"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

sabato 9 ottobre 2010

COSE DI SPAGNA, D'ITALIA E D'EUROPA – Qualche dato recente sull'integrazione dei gitani in Spagna

È uscito oggi, 9 novembre, un articolo su El País che fa il punto sul cammino d'integrazione dei gitani in Spagna. L'autore è Jesús Caldera, vicepresidente della Fondazione Fondazione IDEAS; è stato nel passato anche Ministro del Lavoro nel Governo di Spagna.
Traduco i passi più significativi, invitando naturalmente chi conosce un po' di castigliano, a leggere tutto l'articolo di cui riporto il link..
Non mi stanco di ripetere che i gitani in Spagna sono, in numero assoluto, sei volte gli “zingari” che si trovano in Italia, in percentuale la differenza cresce; e che i gitani spagnoli non sono “speciali”: sono arrivati in Spagna con le stesse tre grandi migrazioni con cui sono arrivati in Italia.

Di seguito alcuni dei passi più importanti dell'articolo.
Fu la Costituzione spagnola de 1978 che stabilì i meccanismi di inclusione e rispetto di tutti i gruppi etnici e culturali, prevenendo e impedendo l'esclusione. E bisogna dire che questa è stata la politica dello Stato, seguita dalle differenti forze politiche che hanno esercitato il potere. In questi 30 anni si è praticamente sradicato l'analfabetismo tra i gitani, quasi il 100% dei loro bambini sono scolarizzati, anche se l'abbandono scolare è superiore alla media, il “chabolismo” (l'uso di baracche come abitazioni) è in regressione, la comunità gitana non pratica il nomadismo e il 95% dei suoi membri vivono stabilmente in città e risiedono in appartamenti dei quali in maggioranza sono proprietari, il che favorisce la loro integrazione sociale. In questi anni sono stati sviluppati intensi programmi di politiche attive di impiego, specialmente dopo l'entrata della Spagna nella Unione Europea, con la collaborazione del Fondo Sociale Europeo; tali politiche si sono poste come obiettivo quello di promuovere la formazione professionale e occupazionale dando priorità ai gitani senza lavoro. Ciò ha permesso di ridurre drasticamente il loro tasso di disoccupazione e di garantire che, anche oggi, in mezzo a una severa crisi economica, più del 75% dei membri di questa comunità abbia un'entrata stabile. Ancora ricordo che, mentre ero ministro del Lavoro del Governo spagnolo, in due occasioni, la Commissione Europea mise in risalto i nostri programmi di integrazione come modelli di buone pratiche, invitando altri paesi europei a seguire l'esempio spagnolo.
Recentemente, Ivan Ivanov, come ricorda la rivista Time, direttore esecutivo dell'Ufficio della Informazione Europea sul Popolo Gitano, così si è espresso: 'La Spagna ha fatto molto più che altri stati membri per integrare i gitani, e adesso dobbiamo garantire che questo successo si trasmetta agli altri stati'.”


Perché, mi chiedo, la nostra stampa non parla di tutto questo?
Perché spesso fa del sensazionalismo sulle drammatiche vicende di sinti e rom nel nostro e in altri paesi,, ma nessuno, proprio nessuno, volge lo sguardo a quanto si è fatto e si continua a fare in Spagna? Far conoscere un esempio positivo, reale, fattibile, sebbene necessariamente ancora imperfetto, che riguarda un grandissimo numero di persone, varrebbe ben più di mille dichiarazioni di compassione e di mille disquisizioni, certe volte proprio da bar, su chi siano gli “zingari”, se buoni o cattivi, se integrabili o irriducibilmente altro da "noi".
Non capisco perché La Repubblica, L'Unità, Il Manifesto (per citare solo tre giornali che per lo più di prodigano per il progresso e per la giustizia sociale), non si occupino, quando parlano di questa minoranza, dell'esempio spagnolo. Pare una specie di congiura del silenzio

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