"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

giovedì 29 luglio 2010

ARABISTI E ARABESCHI 12 - LA POESIA NELL'ETÀ DI MAOMETTO E DEGLI OMAYYADI 5 – Crudeli guerrieri in nome della fede

Un ultimo post su poeti dell'epoca omayyade. Nel mio tentativo di percorso nella poesia araba del Medioevo, ho privilegiato testi che hanno al centro il tema dell'amore sensuale e spirituale e del rapporto essere umano-natura. Presso gli arabi e poi presso i popoli islamizzati è però molto ampia, in tutte le epoche, anche la produzione di poesia religiosa. Porterò in questo scritto qualche esempio di composizioni di poeti kaharigiti, particolarmente interessanti, a giudizio di arabisti italiani come Francesco Gabrieli, Virginia Vacca e Daniela Amaldi.
Sono venuta da poco in possesso della Storia della letteratura araba classica dell'Amaldi, prima edizione 2004, Zanichelli. Si tratta di un manuale agile, è usato nell'Università Ca' Foscari di Venezia, insieme alle già più volte citate opere di Francesco Gabrieli e di Virginia Vacca. L'Amaldi racconta con particolare cura i contesti, e, nei limiti del possibile, inserisce nella sua storia letteraria, stralci di testi, naturalmente in traduzione, come ha già fatto Francesco Gabrieli ne La letteratura araba.
Ho accennato al movimento kharigita in un mio precedente post un mio precedente post. Vale la pena riprendere il discorso su quest' “eresia” che accompagna e sconvolge l'Islam quasi appena nato.

 Il movimento kahrigita sorse nel corso della fitna che portò prima all'uccisione del califfo Otman (656) e poi allo scontro per la successione fra Ali, genero di Maometto, e Mu'awiya, che ebbe la meglio e diede inizio alla dinastia omayyade. I kharigiti, che avevano in un primo tempo simpatizzato per la fazione di Ali (da cui sarebbero discesi gli sciiti), si contrapposero successivamente pure allo sciismo. Erano portatori di un estremismo politico-religioso e di un rigorismo morale assoluto, consideravano i musulmani di diverso orientamento e soprattutto coloro che detenevano il potere come peccatori pagani, sostenevano una forma di democrazia radicale – oggi diremmo di “democrazia diretta” - con elezione e successivo controllo della guida politica e spirituale da parte del popolo dei fedeli, conducevano una guerriglia crudele, che ammetteva, anzi prescriveva persino l'uccisione dei bambini figli di “peccatori”, una guerra diretta soprattutto contro i musulmani che costituivano la maggioranza della umma (il popolo dei fedeli); non rivendicavano alcun primato per la componente araba, in questo avevano una sorta di vocazione universalistica coerente con l'ansia di diffusione universale dell'Islam, e si diffusero in varie parti dell'impero musulmano.
Il prof. Richard Pennell, straordinario studioso che attualmente insegna nell'Università di Mebourne, ha scritto un bel volumetto tradotto in spagnolo da Alianza Editorial, fra
los libros de bolsillo (libri tascabili): in spagnolo, Breve historia de Marruecos.
Piccola digressione: dispiace che questo libro pubblicato in traduzione da una grande casa editrice spagnola non porti notizia dell'autore e si scompagini completamente mentre si legge, tanto è scadente la sua rilegatura. Se fosse vero che
aver compagno al duol scema la pena (ma io non ci credo), questa trascuratezza colpevole di un'importante casa editrice spagnola mi farebbe sentire meno acutamente il dolore per analoghe numerose male azioni di case editrici italiane.
Il prof. Pennell dà ampio spazio al movimento kharigita che penetrò nel Maghreb e riuscì ad esercitare un'egemonia politica, morale e religiosa su ampie zone e per periodi abbastanza prolungati.
Il movimento kharigita venne annientato in epoca abbaside.

Non so se possa essere confrontato, almeno per qualche aspetto, con movimenti ereticali cristiani, che secoli dopo germogliarono contro il papato corrotto. Fu comunque il primo movimento “fondamentalista” della storia dell'Islam, e, come forse anche i nuovi fondamentalisti dei tempi nostri, ce l'aveva soprattutto con altri musulmani, e specificamente con le corti califfali, considerate troppo mondane e peccaminose.

I poeti kharigiti, come spiegano Francesco Gabrieli e Daniela Amaldi, per il vigore dei loro versi, l'esaltazione dello spirito eroico e del gruppo di appartenenza, si pongono nel solco della tradizione preislamica, della poesia della jiahiliyyah; si tratta tuttavia non di eroismo e orgoglio tribale, ma di ansia di morte eroica sostenuta da una fede radicale. Le loro composizioni evocano l'antica casida, ma, a differenza di questa, sono per lo più monotematiche. Inoltre i poeti kharigiti rifuggono da ornamenti linguistici e retorici.

Tra i poeti guerrieri più famosi, ci fu Qatari ibn al-Fuja'a, che morì nel 700 combattendo contro l'esercito del califfo omayyade Abd al-Malik.
Ecco un passo di una sua composizione riportata da Francesco Gabrieli:

Dico all'anima mia

Dico all'anima mia, che balza smarrita dinanzi ai prodi: o tu, non temere!
Se tu chiedessi di sopravvivere un sol giorno al termine a te fissato, non saresti esaudita,
Coraggio dunque, coraggio, sul campo ove si aggira la morte. Non si può ottenere l'eternità.
La via della morte è la meta di ogni vivente, e il suo appello chiama la gente della terra.
Chi non è rapito nel fior degli anni, arriva stufo alla vecchiaia, e il destino lo consegna alla sua fine.
Nessun bene c'è nella vita dell'uomo, quando ei venga tenuto per un inutile rifiuto.

Ma, precisa Gabrieli, “alla fantasia del guerriero khargita si profila l'al di là coranico, di retribuzione

oltremondana:
… Non
vedi l'inesorabile calar della morte, la fatale resurrezione di quei che son nelle tombe?

Risorgeranno scalzi e nudi, mentre il lor Signore darà il guidernone, e chi avrà guadagnatom e chi sarà perdente.”


at-Tirimmah ibn al-Hakim, di origine yemenita, nato però in Siria, fu studioso di grammatica, poeta di corte presso i califfi omayyadi. Si volse al movimento khargita, e operò in Persia. Pare che successivamente si sia distaccato da questo movimento e si sia rivolto allo sciismo.

Ecco alcuni suoi versi, del periodo khargita:


Signore, se l'ora della mia morte è giunta...


Signore, se l'ora della mia morte è giunta, non sia essa su di una barella coperta da verdi drappi.

Ma sia la mia tomba il ventra di un avvoltoio, che abita l'aria del cielo, tra incombenti uccelli da preda.

Che io cada da martire, prostrato in mezzo a una schiera di caduti, colpiti in un terribile passo!

Cavalieri di Banu Shaibàn (1), stretti insieme da un vincolo del timor di Dio, scendenti in campo quando gli eserciti si scontrano.
Lasciando il mondo, han lasciato ogni affanno, e son passati al luogo promesso dal Libro Sacro.

(tutti i brani di composizioni poetiche sono tratti da Francesco Gabrieli, La letteratura araba, cit.)

(1) Banu Shaibàn era il nome di una tribù di fede kharigita.

    A settembre la prima puntata sull'epoca degli Abbasidi.


    Se vuoi leggere il precedente post sulla poesia araba dell'epoca omayyade, clicca qui.

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