"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

sabato 12 febbraio 2011

ARABISTI, ARABESCHI 24 E L'UNIVERSITÀ DI CÁDIZ- POETI DI AL-ÁNDALUS 5 – Il grande Ibn Hazm e i suoi traduttori – Prima parte

Finiti i primi esami: accanto a me, a scrivere, ragazzini di 18-20 anni. Infatti qui gli esami sono tutti scritti. L'età si è fatta sentire in due modi opposti: certamente una maggiore capacità, rispetto ai miei giovani compagni, di legare fra loro i diversi aspetti di un tema: di un periodo letterario, ma anche di un testo. Però anche qualcosa che mi ha lasciato un poco traumatizzata, anche se non avrà, forse, una grande influenza sui voti finali (anche questa storia dei voti è curiosa per me, che ho sessant.... anni): d'un tratto ho l'impressione che una parte di neuroni, ciascuno con il suo fagotto di ricordi, fuggano via, se ne vadano a passeggiare fuori di me. La vecchiaia che avanza? Chissà. Se ne avrò la forza, prima o poi inizierò una serie su questa mia quasi senile esperienza di studentessa universitaria, in una città che si trova a 2500 chilometri dal mio paese originario. Cádiz... la prima città d'Europa: fenicia, fors'anche un po' greca (non lo so), romana. Un'università che dà sul Parque Genovés, e al di là della striscia di alberi potenti, dalle mille frange e forme, l'oceano. Frequento un'Università dalla cui terrazza (ci sono salita per una protesta di studenti italiani contro le controriforme varate dalla signora Gelmini) si vede l'Oceano Atlantico. Cádiz, la città più antica d'Europa. È così?

Ho mille cose da dire su questa mia folle condizione, certo scelta, di studentessa fuori tempo e fuori luogo (anche se luoghi proprio miei non ne ho): vorrei però dirle in due lingue... vedremo.

Intanto cerco di concludere il mio percorso nella poesia araba e arabo-andalusa.
Ho interrotto il discorso alla storia dell'omayyade Abd-ar-Rahman, fuggito da Damasco, sottraendosi alla strage dei suoi messa in atto dagli Abbasidi e giunto ad Al Andalus, dove diventa principe-poeta e scrive poesie piene di pensosa nostalgia..
Questa piccola celebrazione dell'antica lirica araba è anche, dentro di me, un omaggio all'Egitto e agli altri popoli arabi e maghrebini che in questi giorni e settimane stanno lottando per un cambiamento. La fitna di cui ci ha parlato Gilles Kepel in un suo bellissimo libro di alcuni anni fa, e che ha attraversato anche queste mie pagine, questa volta non è stata sanguinosa e sanguinaria, come in tanti altri momenti di guerra interna al mondo islamico (e non solo islamico! Anche i cristiani hanno fatto scuola in questo!). Che il Dio dei cristiani, quello dei musulmani, quello dei laici, magari non credenti, per una volta si mettano d'accordo e salvino il popolo d'Egitto e tutti quelli che di questi giorni si battono per la libertà e per la giustizia sociale senza violenza e li aiutino ad approdare a un vero riscatto sociale e politico. La storia certe volte fa proprio strani scherzi: che siano proprio questi popoli a dover insegnare alla evoluta Europa democratica e, nello specifico, all'Italia, come si combattono i tiranni con fermezza, ostinazione, e senza sete di sangue? Speriamo, vedremo.
Ora torniamo al Medioevo nella Spagna araba.

Il poeta forse più importante di Al Andalus è Ibn Hazm, di Cordova (994-1063); nato in una famiglia di rango elevato, fu ministro (in arabo, visir) di un califfo della dinastia di Abd-ar-Rahman; visse, pare, traversie simili a quelle che Dante racconta in riferimento a Pier Delle Vigne: invidie di cortigiani a cui il suo signore diede ascolto. Non si suicidò, però, anche se gli toccò subire il carcere e anche un breve esilio. Con la crisi del califfato, andò ramingo in diverse taifas, fra cui quella di Siviglia, dove fu accolto amichevolmente da un principe abbastanza feroce, padre di un altro principe-poeta tremendamente sfortunato, di cui parlerò prossimamente: il principe era Al-Mutadid, il figlio sfortunato Al Mutamid.

Intorno al 1020, Ibn Hazm scrisse, fra l’altro, Il collare della colomba, un trattato d’amore – in buona parte, el amor udri –, in cui alla prosa si alternano poesie: un prosimetro.
Ci sono, di questo testo, traduzioni in italiano, in spagnolo, e certamente in altre lingue. È forse il testo più tradotto – o uno dei più tradotti – di poeti di Al Andalus.

Può essere forse interessante saper qualcosa delle vicende di queste traduzioni e degli arabisti che ci hanno lavorato. Il primo a pubblicare una traduzione de Il collare della colomba (1949) fu Francesco Gabrieli, italiano, liberale, antifascista, che in vecchiaia, prima di morire, avrebbe dichiarato una specie di delusione cosmica, quasi quasi il rinnegamento doloroso ed estremo della sua dedizione alla cultura e alla civiltà degli arabi. Il secondo fu lo spagnolo don Emilio García Gómez, insigne arabista, che pubblicò la sua traduzioneagli inizi degli anni Cinquanta. “L'opera conteneva alcuni passaggi scabrosi che la candidavano a vittima delle forbici congiunte del franchismo e della chiesa.” Nonostante García Gómez “avesse tentato di attenuare i passaggi più scabrosi dell'opera, rasentando a volte per questi tentativi il comico”, dovette combattere con il censore, il sacerdote Carlos Quirós, che era stato cappellano nel Nord Africa (allora colonia della Spagna), dominava perfettamente l'arabo marocchino. Il reverendo, in un articolo astioso, fece un centinaio di sottolineature critiche alla traduzione di don García Gómez, e suggerì pure velenosamente che il grande arabista spagnolo potesse aver “rubato” dalla traduzione di Francesco Gabrieli. Ciò scatenò gelosie, scoramenti... García Gómez, amareggiato, negli anni successivi, non si occupò più di quest'opera e di quest'autore.
Il terzo traduttore, spagnolo, è quel Jaime Sánchez Ratia, che ho nominato tante volte (le citazioni che ho riportato sopra sono tratte dall'introduzione alla sua traduzione) e di cui puoi vedere anche le interviste che si trovano in groppa ai miei Cavallini.. Sánchez Ratia racconta la storia di censure e gelosie che ho sinteticamente riferito con la sua penna ideale appuntita e lucente (Ibn Hazm, El collar de la paloma, Traducción de Jaime Sánchez Ratia, edición bilingue, Madrid, Hiperión (pag.XIV).
Il prof, Sánchez Ratia, nell'introduzione alla sua traduzione, si pone anche il problema di quanto l'uso greco dell'amore efebico, omosessuale, passando dal mondo ellenistico a certi ambienti di quello arabo, si fosse poi diffuso in Al Andalus nelle corti califfali e dei principi (in realtà, pare, se si dà retta a Eva Cantarella, l'amore omosessuale nell'antica Grecia aveva regole ben precise: non era il regno della libertà!). Risponde a questa domanda, in relazione a Ibn Hazm, in una maniera complicata e sfaccettata. Il poeta andaluso, dice, sicuramente osservante della morale dominante, si dichiara più e più volte eterosessuale. Però permane nella sua poesia, come tratto “colto” e talvolta un po' snob, la dichiarazione di amore, di “ternura” (tenerezza), dice Sánchez Ratia, nei confronti di un uomo. Nel caso specifico, Ibn Hazm cita, quasi ad apertura della sua opera, il passo splendente di una poesia che aveva scritto per un principe arabo-andaluso, poi finito male nell'infinita fitna che tormentò la Spagna araba:

Ti amo di un amore senza sosta

Ti amo di un amore senza sosta:
sicuramente certi desideri umani non sono senza riverberi
.
Ti ho dichiarato un affetto sincero, profondamente radicato in
me.
Se nella mia anima ci fosse cosa diversa da te,
la afferrerei e la porterei alla luce strappando
per sua causa la mia pelle con le mie stesse mani.
Non ho altra aspirazione che amarti
e solo in questo ho motivo di parlarti.
Se lo ottengo, saranno la Terra intera e gli esseri umani
polvere, e coloro che popolano le città, insetti.

(Ibn Hazm, trad, da J.Sánchez Ratia, cit. pg. 9)

Alla prossima, qualche altro passo del bel Collare.

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