino a che si protesta solo contro i tagli, gli insegnanti si piangono addosso perché i ragazzi sono maleducati e i genitori li difendono (questo succede in Italia come in Spagna[viii]) e si accetta, come sta avvenendo soprattutto nel mio paese, una sorta di “psichiatrizzazione” dei ragazzini della scuola dell’obbligo[ix], si perderà si perderá si perderà sempre. Si ritornerà indietro indietro indietro. E quest’arretramento non lo pagheranno solo i ragazzi discoli e sfaticati, lo pagheranno tutti, anche gli insegnanti, come d’altra parte sta già avvenendo in modo pesante.  Perché una scuola così si contrappone a chi non è della categoria e suscita molti odi, anche irrazionali. Nessuno che non sia addetto ai lavori alla fine la difende davvero.  E se in Italia hanno potuto fare questo massacro, e se in Spagna stanno facendolo, è anche colpa di chi sta dentro la scuola, di quelli che l'hanno indebolita e della sinistra, che non sa pensarla più.  E neppure sognarla.



[iii]La concertación con le private, in massima parte confessionali, che accettano certe regole decise dallo stato, è stata quasi obbligatoria nella Spagna della transizione: la scuola, soprattutto, ma non solo superiore, si era sviluppata in epoca franchista sotto l’egida della chiesa cattolica. Esistono in Spagna tre tipi di scuola: statale, in buona parte affidada alle Comunità; concertada, in mano soprattutto alla chiesa cattolica, ma riconosciuta dallo stato, che accetta certe regole e controlli e in cambio è inserita nel sistema pubblico, con finanziamenti ecc.; privata senza concertación, che procede secondo proprie regole, in autonomia dallo stato e dai governi delle Comunidades.
[iv] Propongo una bella sintesi in spagnolo della LOMCE, che il lettore italiano può facilmente comprendere, anche se è scritta in spagnolo: vai al link http://www.periodistadigital.com/ciencia/educacion/2013/10/10/las-8-claves-de-la-lomce-la-reforma-educativa-tambien-llamada-ley-wert.shtml
[v] Per chi voglia conoscere meglio la situazione della Catalogna, segnalo l’ebook di Angelo Attanasio e Claudia Cucchiarato,  http://www.amazon.es/La-questione-catalana-Independ%C3%A8ncia-Istantanee-ebook/dp/B00ENFWVH8. È un libro italiano per lettori italiani.
[vi] Non la pagliacciata da settimana enigmistica, discriminatoria e ridicola, messa in scena in Italia recentemente con i "test di logica", nel concorso indetto dal governo Monti: anche su questo, una sinistra spiazzata, senza idee e senza capacità di reagire sui contenuti. In parte bisogna riconoscere che certi errori sono stati compiuti in un disperato tentativo di recuperare qualcosa del tempo perduto: da più di un decennio non si facevano concorsi per la scuola e c’era – c’è ancora, non so in che dimensione – un precariato impressionante.
[vii] In Spagna, nelle Università e nelle Escuelas Oficiales de Idiomas gli studenti valutano i loro professori attraverso schede molto particolareggiate; però, per quel che ne so, queste valutazioni non influiscono poi sostanzialmente sulla vita accademica dei professori.
[viii] Alcuni genitori, in Spagna, soprattutto di bambini della primaria (che qui dura sei anni) sono giunti a picchiare gli insegnanti, cosa gravissima. Ma mi chiedo: è una cosa solo di oggi? E per prevenire questi atti orribili, ci vogliono misure di sicurezza, o non piuttosto acquisizione di autorevolezza e di prestigio da parte della scuola e degli insegnanti?
In Italia ha fatto scalpore il caso dell’insegnante aggredita verbalmente dai genitori di un alunno –  il padre, sottufficiale di polizia – dopo che lei aveva detto al ragazzo, a proposito di un compito: “Questa non è farina del tuo sacco”. Rozzi i genitori, ma gli insegnanti quando la finiranno di parlare tutti allo stesso modo, con luoghi comuni e metafore urtanti? Possono essere severissimi, ma in un modo alto, razionale e colto.
[ix] Mi dicono amici italiani che ora ci sono sigle per indicare i “disturbi” dei ragazzi, nella scuola elementare e media. Io ho insegnato per alcuni decenni nella scuola media e poi, dopo aver passato un concorso ordinario, nel triennio di un liceo. Mi pare pazzesca questa “catalogazione” dei bambini e nessuno, mi pare, ne parla. Con questo non nego affatto che in certi casi il ricorso a psicologi o anche a psichiatri sia necessario. Però questo sta diventando un abuso enorme. Mi dicono,  da una scuola media in provincia di Bergamo, che circa 3-4 alunni per classe vengono “marchiati”: il 10-15 %. Assurdo.






Nessun commento:

Posta un commento