"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

*************************
Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

domenica 13 giugno 2010

ARABISTI E ARABESCHI 8 - LA POESIA NELL'ETÀ DI MAOMETTO E DEGLI OMAYYADI 1 – Califfi, fitna, arabo classico e poeti

Durante la vita del Profeta Maometto (La Mecca, 571- Medina, 632) fu conquistata all'Islam buona parte della penisola arabica; dopo la sua morte, la Siria, la Palestina con Gerusalemme, la Mesopotamia persiana, l'Egitto con Alessandria, la Persia, parti dell'India, parte dell'Armenia, il Tagikistan, il Kazakhistan, l'Afganistán e l'Uzbekistán; più ad Occidente, l'Africa del Nord, fino al Maghreb, e poi la Penisola iberica. Gli arabi si arrestarono alle frontiere dell'Anatolia e dei territori balcanici, dove sarebbe sopravvissuto per alcuni secoli l'Impero Bizantino, pur dopo aver ceduto le province della Siria e dell'Egitto; e alle soglie della Francia. La famosa sconfitta inflitta da Carlo Martello a un governatore arabo, che mirava, più che a conquiste territoriali, a saccheggi di patrimoni ecclesiali cristiani, fu considerata da scrittori occidentali del tempo come un evento epocale, la vittoria della cristianità sulla presunta ambizione dei musulmani di estendersi nel mondo occidentale.

Le conquiste cui si è fatto cenno iniziarono nell'epoca dei primi quattro califfi – così erano chiamati i capi supremi della nazione islamica, la umma -: erano detti califfi rashidun (= ben diretti), perché parenti o compagni del Profeta; e poi proseguirono con la dinastia degli Omayyadi (661-750), espressione di potenti clan, che posero la capitale a Damasco.

Mentre regnavano gli Omayyadi, si ripeté più volte la fitna- guerra interna al mondo musulmano - che generò congiure e assassini politici, e infine avrebbe portato alla separazione fra sciiti (concentrati soprattutto in Iran, ma largamente presenti anche nell'attuale Irak e in altre zone) e sunniti. Al termine della prima guerra civile, il titolo califfale restò agli Omayyadi, che mantennero il potere per novant'anni.


Nonostante i conflitti e le tragedie che percorsero tutta l'epoca degli Omayyadi di Damasco, questa dinastia favorì la sistematizzazione dell'eterogeneo patrimonio culturale arabo e musulmano, anche al fine di legittimazione ideale e culturale del proprio potere. Al contempo, il nascente impero si pose come sintesi suprema, non solo in ambito religioso, ma anche architettonico, filosofico e letterario, di precedenti culture.
Lo storico britannico Ira M. Lapidus, nella sua bella Storia delle società islamiche, I, Le origini dell'Islam, Einaudi, Torino 2000 , racconta così alcuni aspetti del califfato omayyade: "La corte del califfi Omayyadi divenne il teatro in cui si rappresentava lo spettacolo della regalità. Alla residenza del califfo si accedeva attraverso portali cerimoniali; la sua struttura era un atrio longitudinale culminante in una stanza ad abside o a cupola, un motivo osservato a Damasco, al-Wasit, Mushatta e successivamente a Baghdad, derivato da modelli ellenistici, romani, bizantini e sassanidi e ripetuto nella corte imperiale. Il califfo teneva udienza indossando la corona e abiti regali, seduto sul trono e velato da una tenda che lo sottraeva alla vista dell'uditorio. I cortigiani erano allineati, seduti o in piedi, lungo i lati dell'atrio. La giornata del califfo comprendeva consultazioni e ricevimenti, preghiere e intrattenimenti privati: caccia, musica, danze muliebri, vino e lettura di poesie. [...]
La poesia di corte glorificava il sovrano e lo soffondeva di un'aurea divina. I poeti di corte si rivolgevano al califfo come al-khalifat allah (il rappresentante di Dio)." (pgg.92-93)

In un mio precedente post, ho accennato alle caratteristiche della lingua araba e alla funzione fondamentale del Corano nella sua codificazione. In un altro passo dell'opera citata, Lapidus illustra l'evoluzione della letteratura e della lingua araba in epoca omayyade: "Al pari dell'arte [lo storico si riferisce soprattutto all'architettura di cui ha parlato lungamente nelle pagine precedenti  della sua opera], la letteratura servì alla realizzazione del disegno imperiale. Strettamente intrecciata alla religione dell'Islam, si sviluppò una letteratura araba che toccava temi linguistici, poetici e storici. La letteratura araba, coltivata sia a corte sia nei circoli popolari, fu fortemente influenzata dal retaggio dell'Arabia beduina preislamica, dall'amore degli arabi per la celebrazione delle conquiste e dall'interesse del califfato a servirsi della poesia araba per esprimere la sua affinità con la massa degli arabi e per esaltare il potere imperiale.
Nelle cerchie religiose urbane gli interessi letterari furono intesi come un indispensabile complemento agli studi coranici. Nel secolo successivo alla fondazione di Bassora, Kufa e altre città arabe [furono fondate per lo più nel periodo dei califfi rashidun], la lingua araba si era distaccata dal Corano. Dalle diverse tribù era emersa una lingua franca araba. Le componenti di lingua persiana e aramaica contribuirono a rapidi cambiamenti lessicali, grammaticali, stilistici e sintattici. I mutamenti della lingua araba facevano temere ai dotti religiosi che ci si allontanasse dall'arabo del Corano e si perdesse così il significato delle rivelazioni di Dio. Per impedire che ciò accadesse, era necessario recuperare l'arabo puro della Mecca e delle tribù del deserto e creare una forma classica di arabo. Nella Bassora dell'VIII secolo si intrapresero studi filosofici, lessicografici e grammaticali per stabilizzare l'arabo parlato. Fu necessario rintracciare le radici delle parole, selezionare e spiegare il lessico, dare forme grammaticali e sintattiche per parlare correttamente. Questo sforzo linguistico durò oltre un secolo e produsse quello che ci è noto come l'arabo classico. La grande grammatica di Sibawayh e i primi dizionari in arabo furono il prodotto di questo periodo.
Le ramificazioni culturali degli studi coranici andarono al di là dell'analisi linguistica. Gli studi linguistici si basavano su tutti gli esempi offerti dall'arabo antico. Proprio come i glottologi e gli antropologi dei giorni nostri, gli studiosi di Bassora e di Kufa andavano in cerca dei beduini e registravano le loro poesie e modi di dire. A poco a poco si sviluppò un sapere immenso, che fu trasposto dalla forma orale in quella scritta. Questo sapere comprendeva informazioni sulla vita del Profeta e sulle rivelazioni del Corano, sulle prime conquiste e sul comportamento dei primi capi della comunità musulmana. Quasi tutto ciò che sappiamo di quel primo periodo è stato raccolto nell'VIII secolo. Perciò gli studi religiosi divennero un filo conduttore nell'elaborazione della cultura araba in generale.
Al suo arricchimento contribuirono anche altri segmenti del mondo arabo, di ispirazione più secolare. Distinta dalla poesia classica del deserto, emerse una nuova forma di poesia, che rifletteva gli interessi, gli svaghi e l'immaginario degli ambienti urbani di corte." (Lapidus, op. cit., pgg. 97-98)

Lapidus, che nel passo citato allude anche a una parte dell'epoca successiva, quella abbaside, avvalora dunque la tesi di molti arabisti che collocano la stesura scritta della poesia preislamica nell'VIII secolo, mentre lo spagnolo Federico Corriente, come abbiamo visto, ha qualche dubbio in proposito (se vuoi controllare, clicca qui).

La poesia e la letteratura furono nell'epoca omayyade prevalentemente nazionali, nel senso che furono arabi quasi tutti gli scrittori e i poeti. Tuttavia, forse più nella narrativa e in altri generi che nella poesia, iniziarono a farsi strada e a essere incorporati nella cultura letteraria araba elementi provenienti da altre regioni dell'Impero, soprattutto dalla Persia.

La lirica dell'epoca omayyade ebbe un carattere composito: abbastanza unitaria nella codificazione linguistica, cantò motivi cari alla poesia beduina preislamica, ma fu anche poesia cortigiana, di esaltazione dell'amore sensuale e spirituale, bacchica e pure religiosa.

A proposito di quest'ultima, è necessario accennare al movimento khargita. Nato nel seno della prima fitna del mondo islamico, sosteneva, in opposizione alla corte califfale e alle dinastie, una sorta di "democrazia diretta" per l'elezione del califfo: la umma - comunità dei credenti - avrebbe dovuto scegliere la sua guida terrena e religiosa e rimuovere in qualsiasi momento l'eletto che non si fosse comportato in modo degno e pio. I khargiti furono dunque un movimento che oggi definiremmo "fondamentalista", e con base popolare. Il loro fondamentalismo non si limitò a questioni dottrinali e religiose, ma si tradusse anche in guerriglia interna al mondo musulmano. Come dice Lapidus, "I khargiti formavano piccole bande, composte di solito da trenta a cento uomini. Ogni gruppo era al tempo stesso una banda terroristica e una setta di fanatici religiosi. Erano tenuti insieme dalla convinzione di essere i soli veri musulmani, il che conferiva una giustificazione religiosa alla loro rivolta.". Ammazzavano i nemici e i loro parenti, anche i bambini. L'"eresia" khargita fu distrutta all'inizio dell'epoca successiva, dagli Abbasidi.
Però, come dice Francesco Gabrieli, "La mistica del fanatismo, e il correlativo spirito di dedizione sino al sacrificio supremo, animava quegli uomini dalle mani insanguinate, e dallo spirito proteso verso un ideale celeste. Arabi puri per la più parte, erano insieme asceti, guerriglieri e poeti..." (F.Gabrieli, La letteratura araba, ed. Accademia, Firenze 1967).

Alla prossima, qualche poeta e testo.

Nessun commento:

Posta un commento