"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

martedì 5 giugno 2012

CHI HA PAURA DI ESSERE VALUTATO?


Sulla bella rivista on-line La Voce (si possono condividere o no le posizioni di cui è portatrice, però di una bella rivista si tratta) sono apparsi diversi articoli sui propositi di riforma della scuola dell'attuale governo .
Sono in pensione da molto tempo, ho un'età ragguardevole, però continuo a porgere molta attenzione ai problemi della scuola e voglio dire la mia.

Non sono d'accordo né con le posizioni di chi ha scritto gli articoli su La Voce, né con il commento del bravissimo giornalista Massimo Giannini (lo considero molto acuto e giustamente analitico, pur se non sempre condivido fino in fondo le sue posizioni), né con il senso comune che c'è su questa faccenda.


Sono convinta in base all'esperienza, alla riflessione, a quello che ho letto, di alcune cose fra loro legate:
1. La scuola non può essere valutata come un'azienda: in una fabbrica, che sia di armi o di apparati per lo sfruttamento di energie non inquinanti, il lavoro può essere tradotto in cifre “oggettive”, sia che la fabbrica si trovi a Milano, sia che si trovi a Napoli o in India. Poi ci sono, certo, altre valutazioni che si potrebbero o si dovrebbero fare, ma il livello della produzione è accertabile.
Nella scuola – soprattutto nei livelli di base e intermedi – non è così ovvio quantificare il risultato del lavoro. Ci sono molte variabili di cui bisognerebbe tener conto, anche proiettandole, per quanto possibile, nel tempo. Però è giusto e possibile valutare, con buona approssimazione, il lavoro dell'insegnante, come dirò poi.
2. Limitarsi a valutare ciascun istituto nel suo complesso, con il fine di premiare o “castigare”, è un gravissimo errore: l'efficacia dell'insegnamento si basa in buona parte su capacità e impegno individuali, che non possono essere né trascurati né ignorati. Valutare l'istituto è riduttivo e può diventare fuorviante, appunto perché la scuola non è un'azienda. Che in un istituto ci siano rapporti di collaborazione fra i docenti è auspicabile, ma non si può sacrificare a questo la valutazione del singolo: ci sono ancora i “maestri”, e vanno riconosciuti come tali; quelli che non sono tali vanno stimolati, nei limiti del possibile, a diventarlo.
3- Luigi Berlinguer è stato per me il miglior ministro dell'istruzione degli ultimi decenni: combattuto da professori universitari per la sua riforma che a mio parere era ottima, però avrebbe richiesto un impegno della docenza per adeguare l'insegnamento a un'università di massa senza per questo abbassare il livello (ricordo il pur grande classicista Luciano Canfora che condusse quasi una guerra personale contro questo ministro); e pure avversato dai professori della scuola, per aver proposto un concorso individuale, la cui formulazione forse era eccessivamente schematica, ma che era a mio parere un provvedimento necessarissimo. Fu “fucilato” dagli insegnanti e anche da chi li rappresentava.
Si dice nell'articolo, a proposito degli imbrogli che sono stati riscontrati recentemente nella somministrazione di prove Invalsi: “Tra le ragioni dei comportamenti anomali è molto probabile vi siano le “incomprensioni” sul ruolo delle prove Invalsi: benché non siano destinate a (e non siano di conseguenza disegnate in modo da consentire) una “valutazione” dei singoli insegnanti, diffuso è il sospetto che sotto sotto questa sia l’intenzione, il che porta a illeciti, per quanto comprensibili, meccanismi di difesa da parte di singoli insegnanti”. A mio parere, sta proprio qui il problema: PERCHÉ UN INSEGNANTE DOVREBBE RIFIUTARE DI ESSERE VALUTATO? Perché, da parte del governo e di altri, si ha la preoccupazione di rispettare queste difese corporative, CHE HANNO AMMAZZATO E AMMAZZERANNO QUALSIASI RIFORMA?
4- Penso, in conclusione, che la meritocrazia vada benissimo nella scuola: un sistema di selezione o, meglio, di premi impostato sulla meritocrazia può persino aiutare i ragazzi meno favoriti, se si applica prima di tutto, in maniera creativa e rigorosa... ai professori. Non alla scuola in cui insegnano, ma ai professori, individualmente. Come?

UNA PROPOSTA CONTRO CORRENTE

Chi vuole, tra i professori di ruolo o con anni di insegnamento, deve poter partecipare a concorsi che gli permettano di fare qualche significativo salto in avanti, nella remunerazione e anche in ruoli di coordinamento/proposta didattica e culturale. Però questa possibilità dovrebbe essergli offerta una volta ogni otto-dieci anni (nessuno stato potrebbe sostenere la spesa e lo sforzo organizzativo per concorsi di ondate di docenti che si ripresentano continuamente).
Il concorso dovrebbe vertere su: 1- Contenuti (la conoscenza di quel che si insegna è fondamentale, non c'è relazione umana di empatia che possa sostituire questo requisito); 2. Documentazione del lavoro (manoscritti dei ragazzi adeguatamente corretti e commentati, progetti, piani di lavoro, bibliografie utilizzate, materiali elaborati ecc. ecc.) accompagnati da un scritto articolato che spieghi bene ciò che si è fatto, con quali criteri, con quali risultati in relazione al livello di partenza dei ragazzi, che deve essere anch'esso documentato... Una specie di dottorato di alto livello nell'insegnamento. 3- Valutazione articolata espressa dagli studenti o, se questi sono troppo giovani, dai genitori (ovviamente questa voce non deve essere dominante, però non può nemmeno mancare); 4. Se possibile, prove specifiche di uscita correlate a quelle di ingresso, e legate alla programmazione del docente.
Penso e, per esperienza, so che il risultato dell'insegnamento dipenda solo in piccola misura dall'organizzazione scolastica (a parte il fatto che i presidi sono mediamente meno qualificati degli insegnanti); dipende soprattutto dalla preparazione specifica, dalla curiosità culturale e dall'impegno del singolo insegnante, COSE CHE NON DEVONO ESSERE UMILIATE. Una riforma vera dovrebbe attivare una competizione fortissima fra insegnanti, più che fra scuole.
Le commissioni dovrebbero essere rigorosamente esterne alle scuole o al territorio in cui il candidato insegna: possibilmente di professori universitari (non perché siano sempre i migliori, ma soprattutto perché siano rese impossibili difese corporative ).
Per l'università potrebbe valere qualcosa di analogo, con necessarie variazioni. Quando si parla di studenti adulti o quasi adulti, o di ricercatori, la questione può infatti cambiare notevolmente: per ragioni “antropologiche”, legate alo sviluppo dell'essere umano.

Inoltre bisognerebbe che il ministro, i sindacati ecc. si sforzassero di far proprio e di discutere con i docenti alcuni principi basilari: una scuola di massa non è necessariamente dequalificata; insegnare banalità è in genere più difficile che insegnare cose intelligenti e interessanti, che richiedano impegno intellettuale e studio. Bisogna però insegnare bene, se no non si sortisce alcun effetto. E quando non si ottengono risultati, i “disagiati” restano tali, i “bravi” per natura o per condizione sociale non avanzano. SONO DANNEGGIATI TUTTI. Non si pretende che i ragazzi in uscita dimostrino tutti le stesse conoscenze e capacità, ma che ciascuno abbia fatto significativi passi avanti.

Detto ciò, i test Invalsi possono servire, ma non essenzialmente a premiare: a fornire strumenti di miglioramento anche dell'istituzione in quanto tale, che può avere un suo peso, ma solo se si attiva una competizione virtuosa tra insegnanti.

In decenni di insegnamento ho sentito quasi ogni anno, almeno dagli anni '80 in poi, colleghi e colleghe che dicevano: “Non ho mai avuto una classe così scadente. Devo abbassare il livello e di questo soffriranno i bravi”. Se così fosse stato, le classi “sempre più scadenti” sarebbero state alla fine, in buona parte, formate da scimmiette. Selezione e meritocrazia sì... cominciamo dagli insegnanti.

Pur anziana, sto facendo l'esperienza, come studentessa, in un'Università spagnola (di Cádiz, Estudios árabes e islámicos). Mi sto accorgendo che, con qualche variante, i problemi che si pongono nella nostra scuola e università sono assai simili a quelli che ci sono nell'università che frequento. Quello dell'insegnamento, della trasmissione di conoscenze, di attivazione delle capacità intellettuali e creative delle nuove generazioni, è un problema universale, nei tempi in cui viviamo: per la prima volta in millenni ci si propone una educazione e una formazione culturale di massa, tendenzialmente universali. È una rivoluzione difficile. Ritornerò su questo.

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