"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

martedì 22 febbraio 2011

ARABISTI E ARABESCHI 28- AL ÁNDALUS 9 – Miguel Asín Palacios, Alfonso el Sabio, Ibn Arabi, Brunetto Latini, Dante Alighieri


Il re cristiano Alfonso X el Sabio è in Spagna un mito, un po’ come in Italia, specialmente in Puglia, dove sono nata, lo era l’imperatore Federico II di Svevia. Alfonso X guidò la riconquista di Cadice e di altre città dell’Andalusia; poi, fra il 1252 e il 1284, fu re di Leon e di Castiglia. Pur riconquistatore, favorì davvero l’incontro e lo scambio fra le tre culture, valorizzando la Escuela de traductores di Toledo, che esisteva già e ebbe il compito di diffondere il castigliano (l’attuale spagnolo), ma anche quello di tradurre in latino (e a volte anche in castigliano) importanti opere letterarie, scientifiche, filosofiche soprattutto arabe.
Alla corte di Alfonso X ci capitò come ambasciatore del comune di Firenze Brunetto Latini, maestro di Dante, che, come si sa, dopo che morì, fu cacciato dall’illustre allievo nell’inferno, sotto una pioggia di falde di fuoco. Brunetto Latini doveva forse aver raccontato a Dante di un grande intellettuale di cui si parlava alla corte di Alfonso el Sabio, Abu Bakr Muhammad ibn al-Arabi al-Hatimi al-Ta'i – ma lo chiameremo semplicemente Ibn Arabi. Questi era nato e vissuto in Spagna, nel 1198 se ne era andato in Oriente e aveva finito i suoi giorni a Damasco. Filosofo, teologo, poeta sufi, aveva scritto un’opera in ben dodici volumi, al-Futuhat al-Makkiyah (Le Rivelazioni della Mecca), in cui esponeva i molteplici aspetti della mistica islamica.
I libri di di Ibn Arabi non furono tradotti, ma gli intellettuali che stavano alla corte di Alfonso X probabilmente ne conoscevano contenuti. Una parte de Le rivelazioni della Mecca può essere considerata un’affascinantissima operetta a se stante: si tratta dell’Alchimia della felicità, che da un po' di tempo si trova anche in italiano, ma pare sia fuori catalogo.. Nell’Alchimia della felicità Ibn Arabi racconta che due amici, un devoto che si affida alla fede in Allah e un presuntuoso filosofo razionalista, attraversano i sette cieli (gli stessi di gran parte del Paradiso di Dante: ovvio, entrambi gli scrittori facevano riferimento alla visione aristotelico-tolemaica dell’universo). Il credente, nel corso del viaggio, viene accolto con intenso affetto da grandi personaggi della tradizione biblica (Adamo, Abramo, Mosé, Aronne, Gesù, Giuseppe…), che gli spiegano le supreme verità sull’uomo, sull’universo, sulla sostanza che è a fondamento del tutto: sono conoscenze che non possono entrare per l’ingannevole porta dei sensi e quella stretta dell’intelletto umano, ma solo per la larga via dell’abbandono mistico. Invece il filosofo presuntuoso riesce a capire solo aspetti superficiali dei diversi pianeti, resta escluso dalla conoscenza vera e profonda e resta assai frustrato.
Secoli e secoli dopo, nel 1910, Miguel Asín Palacios, ecclesiastico e arabista, pubblicò un libro, La escatología musulmana en la Divina Comedia., in cui, attraverso una confronto minuto, sosteneva che una delle fonti dell’opera di Dante Alighieri era costituita da scritti musulmani - gli hadîth, racconti orali che Maometto avrebbe fatto a suoi seguaci e che, dopo essere stati tramandati per qualche generazione, sarebbero stati stesi per iscritto da sapienti. Fra questi racconti, di particolare importanza sono quelli che narrano di viaggi notturni del Profeta: dalla Mecca a Gerusalemme, da Gerusalemme al cielo. Chi volesse conoscere meglio il lavoro di comparazione di Asín Palacios, può cercare il libro, che è stato pubblicato già da anni in traduzione italiana, con l’aggiunta di un secondo volumetto in cui lo studioso risponde alle obiezioni e ai consensi che ha ricevuto da altri arabisti spagnoli ed europei. Non l'ho trovato tuttora in vendita in Italia.
Non intendo, naturalmente, riassumere qui tutta la vicenda e meno che mai prendere posizione su quanto sostiene Asín Palacios. Tuttavia, prima di ritornare a Ibn Arabi, val la pena di ricordare alcune cose che successero dopo la pubblicazione de L’escatologia. Una delle principali obiezioni alle tesi dell’arabista spagnolo stava nel fatto che gli hadîth, e l’opera del teologo sufi al tempo di Dante non erano state tradotte né in latino né in altra lingua che il nostro grande fiorentino potesse capire. E appunto a proposito di questa obiezione, Asín Palacios, soprattutto in riferimento all’opera di Ibn Arabi, fece presente che nel Medioevo, quando la stampa non c’era e i libri erano pochi e costosissimi, gran parte delle conoscenze si trasmettevano oralmente. Ed ecco allora che Dante, come dicevo sopra, poteva essere stato informato dei contenuti dell’opera di Ibn Arabi e di altri scritti musulmani da Brunetto Latini, ambasciatore alla corte di Alfonso el Sabio…
Ma Asín Palacios fu sfortunato: non solo osò mettere in relazione scritture arabe con la Commedia di Dante in un tempo in cui molti europei erano convinti della propria superiorità, ma per giunta morì nel 1944, cinque anni prima che un ricercatore italiano e uno spagnolo, in contemporanea, scoprissero i codici di due traduzioni, una in francese antico, l’altra in latino, di un hadîth (considerato peraltro apocrifo dai sapienti musulmani) che raccontava entrambi i viaggi notturni di Maometto: dalla Mecca a Gerusalemme e da Gerusalemme al cielo. Sembra che al tempo di Dante la traduzione in latino di quest’hadîth fosse conosciuta in Italia, e quindi potesse essere passata per le mani del grande fiorentino. Dove pare siano state fatte le due traduzioni finite in luoghi lontani? Ovvio, alla Escuela de traductores de Toledo! Ora anche Il libro della scala si trova in traduzione italiana ed è stato messo on-line http://www.classicitaliani.it/dante/critica/Maometto_scala.htm.
Il paradiso raccontato in questo libretto ha mille colori, bagliori, pietre preziose, tendaggi fantastici di seta e velluto, angeli immensi, uri, e non manca neppure qualche scorcio dell’Inferno. Sembra proprio lontano dall’aldila`dantesco, anche se alcuni critici e studiosi importanti di ieri e di oggi considerano fondamentali certe analogie strutturali fra le due opere.
Se la lettura de Il libro della scala è facile e piacevole, quella del racconto oltremondano del platonizzante Ibn Arabi è difficile e avvincente. Il pensiero va a Dante, a prescindere da questioni di fonti e derivazioni. I due, che sono profondamente diversi non solo per appartenenza religiosa, suscitano tuttavia nel lettore emozioni della stessa specie.
Una pìccola digressione: nella Escuela de traductores di Toledo pare che insegni tuttora Jaime Sánchez Ratia, quello straordinario arabista che ha tradotto in castigliano poesie arabe e anche El collar de la paloma di Ibn Hazm: l'ho citato tante volte in questo mio percorso.
Concludo con un passo tratto dall’Alchimia della felicità:

Ed è la stessa cosa nei paradisi dove, a ogni istante, sorgono una creazione nuova e un piacere nuovo, affinché la noia non possa sopraggiungere, poiché non c’è dubbio che ogni cosa naturale, se viene costantemente associata senza alcun cambiamento allo stesso fenomeno, produrrà noia nell’uomo”.

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