"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

*************************
Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

sabato 7 luglio 2018

PERCHÉ (PENSO IO) CHE TANTI COMUNISTI ITALIANI SIANO DIVENTATI LEGHISTI

Sono cinque anni che per stanchezza ho lasciato andare al diavolo il mio blog, che è ora molto disordinato: ho staccato cose che mi servivano senza riaggiustare l'indice. Avevo in mente di abbandonarlo, ma è da un po' che, per dirla con il "compagno" Renzi, gufo, rosico, rimugino idee, magari sbagliate, ma che ho voglia di comunicare. Ormai penso che nessuno leggerà più. Comunque ci tento. Non posso scrivere una riflessione così lunga su Facebook. E allora provo a riutilizzare la vecchia carretta-blog. E comincia la riflessione.
----------------------

Certe volte in Spagna mi chiedono: "Ma come mai un grande Partito Comunista come il vostro ora in gran parte ora è passato alla Lega? Come ha potuto avvenire?"
Ho risposto sempre: "Non lo sappiamo neppure noi italiani".

Ci ho pensato molto, e ora avanzo due motivi (ipotetici): non ho il potere, naturalmente, di verificarne io la fondatezza.

Primo motivo. Comincio con Altiero Spinelli, che mise in luce il male del corporativismo. Dichiarò che c'era uno strettissimo legame tra il corporativismo e il nazionalismo aggressivo. E sottolineò che il corporativismo poteva trovarsi anche nella classe operaia, cosa che a quel tempo suscitò un grande scandalo. C'era allora ancora l'idea che l'operaio, tutti gli operai avevano da perdere solo le proprie catene e forse ciò era plausibile a quel tempo. Oggi credo che Spinelli avesse ragione, che il suo pensiero fosse anche profetico. Mi chiedo, a questo proposito, quanto abbia potuto influire il possesso di una casa, magari pagata con lacrime e sangue, a differenziare la classe operaia al suo interno; quanto la difesa anche un poco paranoica di una casa  di proprietà abbia indotto gruppi di ex-operai, un tempo PCI, a respingere "zingari" e tutti quelli che potessero costituire una presunta minaccia alla propria quiete.  Con questo, ovviamente, non intendo affatto dire che gli operai avrebbero dovuto rinunziare a una casa propria. Quali differenziazioni all'interno della categoria abbiano portato con il passare del tempo il ricoprire cariche sindacali e tanti altri fattori legati in buona parte a un tempo in cui il miglioramento delle condizioni di vita iniziali era possibile per molti. Anche una frattura generazionale, dentro e fuori il luogo di lavoro, una familiarità stretta o inesistente, buona o cattiva con le nuove tecnologie, la crisi profonda della scuola, in cui, a partire dagli anni ottanta, è cresciuto il corporativismo degli insegnanti, hanno avuto una declinazione particolare nel contesto italiano... tutto questo, forse, ha spaccato la tradizionale classe operaia e pure i comunisti italiani e hanno stravolto molti di essi. Forse questo - non lo so - si è verificato anche in altri paesi occidentali dell'UE (degli orientali non mi azzardo neppure a parlare); forse, anzi sicuramente, ci sono stati anche fattori esterni. Ma voglio concentrare la mia attenzione su certe questioni soprattutto italiane.


Un secondo motivo che percepisco. In un certo senso il PCI è stato un grande  partito promotore di democrazia e diritti, con legami con l'URSS, ma per il contesto in cui ha operato nei decenni del secondo dopoguerra, di fatto molto più riformista che ortodossamente comunista in senso leninista o anche stalinista, e, per certi aspetti, anche per la sua eccezionalità, chiuso nel contesto italiano, legato strettamente a tale contesto. Ricordo quando Rossana Rossanda e altri parlavano/parlavamo con orgoglio della "specificità italiana" e del Partito comunista più grande dell'Europa occidentale. Il Pci fu capace, in effetti, pur non stando al governo, di esercitare in molti campi una vera egemonia in Italia: a cominciare da quello culturale CHE ALLORA ERA ANCHE POLITICO (poi la "cultura", l'"arte" paiono aver divorziato dalla società e quasi tutti sono diventati "crociani", ma in modo massificato e volgare); il Poi era ovviamente egemone anche nell'ambito enorme dei diritti e della difesa del lavoro e di tutte le manifestazioni "artistiche" legate a questo immenso mondo. Ricordo le collane Einaudi che in tutti gli ambiti sancirono questa egemonia del Pci e oggi sono in mano a chi sappiamo. Guardando retrospettivamente, ci si rende conto del fatto che, anche nel suo impegno di difesa e allargamento della "democrazia borghese", era un partito tipicamente italiano (anche in senso positivo) e strettamente legato all'Italia. 
Non c'erano partiti comunisti dell'Europa Occidentale che avessero la stessa importanza e il rapporto con l'Urss non impediva affatto di svolgere un compito progressista nazionale, specificamente nazionale. Questa eccezionalità forse a lungo andare favorì la chiusura,

Può essere utile un confronto con la "sorella" Spagna: questo paese ha avuto sempre un allargamento reale, culturale e ideale alle ex colonie del Sudamerica: vivendo in Spagna si è sentita e si sente anche oggi l'unità culturale fra il paese europeo e il continente sud-americano, anche con il solo gesto di aprire un quotidiano: in prima pagina spesso compaiono con lo stesso rilievo notizie della Spagna e di paesi sudamericani. 
Inoltre la Spagna, anche per le disgraziate vicende della guerra civile e del periodo franchista, ha di fatto semi-aperto le porta al Marocco: la rivolta franchista alla Repubblica spagnola partì dal Marocco e Franco fu aiutato da truppe marocchine, a cui, fra l'altro, permise di fare scempio delle donne repubblicane. E successivamente fu abbastanza "liberale" con questa colonia, al punto che nell'ex-Marocco spagnolo molti hanno purtroppo della dittatura franchista un ottimo ricordo.
Questo ovviamente creò una diffidenza da parte dei democratici e della sinistra spagnola. Ma in tempo di democrazia, il passato, pur ricordato e vissuto, non impedì una successiva apertura, anche culturale, nei confronti delle persone al di là dello Stretta (anche Ceuta e Melilla, pur con le loro barriere, sono state luoghi di incontro e pure di scontro).

In Italia nulla di questo. Forse l'Italia, tra i paesi ex-colonialisti che affacciano al Mediterraneo e in genere al mare, è l'unico o quasi l'unico che non abbia lasciato nelle ex-colonie anche la propria lingua. Il feroce e demenziale colonialismo italiano, simbolo di potenza e nient'altro, in un paese arabo come la Libia, aprì i primi campi di concentramento - di fatto di sterminio. Nel Corno d'Africa fece scempio delle persone, ma distruzioni e massacri  stupidi, senza neppure un guadagno effettivo per la cosiddetta "madre patria". Mentre la Francia e l'Inghilterra, ciascuno dei due paesi con un proprio modello, si preoccupavano attraverso le scuole e una promozione culturale certo sotto controllo, di formare classi dirigenti favorevoli alla propria presenza e al proprio dominio (il che, certo, non impedì né persecuzioni né guerre per tenersi le colonie), l'Italia chiuse scuole e stampa, impedì radicalmente la produzione culturale, stroncò la nahda (
ﻧﻬﻀﺔ), la rinascita culturale araba. I ragazzi (maschi) figli di colonialisti che vivevano in Eritrea e in Somalia e in Libia, dopo la scuola di base andavano in Italia a completare gli studi. Di fatto, per quel che mi risulta da contatti con ex-colonialisti italiani, la presenza di colonie non era un "allargamento", perché per gli Italiani gli autoctoni erano considerati di una razza diversa e inferiore. Erano schiavi e basta. Non c'erano scambi.

Perciò, una volta costretti ad andarsene, i colonialisti italiani ricordavano con nostalgia quelle terre "perdute", che avevano considerato di loro proprietà, ma le ricordavano solo per i paesaggi, per gli animali. Fu questi il famoso e un po' ridicolo "mal d'Africa". Quasi nessun ricordo delle persone originarie di quella terra.
Questa gestione e questo esito del colonialismo italiano, ha contribuito alla chiusura nazionale e nazionalistica, di cui ha sofferto pure gran parte della sinistra.

Il localismo italiano, nonostante le apparenze e nonostante il turismo che ti porta dove vuoi, è durato fino ad oggi. Nei decenni del dopoguerra, fino agli "anni gloriosi" ci furono, certo, contatti con l'estero: uomini politici che si recavano in Russia, in tempi più recenti in Cina, per lo più accolti in forma ufficiale. Altri, della parte avversa o diversa, che andavano negli Usa. Ma si trattava di pochi incontri con le persone, e quasi sempre, appunto, di visite che rivestivano una certa ufficialità, non permettevano una conoscenza diretta delle persone comuni che vivevano là.

Poi, certo, ci furono manifestazioni di solidarietà per il Vietnam, contro le dittature del paesi sudamericani, in favore dei palestinesi contro gli israeliani-ebrei. Ma queste storie erano rivestite di intenso valore simbolico, private, in un certo senso, della loro "fisicità" e della conoscenza approfondita della loro storia. Non si era in molti a conoscere, discutere, mangiare insieme con questi oppressi di terre lontane. Ricordo un mio viaggio in Palestina nel 1995, poco prima che fosse ammazzato Rabin. Erano vive le speranze di Oslo. Facevo parte di una comitiva di una quarantina di persone, moltissimi insegnanti, guidate da una sindacalista di rifondazione comunista. Durò una ventina di giorni. Feci una specie di inchiesta senza troppo dare a vedere che fosse un'inchiesta. Solo io e un anziano avvocato cattolico, della comitiva. avevamo letto qualche libro sulla storia della regione. E c'erano pure insegnanti di storia delle scuole superiori!

Quando l'Italia si è trovata suo malgrado in questo rapido processo di mondializzazione, era forse il paese meno preparato di tutti, sempre tra quelli dell'Occidente. La Lega fu all'inizio e tuttora è un movimento-partito, prima ancora che razzista, di difesa strenua del localismo, della tranquillità che, almeno nell'immaginario, il localismo avrebbe potuto offrire. Il pensiero localista si manifestava e si manifesta, nella propaganda (le realizzazioni sono altra cosa) soprattutto come salvaguardia di un proprio spazio, delle proprie tradizioni mitiche - e quindi della propria ignoranza - dalle "contaminazioni" esterne: dal rumore, per esempio. Quartieri-cimiteri.
Ma la lega prometteva e promette, sempre nella sua propaganda falsa e velleitaria, anche una difesa dei diritti che era stato compito della sinistra nei decenni passati. Ma ora di trattava e si tratta di  diritti tutt'altro che universali o tendenzialmente universali: diritti nello spazio proprio, programmaticamente circoscritto, nell'ambito "locale". Naturalmente gli "zingari" erano e sono peggio del diavolo, perché, per queste persone chiuse e ferme e radicate in spazi piccoli sono nomadi (anche se ciò non è vero; devono scappare quando sono sacrificati).
Però quelli che difendono con le unghie e con i denti il loro spazio, soffrono pure per propria chiusura, ma senza averne consapevolezza. Di qui il mito del viaggio, che per lo più è viaggio turistico senza occasioni effettive di conoscenza o addirittura barbarie delle crociere. E anche certe occasioni  di socializzazione "cattiva" ci dicono di questa sofferenza. Ricordo che nel febbraio 2007 ci fu un presidio a guida leghista presso il campo rom di via Triboniano, a Milano, e quando gli "assedianti" dovettero togliere le tende, ci furono lamentazioni anche nostalgiche per quello scampolo di vita sociale - feroce, contro gli "zingari" - che questi milanesi, per lo più di condizione modesta, si erano concessi durante l'"assedio".

Insomma, le intenzioni e la propaganda di lotta per i diritti sono sopravvissute, anzi a volte hanno acquisito toni aspri e assai massimalisti al punto da trasformarsi in velleità. Ma si è trattato e si tratta di rivendicazioni e promesse sempre più localiste, anche se il luogo, per opportunità politiche, si è un poco allargato: dalla Lombardia, al Nord italiano, all'Italia. La Lega ha "rubato" gran parte della lotta per i diritti al Pci - certo, lo ripeto, più nella propaganda che nelle realizzazioni -, e ha messo questi diritti in un recinto, contro l'universalismo spesso solo teorico delle lotte dei comunisti.

Mi sono sempre stupita - ora non mi stupisco più - della chiusura di antichi compagni che oggi forse si sentono più a sinistra di me, a una reale conoscenza di situazioni internazionali. Se vuoi metterli a tacere, in una discussione sulle reti sociali, chiedi loro quali sono le loro fonti di informazione o proponi tu una paio di fonti tue. Certo, sono indignati perché la Lega ha impedito di accogliere i profughi della nave Aquarius. Ma poi spuntano anche "a sinistra" frasi come: "La Francia non CI PUÒ dare lezioni". Quindi un vecchio concetto di superiorità/inferiorità della "patria" vecchio stile, che nulla ha a che fare con il "nazional-popolare" di Gramsci.

Conseguenza del rifiuto di approfondire e pure di "vivere" ciò che avviene in altri luoghi della terra, e in particolare in Siria, "patria" del "socialismo arabo" è questa sbornia collettiva per Putin, e, un po' più sottaciuta perché un po' di vergogna non si può non provare ormai a nominarlo, per Assad.  Mi fa molta impressione che persone che furono con me, dal 1969, ne Il Manifesto, che, pur commettendo errori, dichiarò e spiegò alcune cose molto interessanti e innovatrici - tra queste la critica radicale ai socialismi reali d'Europa e alla politica del Patto di Varsavia - oggi restino profondamente putiniani: dalla parte di un dittatore che all'interno  favorisce le mafie e ammazza i giornalisti che lo criticano e gli oppositori, e all'esterni fa terra bruciata, radendo al suolo città e insieme abitanti - nelle zone in cui interviene. E Putin non è neppure l'Unione Sovietica, ma un misto di mafia, di ferocia e di connubio con la parte peggiore della chiesa ortodossa. Ma questi  miei amici, non riuscendo a prospettarsi un difficile futuro, corrono indietro a cercare un passato mitizzato, diventato religione.

Altra cosa che stupisce è la totale assenza, nelle critiche giuste o non giuste all'Europa, l'assenza radicale di considerazione dei vantaggi che l'imperfettissima UE ha pur portato, e specificamente ai giovani: giovani che vanno in altri paesi per studiare o lavorare. Totale silenzio sugli eramsus a cui hanno partecipato moltissimi ragazzi. Io a vent'anni conoscevo il latino, ma solo qualche elemento di una lingua straniera. Oggi questi che vivono tra diversi paesi europei parlano facilmente una, due, tre lingue, oltre quella madre.
Insomma, quel che voglio dire è che il leghiamo, come ha riconosciuto giustamente oggi Martina, è diventato abbastanza egemone "culturalmente", anche tra persone che avversano con lealtà e nettezza la Lega. Perché il localismo è diventato egemone. Perché anche la sinistra meglio intenzionata lotta per ricevere i profughi, per aprire le porta, ma non arriva quasi mai a chiedersi chi siano quei profughi, da quali storie vengano: meno che mai i profughi siriani, la cui tragedia è inevitabilmente legata ai massacri di Putin e di Assad.

Penso che finiremo male, molto male, se non si supererà questa visione piccina, localista e spesso ancora nazionalista. E a questo può aiutarci molto limitatamente il nostro passato. Necessario, anche se si è ormai vecchi, pensare al futuro, magari facendosi aiutare da quei giovani che parlano due, tre, quattro lingue.

Con queste considerazioni non presumo di aver spiegato esaustivamente perché molti comunisti sono diventati leghisti. Certo, poi c'è la situazione europea, poi c'è la discutibilissima gestione del Pd ecc.ecc.ecc.. Ma di questo si è parlato e si continua a parlare. Questo mio scritto è intrecciato alla mia esperienza personale e perciò vorrebbe essere l'inizio di una riflessione su qualche tema diverso, non una conclusione che abbraccia e spiega tutto con pretese di oggettività.

domenica 27 novembre 2016

L’AUTO-INGABBIAMENTO DELLE SINISTRE

Qualche riflessione di una persona che forse, per età e per essere fuori contesto, dovrebbe starsi zitta. Ma che zitta non sa stare.
Mi pare che ci siano dei tratti comuni – parlo ovviamente della sinistra delle diverse gradazioni - fra il giudizio su Fidel Castro, le reticenze sui crimini di Assad e Putin  ecc.. Non penso che Castro sia stato uno dei tanti dittatori, che si possa assimilare agli Assad, ai Putin, ai feroci dittatori dell’oggi.
I tratti comuni non sono – credo – NELLA “NATURA” DI QUESTE DITTATURE, PER ORIGINE, SVILUPPI, STORIA, ASSAI DIVERSE FRA LORO; I TRATTI COMUNI SONO NELLA TESTA DI MOLTI TRA QUELLI CHE LE GIUDICANO E LE GIUSTIFICANO O LE CONDANNANO.
Per lungo tempo a sinistra si è pensato che una certa dose di violenza  per instaurare governi e stati che realizzassero la giustizia e l’eguaglianza fosse indispensabile: una volta sconfitta la reazione della borghesia e dei privilegiati, si sarebbe andati verso una società sempre meno conflittuale e coercitiva. C’era chi parlava persino di estinzione dello stato.
A distanza di tempo, ci si accorge che le cose non sono andate proprio così. Rivoluzioni, come quella di Cuba o prima quella sovietica o quella cinese o…, nate DA CONDIZIONI DURISSIME DI SFRUTTAMENTO, DI OPPRESSIONE, DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI, DI GUERRA, hanno conseguito  una maggiore ridistribuzione, forme di stato sociale, però si sono poi cristallizzate nel dominio di “borghesie rosse” sul resto della popolazione, e in repressioni senza fine del dissenso. Con questo, la repressione esercitata, poniamo, da Castro sui dissenzienti non è uguale e forse neppure simile a quella esercitata nel tempo dagli Asad: e non si può far finta che queste differenze non esistano. Penso che si dovrebbe differenziare molto l’analisi in relazione ai diversi territori/paesi. Però ci sono anche tratti comuni.
Se penso a quanto è avvenuto, per es., nell’Est europeo, persino nell’ex Jugoslavia che pareva più libera e positiva (penso a Milosevic o a Tujiman, membri entrambi del Partito comunista che poi hanno capeggiato i rispettivi tremendi nazionalismi; certo, poi l’Occidende e persino il papa ci hanno messo del loro a distruggere la Jugoslavia), a Cuba e altrove: non so in che proporzioni siano stati i “benefici” rispetto alle situazioni di partenza  e non so neppure, ovviamente, quale bilancio si possa trarre a distanza rispetto a  questi regimi. Non lo so, forse nessuno lo sa in assoluto.
L’idea abbastanza alla  Rousseau (in sintesi un poco grossolana: la natura umana è buona, è l’organizzazione sociale ingiusta l’ha resa cattiva) portava in tempi passati, un secolo fa, a pensare che regimi solo temporaneamente violenti nati da rivoluzioni si sarebbero estinti e avrebbero lasciato il posto a società giuste e pacifiche. Ma questa idea si è rivelata una delle grandi illusioni umane. Anche carica di eccidi e genocidi e stragi.
E quest’illusione cristallizzata, oltre che l’ereditá di un mondo bipolare, che comunque ha garantito all’Occidente una relativa pace, ha portato e porta molti ad assimilare regimi nati in contesti profondamente diversi. Per esempio, Russia Sovietica delle origini con regimi mediorientali, del cosiddetto “socialismo arabo”, ferocemente repressivi dall’inizio e per decenni e che spesso si sono costruiti dalle origini intorno a clan di interessi, a clientele, persino a famiglie.
Oggi, comunque si giudichino esperienze come quelle europee, cinese, cubana – personalmente ritengo legittimi giudizi carichi di sfumature e pure di incertezze – BISOGNEREBBE DECIDERSI A CAMBIARE I PROPRI PARAMETRI DI INTERPRETAZIONE E DI GIUDIZIO , perché ci si trova in un mondo che si è profondamente e tumultuosamente trasformato. Pare che la difficoltà enorme di muoversi nel pianeta, e non più solo negli stati nazionali, spinga a rifugiarsi nella memoria mitizzata e irrigidita, in un passato quasi pietrificato. Persino nella nostalgia per un “antimperialismo sovietico” capeggiato niente di meno che da un Putin. O financo in un’epopea o controepopea nazionale e persino nella idea stantia di “patria”: rispolverata da una parte della sinistra non solo italiana (es, Renzi che fa togliere nelle registrazioni dei suoi discorsi ufficiali, la bandiera europea, sostituita da un dispiegamento di bandiere italiana; o Pablo Iglesias che parla senza vergogna di “patria” a proposito della Spagna). E al tempo stesso si serrano ben stretti gli occhi di fronte a un’Aleppo rasa al suolo dal suo stesso presidente.
Con i mezzi di comunicazione che ci sono oggi, possiamo osservare un genocidio in diretta, ma moltissimi, anche a sinistra, non lo vedono. Forse perché, imbozzolati in un mito di difesa estrema da un male metafisico che non capiscono,  si tappano occhi ed orecchie? O perché, nonostante i bei discorsi sui rifugiati (purché restino rifugiati, in condizioni di estremo bisogno), considerano il mondo arabo e islamico come barbaro e non maturo per il godimento di diritti umani? (Condividendo quindi, sotto traccia, posizioni dell’estrema destra europea?).
Questo impoverimento difensivo e ossificato ha portato anche la sinistra a far politica con modalità “monografiche”: per un periodo lungo, nei discorsi, sulle reti sociali, che comunque offrirebbero opportunità molto ampie, in parte sulla stampa, si dibatte di un argomento principe – in Italia, ora, del referendum costituzionale –, e tutti gli altri temi restano in secondo piano o sono addirittura assenti. Penso, per esempio, al tema della scuola quando è stata messa in atto la “buona scuola” di Renzi-Giannini. Non demonizzo Renzi, ma è un poco difficile considerarlo proprio di sinistra. Tutti i “sinistri”, anche i sindacati, si sono schierati contro questa “cattiva scuola”, ma senza un progetto generale che non fosse un semplice – e impossibile - ritorno al passato. Poi, il discorso, di per sé debole perché povero, abbandonato del tutto.
Infine: mentre si mitizza la memoria di fatti relativamente lontani, intorno a cui si formano raggruppamenti che sostengono slogan contrapposti, rispetto alla memoria più recente – mi riferisco, per esempio, al terrorismo italiano, europeo, a quello spagnolo, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, ma non solo a questo – silenzio di tomba. E ugualmente silenzio di tomba sulle vicende delle sinistre da quel periodo in poi. Magari qualche foto-santino di Berlinguer, di cui peraltro si ignora o si finge di non conoscere lo strappo dall’Urss e altri aspetti del suo pensiero; ma nessun ragionamento, una specie di fossa che si cerca di attraversare con un salto per ritrovarsi insieme al di là. Eppure, penso, sarebbe interesse della sinistra prendere in esame la propria storia, i propri successi ed erroti, più ancora degli errori degli avversari. Si preferisce ripetere mille e mille volte gli stessi slogan sulla destra liberale, sui tradimenti della socialdemocrazia ecc. In questa zona buia, tenuta forse di proposito al buio, è maturata la metamorfosi di una buona parte della classe operaia italiana di un tempo, convertitasi dal comunismo al leghismo identitario.
Altro esempio: sicuramente la configurazione delle classi sociali è immensamente e rapidamente mutata negli ultimi decenni. Però non ci si occupa di conoscere di più, di analizzare, di disaggregare, di capire il mondo immenso del precariato e del lavoro autonomo: si continua a parlare di classe operaia, di lotta di classe (che nella mente di chi ne parla è diventata lotta dei poveri contro i ricchi) come se le grandi fabbriche con la grande classe operaia di marxiana memoria fossero ancora là.
Terzo esempio: la “buona scuola” di Renzi, che personalmente non considero buona, è passata nonostante le proteste di insegnanti e studenti. Negli anni precedenti la scuola italiana è stata gravemente colpita soprattutto dalle destre al potere. Però, la corporativizzazione degli insegnanti a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso non ha nessuna responsabilità in questo? Non ha introdotto elementi di grande debolezza nella scuola italiana? E, andando a tempi vicini: non è stato (metaforicamente) fucilato dalla categoria il ministro Luigi Berlinguer che aveva proposto una forma di valutazione degli insegnanti non autoritaria, volontaria, ma al tempo stesso necessaria? E il boicottaggio dei test invalsi e il rifiuto da parte degli insegnanti di qualsiasi valutazione del proprio operato è progressista? E chi si è occupato, più di recente, della mostruosa “patologizzazione” dei bambini introdotta con il BES (Bisogni Educativi Speciali)? Chi ha ragionato su questo strumento, promosso dal ministero (prima che arrivasse Renzi) come mezzo di recupero e che invece reintroduce una selezione ancora più tremenda di quella antica, di prima della riforma della scuola media unica?  Credo che su queste debolezze, anzi voragini della categoria e della sinistra, abbiano marciato le indegne ministre dei governi Berlusconi e infine Renzi con la sua “buona scuola”. Se le istituzioni si fanno autoreferenziali, diventano fragilissime, di carta.
Sul naufragio dell’internazionalismo di antica memoria ho già detto: si nutrì in tempi lontani di ammirazione romantica verso lotte remote, quando lo stato nazionale era il luogo di vita e l’oggetto di riflessione. Oggi si tratterebbe si misurarsi e misurare la propria solidarietà con situazioni durissime, reali, non romantiche, piene di morti e di sangue che si può vedere, certamente cariche di contraddizioni… e si fugge.
Le ragioni per cui mi sento più socialdemocratica, criticamente socialdemocratica, che “sinistra-sinistra” stanno in questo: la socialdemocrazia ha garantito nel tempo e in molti paesi diritti sociali estesi – non l’uguaglianza – e pure tutele democratiche, imperfette, ma reali e durature, anche se oggi c’è chi con demagogia vittimistica lo nega. Ha fatto errori, soprattutto di recente. Penso, fra l’altro, al Pd che ha seguito tutti i voleri di Renzi o alla lotta sleale che è in corso in Spagna contro la linea dell’ex segretario Pedro Sánchez; o all’inserimento nella Costituzione spagnola dell’obbligo alla stabilità di bilancio, a prescindere. Sono solo due esempi, tra i tanti che si potrebbero portare. Per me ha però molta importanza il fatto che le conquiste – e gli errori – delle socialdemocrazie si siano verificati senza stragi, genocidi, pulizie etniche, ricorso continuo alla tortura e alla coercizione. Non sono più in grado di fare politica attiva, ma idealmente sostengo forme politiche che si propongano progressi sociali  nel tempo e non siano rigide, ma abbastanza duttili, modificabili, in grado di raccogliere nuovi bisogni, nuove idee, IMPERFETTE (odio le pretese di perfezione, sono l’anticamera dell’oppressione): pur se alcuni rimproveri che ho mosso alla sinistra “radicale” – per esempio una profonda incertezza sui temi della politica internazionale – potrebbero estendersi a una parte delle socialdemocrazie europee.
A conclusione di questo discorso, quasi sicuramente inutile e vano, propongo un articolo su un aspetto sconosciuto dell’oppressione tremenda esercitata da Bashar al Asad sul suo popolo. 



SIRIA: Alois Brunner, il volenteroso carnefice degli Assad

venerdì 13 marzo 2015

IDEE CONSERVATRICI (?) PER LA SCUOLA

Mah, al solito farò la parte, che mi tocca tante volte, della conservatrice.

Allora, enuncio alcune mie convinzioni rispetto alla scuola e a una mentalità che si è diffusa in questi decenni.

1.      La scuola di tutti è una neonata: dopo millenni in cui l’uso del simbolo è stato quasi dovunque di pochissimi, da qualche decennio, con tutte le contraddizioni del caso, si pensa che debba diventare patrimonio e strumento di tutti. Le persone – insegnanti, istituzioni, mentalità generale – non riescono ancora a cogliere la novità rivoluzionaria di questa situazione e quindi la necessità di studiare, ricercare, impegnare una parte consistente della propria vita per fare una scuola di tanti, di tutti, che sia al tempo stesso di alto livello. Penso che un percorso verso quest’obiettivo si possa costruire e praticare.
2.      È un errore separare la pedagogia dalla conoscenza, il metodo dai contenuti. Anche per un bambino di tre anni l’acquisizione di conoscenze significative è ragione di felicità e ha un effetto terapeutico, preventivo e pure curativo. L’insegnante deve innanzi tutto conoscere bene quel che insegna, e insieme imparare trasmettere le conoscenze (“trasmettere”, esattamente: è illusorio pensare che ogni bambino, ogni individuo possa rifare la storia della conoscenza umana). Una buona e interessante trasmissione di conoscenze facilita una socializzazione positiva e permette lo sviluppo della cosiddetta “creatività” degli alunni, nei diversi ambiti. E non c'è niente di più socializzante, di più altruista, che una vera conoscenza acquisita con rigore e passione.
3.    

giovedì 5 dicembre 2013

CONTRORIFORME DELLA SCUOLA IN ITALIA E IN SPAGNA

Due  controriforme uguali e diverse
C’è una comune ispirazione nella destra italiana e in quella spagnola in materia di scuola e formazione.
Il Partido Popular spagnolo è però più drammaticamente serio della destra italiana e perciò la sua riforma della scuola, la LOMCE (Ley Orgánica para la Mejora de la Calidad Educativa), che è passata  nel Congresso in questi giorni, con i voti del solo PP, è organicamente dura, conservatrice, scritta sicuramente in un buon castigliano, a differenza della serie di colpi inferti al sistema scolastico italiano dalle due ministre donne dell’indegna, buffonesca e caotica destra italiana, Letizia Moratti e Maristella Gelmini, che hanno il merito di dimostrare la falsità dell’idea che le donne sono più buone e miti e intelligenti dei maschi: l’ineffabile Maristella osa ancora fare dichiarazioni pubbliche dopo tutti gli spropositi che ha infilato in una lunghissima grottesca collana negli anni in cui ha ricoperto  immeritatissimamente l’incarico a ministra dell’istruzione.

Pare che la successione logica delle cose si sia invertita: prima sono nate le caricature (provvedimenti reazionari e a pezzi di Letizia e della Maristella ignorantissima) e, dopo qualche anno, la LOMCE spagnola, a opera del serioso ministro José Ignacio Wert.

lunedì 21 ottobre 2013

NUOVO INDICE BILINGUE/NUEVO ÍNDICE BILINGÜE/ NUOVO INDICE BILINGUE/NUEVO ÍNDICE BILINGÜE


Cavallini d'Andalusia: post in italiano



                                                                   Umberto Saba:


 Riflessioni

<>: Perché non sono cristiana










 <> Rivoluzione





   









<> Chi ha paura di essere valutato? 





















Passeggiate nelle letterature

(per ora non c'è niente in italiano: i primi post sull'argomento saranno sulla letteratura della Libia e su alcuni bei libri che sono stati pubblicati in Italia in proposito. In questa sezione, ad ogni modo, lascio lo spazio per inserire eventuali titoli)
















Letteratura libica: bei libri in italiano e in traduzione italiana dall'arabo































Cabras playeras: artículos en español


 La capra/La cabra

Historietas sobre mi experiencia

<>Universidad, chicos, escuela de abuelas...











 

















Reflexiones

<>
Por qué no soy cristiana

<> Dulzura y aspereza del discurso humano: de Aristóteles a nosotros















<> Huelga de los estudiantes en España - 17 de noviembre
<> Política y antipolítica en España

 

Paseos entre literaturas y su entorno
<> El gran teatro egipcio: Tawfīq al-Ḥakīm







Colonialismo italiano en Libia

<> Breve historia del colonialismo italiano en Libia  

            

               

domenica 28 aprile 2013

CONSIDERAZIONI SOGGETTIVE, LEGATE ALLA MIA ESPERIENZA, SULLA “MEMORIA” DI FABRIZIO BARCA


Ho letto giorni fa con stupito interesse e timore il documento-memoria di Fabrizio Barca. Desideravo da allora scrivere come quella riflessione ha impattato con la mia esperienza: politica di un tempo, umana di sempre. Lo faccio ora.
Ha provocato in me stupore, perché il ragionamento che conduce Barca, pur connettendosi a vicende reali e a un dibattito in corso, sfonda da tutte le parti la fitta cappa che da trent'anni vanno intrecciando intorno a noi luoghi comuni assai , resistenti, che ci hanno resi prigionieri: il rigido discorso generazionale o anti-generazionale, il ricondurre tutte le disgrazie che abbiamo passato e stiamo passando a una questione di “tradimento” e non anche e soprattutto al profondo sonno del pensiero e all’uccisione dell’esperienza.  Inoltre, anzi soprattutto, pur parlando di "partito" e di partiti in quasi tutto il discorso, non dà l'impressione di un ennesimo tentativo di risolvere i problemi con proposte meramente organizzative, vizio che ha cominciato a farsi strada, per quel che mi ricordo, a partire dalla fine degli anni settanta e non ha più abbandonato la sinistra.

mercoledì 27 febbraio 2013

RIFLESSIONI DI UNA SIMPATIZZANTE DI SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTÀ SULLE ELEZIONI. POLITICI E SOCIETÀ CIVILE


Mie riflessioni. Molti di quelli più o meno della nostra parte fanno la predoca ai nostri politici, però, secondo me, è più questione di società civile che di nostri politici. Nella società civile credo abbiano una responsabilità fondamentale soprattutto coloro che hanno in mano le istituzioni e le agenzie culturali e mass-mediali e naturalmente non mi riferisco alla stampa e alle televisioni di destra che fanno il loro mestiere.
In questo periodo sono stata abbastanza ferma per via di un ginocchio operato e non mi è stato possibile venire in Italia a votare per Ambrosoli. Naturalmente per le elezioni politiche ho votato di qui. Dico questo perché tale circostanza mi ha dato l'opportunità di leggere vari giornali on-line – non ho guardato in verità la televisione italiana, ne ho colto echi in fb.
Prendo come paradigma, per spiegarmi meglio, La Repubblica, rilevando alcune cose: 1. Insistenza fino alla follia, nelle settimane di campagna elettorale, su un'alleanza Bersani-Monti: pur quando il primo, che certamente in alcuni momenti ha oscillato, diceva che non era prevista, che la sua alleanza era con Vendola. Atteggiamento simile a quello che cattivi genitori hanno con i bambini: ignorano quel che dicono, tanto sanno che non conter
à nulla la loro opinione. Atteggiamento oltremodo squalificante, che non ha certo aiutato il centro sinistra, favorendo le dietrologie più fantasiose e dogmatiche. 2. Solito doppio-messaggio rispetto ad alcune questioni della vita nazionale: da un lato critica dei razzisti, dall'altro articoli di cronaca razzisti, soprattutto sui rom; da un lato, rimprovero all'innominabile per aver avuto rapporti con una ragazzina, sostegno ai vari “Se non ora quando...”, “Il corpo delle donne” ecc.; dall'altro pubblicazione fino alla nausea di immagini del corpo di questa ragazzina, visto che nel frattempo era diventata maggiorenne e perciò poteva essere continuamente sbattuta da tutte le parti (e non mi importa affatto che la ragazzina in questione fosse “buona” o “cattiva”: i giornalisti in questo sono stati pessimi). E poi gossip pruriginoso, che un tempo sarebbero comparsi solo su giornalacci (quando Repubblica e il Corriere possono far entrare l'aggettivo “nuda” in una notizia, paiono felici; o choc. Come odio questo linguaggio stereotipato orribile!); e poi “Silvio”, chiamato mille volte per nome...
Ora
però quelli di Repubblica se la prendono con un Bersani che avrebbe riposato sui voti che le inchieste gli avevano preannunciato, che avrebbe fatto leva solo sulle sue metafore ecc. ecc. ecc.. Però c'è da obiettare che se Bersani avesse ascoltato questi giornalisti... beh, forse l'innominabile sarebbe uscito del tutto vittorioso. E poi l'insistenza sull'innominabile, gran comunicatore, animale politico, che sente la pancia della gente, che parla alla pancia della gente... Ma vogliamo smetterla con luoghi comuni che sono pure tautologie e non spiegano niente? E inoltre... se la politica fosse questa, parlasse alle pance, zone evidentemente considerate basse e sporche, davvero, varrebbe la pena, per chi può sopravvivere in un mondo così, restarne fuori. Ma io mi ostino a pensare che non sia questo, la politica. E mi pare che Bersani meriti rispetto.
Personalmente penso che le cose davvero gravi da imputare al Pd siano state le derive di Penati (che forse era già all'inizio come poi si è rivelato), di Bassolino che aveva acceso all'inizio molte speranze e poi..., e di qualche altro della vecchia guardia o di realtà locali. Però un'estrema destra
razzista che si dava per morta e invece è viva: e ciò non si spiega certo con queste brutte deviazioni interne al Pd.
Vendola ha detto che la distanza fra la crisi del governo Berlusconi e le elezioni hanno permesso all'innominabile di far scordare o dare un'immagine purificata dalle prodezze precedenti: ha ragione. Ma io – e penso altri – ero terrorizzata alla prospettiva che l'innominabile gestisse allora una campagna elettorale. E comunque un popolo che non ricorda certe cose... beh, ci vuole coraggio a impegnarsi nella vita politica con altruismo.
Gli elettori dovrebbero saper fare le differenze: di quantità e di qualità. E invece le fanno in altro senso: alla destra si perdona tutto, alla sinistra nulla, pure se quest'ultima non fa la guerra ai giudici, non cerca di distruggere, per difendere i propri devianti, lo stato di diritto.
Tremendi i dati sulle elezioni del presidente della Lombardia. Il razzismo – un razzismo diffuso e duro – è una delle chiavi per interpretare quel che sta succedendo. E la stampa progressista non lo combatte. Immagino la televisione... Queste sono le inadempienze della società civile, intellettuale e le gravi mancanze del popolo.
Altri esempi di oggi. Ultima amaca di Michele Serra (che diede addosso qualche settimana fa a una precaria che, in modo certamente poco diplomatico, aveva dichiarato la propria ribellione al nepotismo, portanto un esempio): gli elettori di Grillo, nel pezzo di Serra, sarebbero relativamente giovani e perciò il “grillismo” sarebbe un politica generazionale. Altre voci, ieri sera
(non ricordo se si trattasse di Curzio Maltese), dicevano sempre da Repubblica, che il grillismo non è assolutamente un “fenomeno” generazionale, ma in tutti i sensi trasversale. Si mettano d'accordo, non si tratta di opinioni, ma di informazioni a cui dei giornalisti dovrebbero riuscire ad accedere abbastanza facilmente. Io, personalmente, sono stufa di discorsi generazionali, ormai li trovo asfissianti e pigri e strazeppi di luoghi comuni.
Ezio Mauro oggi, in Repubblica Tv, dice che Bersani avrebbe dovuto alzare le vele di sinistra, del cambiamento. Ma vorrei chiedergli: con Monti? Non era questo che auspicavano Repubblica, il suo direttore e il suo vicedirettore, fino a ieri? Perché assumere quest'atteggiamento d
a predicatori sulle vele di sinistra che non sarebbero state alzate?
Non voglio incattivirmi con un giornale che in fondo amo e che ha fatto una coraggiosa lotta contro l'indegno. Però
La Repubblica offre un paradigma significativo.
Penso che se chi ha in mano le leve della cultura e dell'educazione – insegnanti di tutti i livelli, dalla scuola materna all'università, uomini e donne delle professioni, dirigenti di case editrici, uomini e donne della televisione, delle istituzioni artistiche ecc. ecc. - anche a prescindere dai quadri giuridici in cui sono costretti a operare – non si responsabilizza e non cerca di introdurre diritti e rinnovamenti nel suo lavoro, di produrre la grande ondata pedagogica, manzoniana, di cui ci sarebbe un disperato bisogno,
non si uscirà da questa situazione orribile. Smettere di parlare di carisma e di pance, per favore: si parli di lavoro, di educazione, di compiti, rinnovamento e responsabilità di chi è già privilegiato. Parlare un po' più di società, di se stessi, di coloro che ci stanno vicini; un poco meno, in queste giornate, di politici cattivi di sinistra esposti a tutte le prediche e le ingiurie di una società malata.

Infine voglio segnalare il voto estero. Però prima una precisazione: Sinistra Ecologia e Libertà ha avuto un esito non soddisfacente in Italia e anche all'estero, anche se non in tutte le circoscrizioni estere si è presentata. In Europa era presente, ma neppure qui ha avuto brillanti risultati. Comunque, nella mia valutazione, Vendola ha fatto moltissimo, ha potentemente contribuito a restituire al Pd un volto, per dirla in una forma sintetica certamente povera, "di sinistra". Speriamo che non ci siano nuovi arretramenti, sotto la furia degli accusatori interni ed esterni.

Comunque il voto estero, pur se di una minoranza, è indicativo di una visione più larga, di un respiro ben più europeo e mondiale, Puoi vederne la sintesi in  questo link.