Il re cristiano Alfonso X el Sabio è in Spagna un mito, un po’ come in Italia, specialmente in Puglia, dove sono nata, lo era l’imperatore Federico II di Svevia. Alfonso X guidò la riconquista di Cadice e di altre città dell’Andalusia; poi, fra il 1252 e il 1284, fu re di Leon e di Castiglia. Pur riconquistatore, favorì davvero l’incontro e lo scambio fra le tre culture, valorizzando la Escuela de traductores di Toledo, che esisteva già e ebbe il compito di diffondere il castigliano (l’attuale spagnolo), ma anche quello di tradurre in latino (e a volte anche in castigliano) importanti opere letterarie, scientifiche, filosofiche soprattutto arabe.
Alla corte di Alfonso X ci capitò come ambasciatore del comune di Firenze Brunetto Latini, maestro di Dante, che, come si sa, dopo che morì, fu cacciato dall’illustre allievo nell’inferno, sotto una pioggia di falde di fuoco. Brunetto Latini doveva forse aver raccontato a Dante di un grande intellettuale di cui si parlava alla corte di Alfonso el Sabio, Abu Bakr Muhammad ibn al-Arabi al-Hatimi al-Ta'i – ma lo chiameremo semplicemente Ibn Arabi. Questi era nato e vissuto in Spagna, nel 1198 se ne era andato in Oriente e aveva finito i suoi giorni a Damasco. Filosofo, teologo, poeta sufi, aveva scritto un’opera in ben dodici volumi, al-Futuhat al-Makkiyah (Le Rivelazioni della Mecca), in cui esponeva i molteplici aspetti della mistica islamica.