"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

domenica 17 ottobre 2010

ARABISTI E ARABESCHI 22 - AL-ANDALUS 3 – Il contesto, terza parte - Cantatrici raffinate, poeti e musici tra arabi e cristiani

Sotto il franchismo, gli studi di arabistica continuarono, ci furono grandi arabisti che in ambiti accademici e specialistici godevano di grande stima. D’altra parte il caudillo si era appoggiato a un generale del Marocco nella sollevazione contro la Repubblica spagnola, e il ricordo delle violenze commesse dalle truppe marocchine contro la popolazione civile, con il beneplacito della Chiesa, ha lasciato per lungo tempo tracce di diffidenza negli antifranchisti.

Gli studi della cultura araba, comunque, durante e dopo il franchismo, per anni, sono restati negli ambiti specialistici; quello che si scopriva non è giunto o è giunto in minima parte ai libri scolastici. Dalla cultura ufficiale è stata privilegiata, nella considerazione del passato, la linea latina-visigota-cristiana. A questo proposito Juan Castilla Brazales, autore di un’affascinante opera al tempo stesso divulgativa e molto documentata, Andalusiés, la memoria custodiada, ed.Fundación El legado andalusí, 2004, si esprime così, in un’intervista del 2003: “Senza dubbio, in epoche passate il peso della cultura araba è stato sempre un argomento lasciato da parte, c’era una crociata contro tutto ciò che si denominava tra virgolette 'moro'. Era un tema tabù e purtroppo durante decadi e decadi tutto ciò che ha a che vedere con questi otto secoli – che sono tanti! – è stato riassunto in una pagina e mezzo nei libri di testo, e il professore, se poteva, non approfondiva per non cacciarsi nei guai”.

In Italia, dove pure, a livello accademico, c’è una grande tradizione di studi di arabistica, i ricchi risultati di tali ricerche non planano certamente sui libri per i nostri studenti.
Molti si sono opposti all’inserimento nella Costituzione europea del forte riferimento alle radici giudaiche-cristiane, in nome di un’eredità plurale, ma - cosa che di questi tempi avviene spesso per la memoria e le memorie, che difficilmente vengono interrogate, ma usate spesso come armi di offesa - non si fa nulla o si fa poco per ridare vita a questo passato molteplice: meno che mai, nelle nostre scuole.

Eppure furono molteplici gli apporti e gli scambi tra cultura e specificamente lirica araba e cultura e lirica cristiana. Riporto in proposito alcuni fatti che racconta in proposito Brazales nella sua opera. In Al-Andalus venivano formate al canto e alla danza molte ragazze, per lo più schiave, ed erano numerosi i musicisti e musicisti-poeti. Molti gruppi musicali e di ballo in cui avevano un ruolo centrale le cantatrici-ballerine, nonostante gli scontri fra “mori” e cristiani che si ebbero nel corso della riconquista, venivano richiesti dalla corti cristiane perché intrattenessero piacevolmente i nobili e i sovrani. Siviglia, in particolare, era famosa per la formazione assai raffinata di queste ragazze. Ciascuna schiava era accompagnata da una certificazione sulla formazione ricevuta, sulla conoscenza della lingua araba scritta, sul repertorio di canzoni che conosceva a memoria, sugli strumenti che sapeva suonare, sulle sue capacità di ballerina... E quelle davvero brave, pur restando schiave, potevano arricchirsi.
Racconta Brazales (op.cit., vol.I, pag. 488-489) che Guglielmo VIII, duca d'Aquitania, partecipò a una spedizione indetta da uno dei re cristiani, che si concluse provvisoriamente con la sconfitta dei “mori” e la presa di Barbastro (1064). Il duca ricevette, tra i premi per la sua partecipazione all'impresa, un cospicuo gruppo di schiave cantatrici e ballerine. Il figlio del duca, Guglielmo IX d'Aquitania, è considerato il “padre” della lirica provenzale: molti di noi hanno letto su antologia scolastiche la sua famosa canzone, "Come il ramo del biancospino". Sono tanti i temi presenti nella grande lirica in arabo di Al-Andalus che tornano nella poesia provenzale in lingua d'Oc: anche questa destinata al canto, alla danza, al piacere delle corti. Con questo non intendo affermare – non sarei in grado di sostenerlo – che ci siano rapporti di stretta dipendenza della poesia cortese in terra di Provenza dalla lirica araba. Sono però diversi gli studiosi che hanno posto questa ipotesi, e comunque mi interessa sottolineare la permeabilità dei “confini” fra le diverse culture.

Daniela Amaldi, dedica gli ultimi due capitoli della sua bella
Storia della letteratura araba classica, più volte citata, alle relazioni complesse fra cultura araba e mondo cristiano e fra letteratura araba e letteratura italiana del Medioevo e del Rinascimento, offrendo molteplici tracce che giovani di belle speranze – devono pure esserci nel mio paese, nonostante i disastri combinati da chi governa - potrebbero seguire per cercare e portare festosamente alla luce fili sotterrati dalla trascuratezza, dalla pigrizia e dall'oblio: sarebbe utile per gli europei non arabi, ma penso anche per le persone di tradizione culturale araba, che in molti casi ricordano questo grande mondo del loro passato per stereotipi: pare si sia persa da tutte le parti la memoria di una grande cultura estremamente variegata, in cui correnti che oggi diremmo “fondamentaliste” si intersecavano e molte volte erano portatrici di uno spirito assai più laico e libero rispetto al “pensiero quasi unico” proprio del mondo cristiano dell'Alto Medioevo.

Afferma Daniela Amaldi: “ L'arabizzazione dei costumi e della lingua dei cristiani di al- Anadalus era certo diffusa se, forse con un po' di esagerazione. Alvaro di Cordoba scriveva, nel suo Indiculus luminosus, una famosa pagina in cui dice, fra l'altro: i cristiani amano leggere i poemi e le narrazioni degli Arabi […] per uno che scrive a un amico una lettera in latino, ce ne sono mille che scrivono con eleganza in arabo.” (D.Amaldi, op.cit., pag. 198)

Nei post che seguiranno, porterò esempi di scrittura poetiche di Al-Andalus e, tutte le volte che potrò, indicherò qualche relazione fra testi arabi-andalusi e testi della nostra tradizione che mi vengono in mente. Non indicherò solo relazioni messe in evidenza da arabisti di ben altro livello che il mio (non sono arabista!), ma anche semplici somiglianze tematiche che mi divertirò a cogliere nella mie letture, beninteso, senza la minima pretesa di rigore scientifico. Un gioco che spero sia bello per me e per qualcun altro.

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