"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

*************************
Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

domenica 13 febbraio 2011

ARABISTI, ARABESCHI 25- POETI DI AL-ANDALUS 6 – Il grande Ibn Hazm e i suoi traduttori – Seconda e ultima parte


Dice Jaime Sánchez Ratia: “In Ibn Hazm la cultura greca […] è solo vernice […]. Le sue disquisizioni aristoteliche sono imbroglione, perle per stupire un poco […]. La stessa cosa può dirsi delle sue metafore scientifiche sulla magnetite o la luce...” (Ibn Hazm, El collar de la paloma, trad. de J.Sánches Ratia, cit.; pag. XXX; ovviamente la traduzione dallo spagnolo è mia). Eppure un passo de Il collare della colomba mi ha fatto venire in mente Guido Guinizelli, che, com'è noto, visse due secoli e mezzo dopo di lui, e, come sarebbe accaduto anche agli stilnovisti di seconda generazione, si nutrì di aristotelismo, che era mediato dalla Scolastica (gli stilnovisti non conoscevano il greco, neppure Dante lo conosceva; forse uno dei primi grandi scrittori che si mise a studiarlo, nell'Italia del basso Medioevo, fu l'anziano Giovanni Boccaccio, con l'aiuto di un frate). Mi guardo bene dal suggerire una dipendenza: un'affermazione del genere sarebbe frutto di stupidità e di presunzione immense.
Però, visto che in queste mie letture di poesie antiche non presumo di usare né rigore stringente né conoscenza profonda, e può essere divertente trovare relazioni strane fra poeti geograficamente, temporalmente, culturalmente lontani, propongo la lettura di un passo del Collare e di un altro della canzone del primo Guido stilnovista, Al cor gentil reimpara sempre amore.

Ecco il passo di Ibn Hazm. Il poeta ha alluso poco sopra all'idea, di origine platonica, della originaria unità fra l'anima dell'amante e quella dell'amato, che poi si sarebbero traumaticamente scisse incarnandosi; inoltre ha affermato nel passo precedente che l'anima dell'amante, vale a dire di quello fra i due che è consapevole dell'amore che lo lega all'altro, ha memoria dell'unità primordiale, perché è pura da contingenze – da accidenti terreni – che velino il suo sguardo; mentre l'anima dell'amato è prigioniera di tali accidenti che le impediscono di scorgere l'amore spirituale che la lega all'amante. L'amato è come il ferro che domina, l'amante come la calamita. Per Ibn Hazm è il ferro che attrae la calamita, non viceversa (era una convinzione comune tra gli arabi del tempo, lo spiega in una nota lo stesso Sánchez Ratia):

... l'anima dell'amante, che è libera dagli accidenti e conosce il luogo che condivideva [con l'anima dell'amato], standole vicina, la richiede, si incammina verso di lei, aspira a lei, desidera incontrarla di nuovo, e se potesse la attrarrebbe a sé, come fa con la calamita il ferro. Certo, la forza dell'anima della calamita, quando entra in contatto con la potenza che emana dall'anima del ferro, non giunge a dominarlo e neppure a liberarsi dalla sua attrazione in modo da essere lei a condurre il ferro a sé, nonostante partecipi della sua forma e sostanza. È la forza del ferro, con la sua potenza, quella che chiama e a sé ciò che gli è affine e lo attrae, giacché il movimento viene sempre dal più forte, e la forza del ferro, quando è lasciata a se stessa e non subisce restrizione alcuna, cerca quel che gli somiglia, salta fino ad esso, e lo forza verso di sé, naturalmente e necessariamente, e non per scelta o decisione.” (Ibn Hazm, Sánchez Ratia, op.cit.; pg. 29; traduzione mia)

E ora un passo della Canzone di Guido Guinizelli (se vuoi leggerle tutta, clicca qui.:
...
Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
[...]
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’adamàs del ferro in la minera.
...

Certo, somiglianze esili. Inoltre è incerta l'interpretazione della parola “adamàs”: può essere il diamante, che i lapidari medievali ritenevano fosse attratto dal ferro, o anche semplicemente la calamita (v. R.Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, vol. 1, Palermo, Palumbo 1996, pag. 301, note).
Comunque questa ricerca nella natura di analogie – calamita e ferro, fiamma e torcia, ecc.-, che “spieghino”, offrano modelli che permettano di “capire” la forza dell'attrazione amorosa (solo spirituale? Su questo Ibn Hazm fa un lungo discoro, che non posso riportare qui) mi pare qualcosa che per strade misteriose o ricostruibili, chissà, attraversa i secoli. Mi pare che in Ibn Hazm e in Guido Guinizzelli ci siano su questo tema pensieri simili.
Ed ecco un'ultima poesia di Ibn Hazm, questa volta tratta dalla traduzione di Emilio García Gómez:

Appartieni al mondo degli angeli o a quello degli esseri umani?

Appartieni al mondo degli angeli o a quello degli esseri umani?
Dimmelo, perché la confusione si prende gioco del mio intelletto.
Vedo una figura umana; però, se mi affido alla mia ragione,
trovo che il tuo corpo è un corpo celeste.
Benedetto sia Colui che bilanciò il modo d’essere delle sue creature
e fece sì che, per sua natura, fosse luce splendente!
Non posso dubitare che tu sia un puro spirito che si è avvicinato a noi
per un’affinità che lega le anime.
Non c’è prova che attesti la tua incarnazione, la tua presenza corporea,
né altro argomento se non il fatto che sei visibile.
Se i nostri occhi non contemplassero il tuo essere, diremmo
Che tu sei la Sublime Vera Ragione.

(da Ibn Hazm, El collar de la paloma trad. por Emilio García Gómez, cit.; trad mia in italiano.)









Nessun commento:

Posta un commento